Rosso Affini

Breve quanto giusto tributo a Edoardo Affini, se La Roja non dovesse bastare. Sabato Gesink, ieri Teunissen, oggi lui.

Corridore affidabile e generoso; intelligente - anche ai microfoni - un treno in pianura, persino veloce o perlopiù con lo spunto da finisseur se e quando ha l'occasione di potersi mettere in proprio.

Un piazzato: difficile dimenticarsi il 2° posto al Giro lo scorso anno quando anticipò la volata del gruppo a Verona partendo quasi di soppiatto, se è corretto parlare di sordina quando lo fa un corridore con quella cilindrata.
Fu superato da Nizzolo sulla linea del traguardo.

Impossibile dimenticarsi quest'anno, sempre al Giro, sempre in Veneto, stavolta Treviso. Va via con un quartetto - De Bondt, Cort e Gabburo con lui - e viene battuto dal belga della Alpecin allo sprint, mentre dietro il gruppo incasinava i calcoli strada facendo non riuscendo più a riprendere i corridori in fuga da oltre 150km.

Breve quanto giusto tributo ad Edoardo Affini, uomo squadra, qui per dare una mano a Roglič, per contribuire alla buona riuscita della cronosquadre, per allungare il gruppo nel finale cercando di tenere i suoi fuori dai pericoli.

Breve quanto giusto tributo ad Edoardo Affini da oggi leader in classifica alla Vuelta.

Impossibile dimenticarselo: «Essere leader qui è qualcosa di pazzesco. Ringrazio i miei compagni di squadra per il regalo che mi hanno fatto». Che poi non è un regalo ma è da leggersi più come un meritato attestato di stima e di fiducia.

Domani ci sarà riposo per passare dalle strade olandesi a quelle basche. Domani ci sarà riposo e non potrebbe essere più dolce per Edoardo Affini in rosso.


Wiebes-Balsamo: la forza delle idee

Monaco, da qualche giorno, pensava alla forza delle idee. Le idee che sono forse l'unico modo per cavarsela quando ci si trova davanti a qualcosa di così spropositato da sembrare ovvio, inevitabile, ineluttabile. Qualcosa che contrasta con l'essenza stessa della bicicletta perché pensare a una bicicletta è, in fondo, pensare a qualcosa per nulla scontato, semplice o intuitivo. Perché la bicicletta sceglie l'equilibrio precario, la fatica, sceglie di non avere alcuna protezione, di esporsi al vento, all'acqua o al sole, al caldo o al freddo, porta ovunque, certo, a patto che sia tu a portarla ovunque: in questo senso è il contrario dell'ovvio, di ciò che è facile, che è comodo. Somiglia più a ciò che è bello e quindi, spesso, difficile.
A Monaco, alla prova su strada degli Europei femminili, l'inevitabile, l'ovvio, poteva essere la volata finale, poteva essere Olanda e quindi Lorena Wiebes. Talmente veloce, reattiva, da vincere in volata, che è gruppo, vicinanza per definizione, quasi sempre staccando le avversarie. Wiebes, oggi, era uno spettro, da qualche notte era un incubo: quelli che arrivano quando non te lo aspetti e se ne vanno lasciandoti senza altro che domande. Quelli privi di comprensione.
Allora sono arrivate le idee e, in fondo, non sembra neanche difficile, quasi una conseguenza, a parole, perché nei fatti è difficilissimo. Prima bisogna mettere in difficoltà le olandesi, sfaldare quel treno, stancarle. Perché non si sa mai che si riesca ad andare via da sole, senza di lei oppure con lei, quasi un'imboscata per sorprenderla e poi batterla, per una volta sola, magari in difficoltà. Poi perché se volata deve essere, le olandesi devono guadagnarsela, sudarla, devono fare più fatica delle altre visto che, almeno sulla carta, sono più forti delle altre.
Difficilissimo e non solo per questo. Difficilissimo perché chiunque ha provato a scattare oggi, tante francesi, tedesche, italiane, sapeva bene che avrebbe potuto essere tutto inutile, che le olandesi avrebbero potuto essere così forti da non patire quegli scatti che anzi avrebbero potuto essere un'arma a doppio taglio contro chi li aveva pensati. La volata arriva per tutti e se il treno che paga dazio non è quello olandese ma quello italiano, ad esempio? Che si fa? Che si dice dopo aver fatto tanto, dopo aver dato tanto? Un rischio ma, se ricordate, l'ovvio con una bicicletta ha poco a che vedere.
E dopo tutti questi "se", questi "chissà", si arriva davvero in volata e le azzurre sono lì, una striscia di colore, quasi uno stralcio in una tela. Sembra un assolo di chitarra il modo in cui lanciano la volata: dapprima Fidanza, Sanguineti, Cecchini, Guarischi e Confalonieri poi Barbieri, lì dietro non solo la maglia iridata di Elisa Balsamo ma anche quella di Lorena Wiebes. Già, perché quel treno olandese ha effettivamente pagato la fatica, quasi sfibrato da tutti gli agguati e Wiebes nel finale deve arrangiarsi da sola.
È un tempo sospeso quello della volata, come lo sguardo e le mani di Ilaria Sanguineti, che sperano, quasi esprimono un desiderio a una stella cadente solo immaginata. È un tempo sospeso anche quell'attesa perché Wiebes e Balsamo arrivano talmente vicine che non si capisce chi abbia vinto. Prima Wiebes, seconda Balsamo: serve rivedere la volata per saperlo. terza Rachele Barbieri.
E allora? Allora le idee non sono servite? Allora è stato tutto inutile? No, è il contrario. Quello che è successo oggi è la dimostrazione che proprio le idee sono più forti. Di tutto, anche di Wiebes. Perché l'ovvio ha dovuto faticare a materializzarsi, grazie al difficile, al faticoso. Grazie alla squadra. Di quella fatica che fa piangere Marta Bastianelli che oggi avrebbe voluto fare di più. Sono state le idee a costruire quel tempo sospeso e quella speranza.
Attraverso la fatica, la decisione, l'abnegazione, la volontà anche quando sembra inutile. Wiebes è campionessa europea e chi ha visto la prova di oggi ha imparato qualcosa in più. Se le idee sono così potenti, allora si può essere felici anche secondi, terzi. Persino fuori tempo massimo a patto di aver creduto a quelle idee e di averle costruite.