Alla maniera dei più grandi
Focus nella serata di Saint-Quentin-en-Yvelines. La rimonta di Balsamo nell'Omnium che partiva dalla gara a eliminazione, quella che lo scorso anno le aveva tolto qualcosa ai Giochi Olimpici di Tokyo. Nella corsa a punti un paio di ore dopo è andata com'è andata. Lei ci stava, ma ha vinto Jennifer Valente, americana, al primo titolo individuale dopo una carriera a battagliare e a piazzarsi. Pazienza, va bene così.
La lotta di sguardi come pugili sul ring tra Mathilde Gros ed Emma Hinze nella velocità femminile è una delle immagini del giorno. Gros va in finale sfruttando gambe immense, acido lattico e forza mentale e poi batte anche Lea Friedrich e vince l'oro, tra le urla del velodromo di casa che scandisce in delirio il suo nome.
Osservare, poi, Matteo Bianchi, classe 2001, in finale nel chilometro, dove non c'eravamo da tempo ma oggi sì, con dei ragazzini che non erano nemmeno nati l'ultima volta che l'Italia prendeva una medaglia, è stato un piacere. Vince chi doveva vincere - Hoogland - sul podio ci sale uno spagnolo - Martinez Chorro - per il quale a un certo punto abbiamo iniziato a tifare. Bianchi arriva quinto senza avere il fisico da colosso che hanno tanti altri, e anche così va benissimo. Un punto di partenza.
Tanti focus nella serata di Saint-Quentin-en-Yvelines, su Havik, olandese, che vince la corsa a punti a 31 anni e ci ricorda che in un ciclismo di talenti precoci non è mai troppo tardi per indossare la maglia più ambita del ciclismo e mettersi una medaglia preziosa al collo. Lui principalmente seigiornista, batte Kluge, Van Den Bossche, Strong, di mestiere anche stradisti. La bellezza della pista punto d'incontro di talenti.
La lotta di nervi tra Milan e Ganna con il ragazzo friulano, fortissimo ma non quanto bastava oggi per battere Ganna, che parte alla grande seguendo il suo schema. Un rapporto leggermente più agile (sic), 66x15 rispetto al 67x15 di Ganna.
Un modo di intendere l'inseguimento fatto di partenza a schioppo.
Una sorta di lepre per Filippo Ganna che stamattina ha pensato di non gareggiare per andare in vacanza, che in una settimana si prende record dell'ora, argento nell'inseguimento a squadre e poi oggi crea e firma l'ennesimo dipinto da esporre in un velodromo: medaglia d'oro nei quattro chilometri dell'inseguimento in 3:59.636, record del mondo, una serie di numeri che forse solo lui in tempi più o meno brevi potrà pensare di ritoccare ancora.
Un nuovo inverno per Ferrand-Prévot
La notizia è di questi giorni. Dalla prossima stagione Pauline Ferrand-Prévot indosserà la maglia Ineos Granadiers. Interessante perché Ferrand-Prévot sarà la prima donna a firmare con Ineos per un progetto ambizioso che ha come orizzonte l'Olimpiade di Parigi 2024, ma che parte da un inverno pieno di programmi, in direzione ciclocross, con il campionato europeo di Namur e i Mondiali di Hoogerheide. Ma si parla anche della Coppa del Mondo di Mountain Bike a Valkenburg in primavera.
Quando si tratta di traguardi, tra l'altro, all'atleta francese non si possono proprio porre limiti. Sembra in grado di declinare la bicicletta come un sostantivo greco o latino, ovvero in ogni forma, in ogni specialità. Conoscendone casi, eccezioni, particolarità. Non solo ci prova, sarebbe già un bel segnale, ma ci riesce. Quest'anno si è laureata quattro volte Campionessa del Mondo in quattro diverse specialità, l'ultima volta proprio qualche giorno fa, nel gravel. Prima c'erano stati lo Short Track, il Cross Country e il titolo Marathon. Il talento nelle sue forme, una delle quali è l'esplorazione, la prova, la possibilità di divertirsi sempre più anche in quelle cose che, diventando importanti (come importante è una maglia iridata) dovrebbero diventare sempre più "pesanti", difficili.
Questo piacere si impara. Ferrand-Prévot lo ha imparato, sulla propria pelle, nel 2016 quando avvertiva il peso dell'essere chi era, dell'essere una campionessa, una di quelle atlete a cui si chiede sempre la perfezione, la vittoria, l'essere al posto giusto nel momento giusto. Senza la capacità di scindere atleta e persona: l'atleta può anche illudersi di non sbagliare mai, o quasi, la persona non può farlo. C'è la fragilità, c'è la paura, c'è l'errore. Serve un permesso: il permesso di essere come tutti gli altri, di cadere, di lasciar perdere. Quando ci si permette questa possibilità, arriva quel piacere, quell'entusiasmo, quella estrema manifestazione della bellezza del talento. La forza di Ferrand-Prévot è stata quella di concedersi questo permesso. E guardatela adesso, guardate il rapporto che ha con quella bicicletta, la stessa che per qualche tempo non poteva vedere, perché le ricordava quella finzione di infallibilità.
Per l'arrivo in Ineos, ha parlato di sperimentare materiali, possibilità, di migliorare perché vuole fare ancora di più, ha parlato della libertà di scegliere un calendario di gare, di prendere un volo per un altro luogo del mondo con la consapevolezza di questa decisione. Si è soffermata sulle presenze, sulle persone che ci sono, che puoi chiamare quando hai bisogno, senza troppe domande o remore. Le gare? Sì, le gare le vedremo e saranno un'occasione di divertimento anche per chi guarda, di chiedersi e dirsi: «Cosa ha fatto? Cosa ha fatto anche questa volta?».
In questo modo il legame con la bicicletta si è rafforzato. Una bicicletta è diventata il modo per esprimere tutti i modi di essere di una persona: forte, fortissima, incredibile, quattro volte iridata in quattro specialità diverse nella stessa stagione, ma anche fragile, mentre riscopre la goduria di due ruote e di un equilibrio straordinario, e si permette di lasciare andare tante cose. Nello stesso tempo, Ferrand-Prévot ha permesso a quella bicicletta di essere tutto ciò che poteva essere e di farlo con la stessa perfezione delle ruote che girano assieme, simili alla perfezione. Sarà un inverno da vivere.