Oggi pilota Søren Wærenskjold

Ci sarebbero molte cose a cui pensare a inizio stagione, esistono delle priorità. Prendete la Volta ao Algarve, corsa di preparazione in Portogallo che vede al via nomi di un certo spessore e che ieri, nella prima frazione, ha visto la sfida tra alcune delle migliori ruote veloci del “mondo”. Almeno quello della bicicletta.
Ci sono delle priorità, e una corsa di preparazione lo è per definizione: e quindi si cerca l' affiatamento tra compagni di squadra, soprattutto in volata, il colpo di pedale che ti terrà compagnia fino a fine stagione.
Uno strappetto nel finale ha messo in difficoltà Jakobsen così come sembra complesso il rapporto con queste ultime due stagioni (una e un po’ diciamo, visto che questa è appena iniziata) di Michael Mørkøv, che pare abbia perso - fisiologico - lo spunto che lo ha reso fino al 2021 se non il più forte pesce pilota in tempi recenti, probabilmente uno dei due più forti (si accettano suggerimenti per capire chi è l’altro).
E allora dopo lo strappo, Jakobsen - quest’anno la Quick Step, in versione Soudal, ha preso Casper Pedersen per stargli vicino, ma il danese non è un semplice lead out, quanto uno che va forte anche sulle pietre e sugli strappi, e potrebbe anche essere una delle sorprese della stagione, su al Nord; e insomma Jakobsen con le gambe un po’ in croce, come si direbbe in quei momenti, che probabilmente dopo quella faticaccia non sarebbe nemmeno riuscito a riprodurre un passo di danza, sembrava recuperare ma non con il solito brio che ci aspetta dal fortissimo olandese, campione europeo in carica, pareva quasi di vederlo al rallentatore: chiuderà quarto, nemmeno troppo male considerato dove si trovava a un chilometro dalla conclusione.
Davanti al gruppo erano le maglie giallorosse della UNO-X Pro Cycling a farsi vedere non solo brillanti dal punto di vista cromatico, ma anche dell’accelerazione, dell’enfasi, della capacità di farsi trovare pronti in attesa di quello che sarà per loro il picco da quando sono diventati una squadra Professional: correranno il Tour de France 2023, ma prima ci saranno altri appuntamenti interessanti.
E insomma davanti tirano la volata per Alexander Kristoff, sbarcato quest’anno (in Norvegia si dice pure non-senza-polemiche) con la squadra più rappresentativa della storia della sua nazione, una squadra che ogni anno pensa sempre più in grande (Foss l’anno prossimo? e magari tra un paio Vingegaard? Voci…) e per vincere Kristoff sfrutta uno che è pure più grosso di lui, che è più giovane di lui e che va ugualmente forte da pilotarlo e chiudere terzo: Søren Wærenskjold.
Nella foto è quello in secondo piano con una dentatura quasi perfetta, mentre il fuoco è tutto, logicamente, su Kristoff. Il suo nome, Søren Wærenskjold, è più facile di quello che sembra da memorizzare. Mettete a fuoco il suo nome e le sue caratteristiche: se non lo avete fatto, iniziate da oggi. Pardon da ieri, prima tappa della Volta ao Algarve.


Diario dall'Alaska: Love Joy Drive

La pelle di Willy Mulonia è una cartina geografica. I primi a scoprirlo sono stati i figli di Willy che, sin da bambini, hanno dato un altro nome alla vitiligine che ha colpito il tessuto cutaneo del padre. Così, seduti sulle sue ginocchia, abbracciandolo, esploravano quella carta geografica e, dall'altra stanza, li sentivi gridare: «Questa è la Patagonia! Questo, invece, l'Alaska!» e così via, in una geografia tutta loro. Willy, che in quei giorni stava facendo i conti con la convivenza con la vitiligine, trovava in questo gioco il modo migliore per accettarla: su quella pelle, alla fine, qualcuno poteva vedere il mondo, anche quello talmente lontano che, in una sera di alcuni anni dopo, a cena, ha fatto chiedere al figlio: "Papà, perché torni in Alaska?". Il nostro "Diario dall'Alaska" parte proprio da questa risposta, mentre lì è già mattina, Willy Mulonia si sta allenando per Iditarod Trail Invitational e dal cielo è caduto un metro di neve in appena tre giorni.

«Potrei dire che ci ritorno per un fatto estetico, perché mi piace, ma non avrei detto tutto. Ritorno, soprattutto, perché è il mio luogo nel mondo, quello in cui ritrovo me stesso. Qui non c'è la mia famiglia, eppure quando sono qui mi sembra di non essermene mai andato. Tutto riparte da capo, dal punto esatto in cui si era interrotto». Ogni volta, però, è diversa, perché diverso è il viaggiatore anche se si tratta sempre di Willy, lui che quest'anno ha avuto un timore nuovo, un nuovo dubbio: «E se l'Alaska, questa volta, dovesse spaventarmi già dai vetri dell'aeroporto?». Una domanda a cui non c'è risposta razionale, almeno sino all'arrivo, ma a cui anche i sogni della notte provano a dare tranquillità. Un sogno nuovo che lo riporta a un vecchio viaggio, quando, anni fa, in Amazzonia, una famiglia ha accolto Willy per molto tempo e, prima che ripartisse, il padre lo ha preso da parte: «Vedi questo tatuaggio che abbiamo tutti noi sul collo e sul viso? Indica l'appartenenza a questa casa, a questa famiglia. Vorremmo inciderlo anche sulla tua pelle, in modo che, ovunque sarai, saprai di appartenere anche all'Amazzonia. Pensaci questa notte, domani ci dirai». Non fu una notte facile per Mulonia che, al mattino, rispose forse nell'unico modo possibile: «Non posso, nonostante vi sia grato per questa idea. Non posso perché non starò qui ma tornerò a casa, in un altro paese lontano e le persone di quel paese non capirebbero. Nemmeno io riuscirei a spiegare tutto questo». Ancora oggi, Willy pensa a quel giorno, riflette e si chiede se abbia fatto davvero bene a rispondere così, però, qualche notte prima del volo aereo ha sognato un’accoglienza simile da parte delle persone che vivono in Alaska e, probabilmente solo allora, si è sentito davvero tranquillo, davvero pronto.

I bagagli, i voli aerei, le nuvole dall'alto in basso e di nuovo la terra, via verso una casa che, da sempre, ospita Willy, suo fratello Tiziano e Roberto Gazzoli, a dieci giorni da Iditarod. Le indicazioni portano in Love Joy Drive, dove c'è quell’abitazione: «Solo la via, con le parole amore e gioia, sembra un’apoteosi del viaggio. Anche se so cosa c'è là fuori: il freddo, il gelo, il ghiaccio, il buio e le alci che sono un pericolo da queste parti. C'è la fame, la sete, la sofferenza e il dolore. C'è anche la possibilità di ritrovarsi, di tornare avendo aggiustato qualcosa dentro». Willy Mulonia porta l'esempio del temperino e della matita: è un atto ruvido il temperare la punta, ma necessario. E le punte temperate non servono solo alle matite per scrivere, pure agli uomini per vivere. L'Alaska è il temperino e Willy è esattamente dove vuole essere. Willy e Tiziano, fratelli da sempre, che da queste parti diventano ancor più fratelli. Si guardano come non si guardano mai, si parlano come non si parlano mai, si ascoltano allo stesso modo e si dicono cose che, senza l'Alaska, non si direbbero.

Mentre parliamo, in sottofondo, la radio trasmette una canzone di Ornella Vanoni e Mulonia ci dice che è la sua musica preferita prima di eventi di questo tipo. Soprattutto quando c'è la malinconia delle cose che succedono e non dovrebbero succedere. L'altro ieri, sulle sponde del lago Shell, sul percorso di IditaRod, c'è stato un incendio. A bruciare è stato Shell Lake Lodge, un rifugio per tutti coloro che percorrono le strade dell'Alaska, un luogo dove gli "Angeli del Trail", così li chiamano da queste parti, aspettano i corridori e li assistono con molta umanità. Dove c'è Zoe, che gestisce il rifugio da molti anni: una signora che Willy e Tiziano hanno anche aiutato con dei lavori, in cucina, per permetterle di muoversi più comodamente. Una signora che oggi il pensiero non vuole non proprio lasciare: «Sarà triste passare da quelle parti e non poter entrare in quel rifugio. Però, su gofoundme, c'è una racconta di fondi per Shell Lake Lodge, tutti possono fare qualcosa affinché il brutto lasci un poco di spazio al bello della solidarietà. Quest'anno cercheremo un altro rifugio, ma a Zoe continueremo a pensare perché il dolore di una persona lungo il trail è sostenuto e compreso da chiunque, almeno una volta, sia passato di lì».
Intanto, con quella musica nell’aria, si preparano i pacchi che, entro sabato 18 febbraio, verranno inviati dall'organizzazione nei vari villaggi per i ciclisti che arrivano. «Se i ciclisti arrivano, bisogna aggiungere. Anzi, se arriveremo. Ma, anche nel caso in cui non arrivi nessuno di noi, quei pacchi non saranno stati spediti invano, perché verranno aperti dagli altri concorrenti e sarà comunque bello. Anzi, aprire un pacco che non sei stato tu a preparare è ancora più emozionante, quasi come scartare un regalo. Non sai cosa c'è dentro, ti sorprendi ogni volta».
Willy e Tiziano sono pronti, domenica arriverà Roberto, e l'Alaska sarà ancora il filo rosso che li unisce. Nell'ultimo anno, sono stati assieme, come in questi giorni, tre volte e tutte e tre le volte c'era qualcosa che aveva a che vedere con questa terra, fredda e lontana. Hanno scelto il loro nome: "Itialians". ITI come l'abbreviazione di Iditarod Trail Invitational, il resto, invece, è un richiamo all'origine, all'Italia, luogo in cui torneranno dopo che l'Alaska avrà affilato le punte delle loro matite. Sempre uguali e sempre diversi. Il viaggio è appena iniziato.