Alzarsi e partire

Noi che maneggiamo parole parliamo spesso di sogni ed è giusto così, perché i sogni sono necessari per un Giro d'Italia, per qualunque viaggio ed anche solo per una giornata, dal mattino alla sera. Ma per un Giro d'Italia, per qualunque viaggio ed anche per una giornata, spesso, prima dei sogni è necessario alzarsi e partire. Sì, perché, per quanto ci si possa sforzare, quasi nessuno è capace di tenere lo sguardo sempre e solo sul sogno, anche fosse il più grande di tutti, perché la realtà si mette di mezzo. Bene, proprio quando la realtà si fa troppo ingombrante, persino invadente, bisogna ricordarselo: alzarsi e partire.

Alzarsi e partire come si sono alzati e sono partiti stamani i corridori del gruppo. Alzarsi e partire dopo giorni di pioggia e con un cielo ancora nuvoloso. Alzarsi e partire anche se è una di quelle giornate in cui non si può chiedere nulla, anche se, dentro, si è convinti di essere troppo stanchi per chiedere qualcosa a questa o ad altre giornate. Alzarsi e partire anche quando ci si sente piccoli, minuscoli, e tutti gli altri sono grandi, enormi. Anche quando sembra di essere gli unici a fare fatica a pedalare, mentre i pedali degli altri girano così bene. Alzarsi e partire perché, forse, alzandosi e partendo qualcosa succederà.

Non sappiamo in quanti, fra i trenta corridori all'attacco, stamani lo abbiano pensato: alzarsi e partire. Però a tutti e trenta qualcosa è accaduto: una fuga strana, andata via da una rotonda, in un modo strano. Samuele Battistella probabilmente lo ha pensato, lui che, pur non stando bene, pur andando spesso alla macchina del medico, era in quella fuga, in cui forse è capitato ma in cui ha fatto di tutto per restare. Pensate che era con Berwick, Denz, Skujiņš, Tonelli quando, ancora una volta in maniera quasi casuale, questi quattro hanno staccato tutti gli altri fuggitivi. Poi ha dovuto lasciare, certo, ma si è alzato, è partito e, così facendo, ha anche trovato delle forze che, probabilmente, in albergo, nemmeno pensava di avere. Succede, più spesso di quanto si creda. Per questo lo ripetiamo: alzarsi e partire.

Poi può pure capitare che, dopo essersi alzati ed essere partiti, dopo essere entrati nella fuga di giornata, gli equilibri si rompano, il nervosismo della stanchezza e delle incomprensioni prenda il sopravvento, e per ventisei di quei trenta sembri un'occasione sprecata. Probabilmente lo è. Non è facile per Davide Formolo, per Alberto Bettiol, per Christian Scaroni, per Alex Baudin, per molti altri, che, erano nel posto sbagliato nel momento giusto, che, pur in fuga, non erano sulla fuga di testa, su quella che si è giocata la vittoria. Non sarà facile perché più le occasioni sono vicine, più fa male perderle. Eppure anche loro, domani mattina, poche ore prima di una tappa che promette pioggia, freddo, salite e acido lattico, lo ripeteranno: alzarsi e partire. Il resto si vedrà.

Alzarsi e partire che è quello che si fa in volata. Quello che Nico Denz, a Rivoli, ha fatto dalla testa del terzetto, la posizione peggiore per una volata, eppure ha vinto. Ma Denz si era alzato ed era partito già stamani e ancora in salita, quando sembrava dovesse staccarsi da un momento all'altro, quando era tutto unghie e denti. Stretti. Alzarsi e partire, magari sui pedali. Sarà per questo che alzarsi sui pedali, in bicicletta, evoca tanta di quella libertà che non sta nemmeno negli orizzonti più vasti e nelle praterie sconfinate. Sì, perché ci si alza sui pedali e si parte. Non per vincere, per continuare.

A questo volevamo arrivare: i sogni restano, si custodiscono, ma spesso basta essere secondi, per vederli lontani, troppo lontani, essere scorati, quasi fosse rimasto un pezzo di cuore in meno per crederci ancora. I sogni sono un atto d'amore, ma anche continuare è un atto d'amore. Uno di quegli atti d'amore silenziosi, che, senza troppo rumore, fa la storia. Non del mondo, la nostra. A patto di alzarsi e partire. Ancora una volta.


Distanze, tempi, ritardi

Ci sono circa 600 chilometri tra Kandel, luogo natale di Pascal Ackermann, e Tortona, dove il velocista tedesco è tornato a vincere al Giro quattro anni dopo l’ultima volta. La Camaiore-Tortona di ieri era una tappa da oltre 215 chilometri, la più lunga del Giro: tre agevoli Gran Premi della Montagna, qualche acquazzone, tante curve e la categorizzazione “B” come difficoltà di tappa. Ciò significa, se ho letto bene il regolamento del Giro e se ho fatto bene i conti, che per non finire fuori tempo massimo l’ultimo arrivato avrebbe potuto prendere da Ackermann fino a circa 34 minuti.

L’ultimo arrivato, invece, è arrivato ben prima sul traguardo. Si è trattato di Alessandro Verre: il suo luogo natale, Marsicovetere, dista da Tortona oltre 900 chilometri. Il lucano ha fermato il cronometro a 18 minuti e 27 secondi di ritardo: perché Alessandro? Vedendoti all’arrivo, avrei giurato che il tuo ritardo fosse di almeno qualche giorno. La sua faccia era stravolta, nera nel vero senso della parola: stare in fondo al gruppo ha significato, probabilmente, beccarsi acqua, polvere e fanghiglia alzate dalle ruote davanti a sé.

Verre è arrivato solissimo, ultimissimo. Quasi tre minuti dopo la coppia di penultimo e terzultimo, Vanhoucke e Cherel. Nei pochi attimi in cui il mio sguardo e il suo si sono incrociati, mi è sembrato di vedere un corridore «scoppiato, distrutto, un rudere». Sono parole di Dino Buzzati, che nelle cronache del Giro del ‘49 ha descritto come nessun altro la deformazione del tempo che sembra suscitare l’arrivo sul traguardo dell’ultimissimo. Ci lasciamo con uno stralcio di Buzzati dal medesimo brano: mentre lo starete leggendo, probabilmente starò cercando Verre per chiedergli del suo arrivo.
«La luce del giorno svanisce, ecco si accendono i lampioni. “Dov’è lo stadio?” chiede. Gli fanno segno confusamente, quasi infastiditi. “Permesso, permesso” egli implora con voce fievole. Ma è già notte. Quante ore sono passate dall’arrivo dei primi? Quanti giorni? O mesi? Notte buia, coi lumi dei caffè riverberanti di là della folla. E sempre nuova ressa di popolo, una colata di lava nera a lui incontro, torbida, nemica. “Dov’è lo stadio?” domanda. “Quale stadio?” rispondono. “Quello del Giro d’Italia”. “Ah, il Giro d’Italia... bei tempi, quelli!” e scuotono il capo, commiserando. Non ore, non giorni e mesi: anni interi, dunque, sono passati dall’arrivo dei primi. E lui è solo. E fa freddo. E la fidanzata è a spasso con un altro; o si sarà già sposata. “Dov’è lo stadio?” supplica. “Stadio?” rispondono “Giro d’Italia? Che significa?”».