Il questionario cicloproustiano di Alessia Vigilia
Il tratto principale del tuo carattere?
Penso di potermi definire altruista, cerco di aiutare sempre gli altri quando è possibile
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
L’umiltà
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La passione e l’umanità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La semplicità con cui mi fanno stare bene
Il tuo peggior difetto?
Essere disordinata
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Al momento curare l’orto e leggere
Cosa sogni per la tua felicità?
Riuscire a trovare la mia strada ed essere soddisfatta del mio percorso ogni giorno, nonostante gli alti e bassi che è normale che ci siano
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
È un poco scontato forse, però sicuramente perdere le persone a me più care
Cosa vorresti essere?
Mi piacerebbe poter diventare professionista al 100% e magari essere così un esempio per qualcuno
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia al 100%
Il tuo colore preferito?
Azzurro
Il tuo animale preferito?
Delfino
Il tuo scrittore preferito?
Nicholas Sparks
Il tuo film preferito?
Le pagine della nostra vita
Il tuo musicista o gruppo preferito?
In realtà non ho nessuno in particolare, ascolto tutto, però la musica non deve mai mancare
Il tuo corridore preferito?
Pogačar, mi piace il modo in cui corre e l’umiltà che nonostante tutto riesce a dimostrare
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà, che nonostante alcune sfide non si è mai arreso
Una tua eroina nella vita reale?
La mia mamma, perché ha una forza ed un’energia infinita
Il tuo nome preferito?
Giulia, infatti ho scelto io che mia sorella si chiamasse così
Cosa detesti?
Essere in ritardo, ma puntualmente poi lo sono sempre
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
La lotta all’Apartheid
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Penso quella di Michele Scarponi, al Giro, quando ha aspettato Nibali, per poi fargli vincere il Giro
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Il Giro d’Italia
Un dono che vorresti avere?
Il teletrasporto, con la vita che facciamo a volte sarebbe bello poter tornare a casa in un attimo
Come ti senti attualmente?
Sono felice e motivata per il proseguimento di stagione
Lascia scritto il tuo motto della vita.
Conta chi resta, il resto non conta.
Tutto torna
Cara Biga, come una lettera alla bicicletta
Se Veronica Santandrea dovesse scrivere una lettera alla bicicletta, la inizierebbe come si iniziano di solito le lettere: "Cara Biga..." e via di parole in parole. Cara come "Cara" di Lucio Dalla, come quel verso "tu corri dietro al vento e sembri una farfalla", perché a lei la bicicletta pare davvero così. Biga, invece, è il nome che, a Bologna, la sua città natale, danno alle biciclette. Di più, dire Biga vuol dire parlare dell'insieme di tutto quel che di Bologna non le piaceva più, quando è partita per Torino, per lavoro, e di tutto quello che ha riscoperto, al ritorno, una mattina presto, salendo al San Luca.
«Per noi è scontato che ci siano i colli e le strade strette bolognesi, quasi soffocanti, tanto che a Torino volevo dimenticarle, attraverso i viali ampli della città piemontese. Il giorno in cui ho scalato il San Luca in bicicletta, in vetta, senza fiato, ho chiamato mia madre piangendo e gridando: "Ho fatto il San Luca". Quasi mi appartenesse. In quei momenti ho rimesso assieme passato e presente, ho trovato un altro modo di vedere questa città in cui ora vivo». Ma ritornando alla lettera, continuerebbe con una frase semplice e decisa: «Mi hai salvato e mi salverai».
E Veronica parla della bicicletta in generale. Sì, della "Ravaldona", come la chiama lei, la vecchia Graziella con cui girava le vie di Bologna da ragazza, «un cancello pesantissimo, fidati», e di ogni altra bicicletta che ha avuto e che avrà. «Ha curato una difficoltà che ho sempre avuto: mettere radici. Farsi terra e paese, come avrebbe detto Cesare Pavese. I miei genitori hanno sempre viaggiato molto e le mura di casa, per me, sono sempre state una costrizione. La bicicletta mi ha permesso di trovare la mia casa diversa: accetto le radici perché so che posso riprendere a viaggiare». Per questo Veronica ha venduto la moto che aveva e di cui era appassionata e si sposta solo in bicicletta. Tra chi le dice che vorrebbe assomigliarle e chi crede sia una follia «perché certe cose non si possono fare solo con una bicicletta». Invece sì, spiega Veronica, e aggiunge qualcosa: «Spero, con l'esempio, di dimostrare che una bicicletta può bastare, se davvero si vuole».
"Cara Biga", in realtà, non è una lettera, ma un progetto, un'idea di biciclette e di mondo, qualcosa che permetta di unire, di far incontrare attraverso la bicicletta. «Sai che spesso non mi ricordo neppure il nome delle persone con cui ho pedalato? Mi è successo qualche giorno fa, con un ragazzo, a Cesena: abbiamo parlato di tutto, cantato assieme. Non so come si chiamasse, ma ci siamo sentiti liberi. Conta questo, no?». E "Cara Biga" serve per questo: c'è l'idea di vivere un altro tempo in bicicletta, una velocità a metà tra la camminata e un'auto, quella perfetta per guardarsi attorno e vedere quel che non avevi mai guardato, pur avendolo sempre visto. Quando c'è qualcosa in comune, incontrarsi è più semplice. La bicicletta, poi, a quell'incontro può anche accompagnare. Per Veronica la Biga somiglia al suo cane, quella cagnolina che l'ha accompagnata per molti anni, in ogni cosa. È una compagna.
La salita? È follia, ci spiega Veronica, perché razionalmente non ci sono motivi per fare così tanta fatica, ma la si fa lo stesso e fa piacere farla. La discesa, invece, è musica, come il vento ed i suoi giochi mentre si scende. La discesa, però, è anche timore o almeno lo è stato: «Stavamo facendo una pedalata come tante, con amici. Dopo una salita, cantavamo contenti. Solo qualche secondo dopo, un amico è caduto, in seguito allo scoppio del tubolare. Uno spavento, grande, importante. Dopo quel giorno, ho pensato spesso a "Cara Biga", a questo progetto. Mi dicevo: "Io ho fatto questa scelta e chiedo alle persone di fare qualcosa di simile, ma guarda che rischio si può correre. Sto facendo la cosa giusta?”. Alla fine, mi sono detta di sì». Perché in ogni attività è insito un rischio e perché; comunque, la bicicletta non l'ha mai delusa, anche quando le ha fatto male, quando senza forze, infreddolita, in una giornata no, mentre voleva andare a vedere il mare, ha chiesto un passaggio ad un furgoncino dei netturbini.
Qualcuno non può raggiungerla e pedalare con lei, ma le scrive, basta una foto di un qualunque viaggio e "Ci sembra di essere lì, grazie" dicono tutti. Sì, perché, oltre a pedalare, raccontare un viaggio con una fotografia, Veronica è fotografa, o un video, permette di lasciare spaziare la mente anche di chi è altrove ed un viaggio così lo sogna.
E viaggiare in bicicletta è davvero diverso da ogni altro viaggio: basta pensare a una sera, in Liguria, qualche tempo fa. Veronica era in viaggio da giorni e quella sera si è resa conto solo troppo tardi di essere fuori zona rispetto al luogo in cui dormiva: «Era tardi, non potevo tornare dietro, dovevo cercare qualcosa nei dintorni. Ho trovato solo una stalla, con della paglia. Ho dormito su quella paglia e sapessi quanto ho dormito bene. Così bene da tornarci la sera dopo e da far colazione con il pastore, lì nei dintorni». È questa possibilità di adattarsi a renderlo diverso, perché, alla fine, si scopre che tante cose vorremmo davvero farle e chissà perché le evitiamo, quasi le allontaniamo. Sarebbe bello parlare di questo con quelle cento persone, arrivate da ogni dove, per festeggiare il compleanno di "Cara Biga", al promontorio di San Bartolo. Una biga per dare nuova forma alle cose, per non darle per scontate, per sforzarsi di guardarle da un'altra prospettiva, magari in compagnia. C'è tutto nella lettera di Veronica alla sua bicicletta e a tutte le biciclette che, in qualche modo, permettono la stessa rivoluzione. Simile al bruco che diventa farfalla, bella uguale. E, poi, in quella lettera ognuno può scrivere ciò che preferisce. Basta iniziare: "Cara Biga...".
Tour de France Femmes: tempo di bilanci
Il momento decisivo del Tour de France Femmes è stato, indubbiamente, a poco più di cinque chilometri dall'arrivo del Tourmalet quando, nella nebbia di un sabato sera di montagna, Demi Vollering è scattata e Annemiek van Vleuten non è riuscita a resisterle. L'avevamo riassunto con: "Vollering scatta, van Vleuten si stacca". Una frase secca, netta, come l'attimo clou di un Tour de France che, sin dal primo giorno, ha sempre fatto dell'imprevedibilità la sua cifra stilistica, grazie anche ad un percorso che, ben disegnato, ha consentito di mantenere a lungo l'incertezza sulla vittoria finale, con una risoluzione nella penultima tappa ed ancora il fiato sospeso nell'ultima, la cronometro di Pau: a quel punto, non tanto per la prima posizione, saldamente di Vollering, quanto per le altre posizioni del podio. Basti pensare che la sera del 29 luglio, dopo il Tourmalet, il podio vedeva Vollering precedere Niewiadoma e van Vleuten, con Kopecky quarta, seppur per pochi secondi, e la sera del 30 luglio, dopo la cronometro, giù dal podio è rimasta Annemiek van Vleuten, in seconda posizione è salita Lotte Kopecky, al terzo posto si è fermata Kasia Niewiadoma. Insomma, l'ulteriore riprova del fatto che, sulle strade di Francia, su quelle della Grande Boucle in particolare, i verdetti non sono tali fino alla fine.
GIGANTISMO SD-WORX: NON SOLO VOLLERING E KOPECKY
Pochi numeri: su otto tappe, le atlete, guidate in ammiraglia da Anna van der Breggen, ne hanno vinte ben quattro: la prima, con lo scatto in salita di Lotte Kopecky, che ha messo tutte nel sacco, la terza, con la volata vincente di Lorena Wiebes, la settima, con il numero di Vollering sul Tourmalet, e, infine, l'ottava, con la prestazione superlativa di Marlen Reusser a cronometro. In quest'ultimo caso, addirittura, il podio di tappa è composto totalmente da atlete SD-Worx: prima Reusser, seconda Vollering, terza Kopecky. Anche il podio finale affianca due atlete SD-Worx: Vollering prima, Kopecky seconda. Vollering in maglia gialla, Kopecky in maglia verde. Basta? No, potremmo anche aggiungere che la maglia gialla, in realtà, non ha mai lasciato le loro spalle: quando l'ha persa Kopecky, l'ha conquistata Vollering. E via così, di dato in dato, ma la netta superiorità della SD-Worx è già evidente. Talento, poliedricità, resistenza, gioventù ed esperienza. Salita, pianura, discesa, contro il tempo: almeno una atleta per ogni specialità, se non di più. Una corazzata. Si dice che la penalizzazione, inflitta a Vollering per la scia dell'ammiraglia sfruttata al fine di rientrare in gruppo nella quinta tappa (venti secondi), abbia ulteriormente acceso la rabbia agonistica dell'olandese e del suo team: può essere, ma per quanto visto sino a quel momento abbiamo dubbi rispetto ad un possibile esito differente. Demi Vollering sognava di superare van Vleuten e di farlo nel pieno del suo splendore agonistico: l'ha fatto. Ha interrotto il dominio nelle corse a tappe che durava da più di un anno e che fino a pochi giorni fa sembrava impossibile da interrompere. I segnali c'erano, è bene ricordarlo: basti pensare a "La Vuelta", dove Vollering, in salita, era parsa superiore. Quelli erano segnali, però, questa una certezza. La campionessa ventiseienne fatica ancora a crederci: la maglia gialla è lì a testimoniare che dubbi proprio non ce ne sono.
VAN VLEUTEN SCONFITTA MA...
Siamo certi che una delle immagini più significative di questo Tour sia l'arrivo di van Vleuten alla cronometro di Pau. Il podio è ormai perso, Kopecky e Niewiadoma hanno fatto nettamente meglio di lei. C'è lo staff ad aspettarla, a ringraziarla per molte cose che sembravano scontate e scontate non erano, a darle una pacca sulla spalla e qualche borraccia, ma soprattutto tutta la comprensione che serve. Perdere non è facile per nessuno, forse ancora più difficile per una ciclista abituata a vincere e stra-vincere. Ancora meno facile, anche se sembra un paradosso, è a quasi quarantuno anni, quando si intuisce la fine della carriera e, probabilmente, vincere, almeno a livello psicologico, è ancora più importante. Tuttavia, proprio l'età deve far considerare normale un possibile calo (che, poi, molte atlete più giovani, sportivamente parlando, firmerebbero per prestazioni stile van Vleuten). Ha perso provando ad attaccare, da lontano, sull'Aspin, non risultando tuttavia incisiva nell'attacco, come le altre volte. Ha perso prima di un appuntamento importante quale è il Mondiale che è appena iniziato. Ricordiamo cosa accadde l'anno scorso, quando nessuno l'aspettava, almeno non così. La nazionale olandese sarà l'esaltazione del talento, una nazionale in cui ognuna potrebbe essere capitana: potrebbe essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio. Di certo, ad Annemiek van Vleuten le sorprese piacciono. Teniamola d'occhio.
CHE TOUR, LOTTE KOPECKY!
Un paragrafo a parte lo merita Lotte Kopecky, seppur abbiamo già accennato al suo Tour. Tanti hanno fatto notare il suo modo di correre, sempre più simile a Wout van Aert: è vero. Kopecky piace perché è il contrario dell'ovvio: fa bene nelle tappe a lei adatte, tuttavia si inventa sempre qualcosa di nuovo, di non prevedibile, spesso, talvolta di prevedibile ma realizzato con una precisione millimetrica e una grinta che, comunque, tengono incollate al televisore, sorprendono. Una sequenza di immagini: l'attacco nella prima tappa, la volata nella seconda, persa da Lippert, il lavoro di squadra per la vittoria di Wiebes, gli attacchi, istinto e gambe che scalpitano verso Rodez, fino ad un Tourmalet che ha sorpreso anche lei ed a una cronometro in cui ha raggiunto e superato anche Moolman Pasio, partita prima di lei. Anna van der Breggen ha parlato di forma della vita, non si può darle torto. Il secondo posto finale, ai danni di Niewiadoma, che avrebbe meritato in egual modo, è un piazzamento di pregio ed un continuo inizio: cos'altro possiamo aspettarci da Kopecky?
IL TOUR DELLE FUGHE
Una delle prime volte che abbiamo avvertito la possibilità di concretizzazione di una fuga da lontano eravamo a Montignac-Lascaux, nella terza tappa: la parola fuga era associata all'amaro per la mancata riuscita dell'attacco di Julie van de Velde, ripresa sul rettilineo finale, con il successo di Lorena Wiebes. In quella fuga avevamo sperato, come sempre si spera nel coraggio di chi parte da sola. Non sapevamo che da lì in poi il Tour de France sarebbe stato un fiorire di fughe con tanto di lieto fine. A partire dal giorno dopo, con la vittoria di Yara Kastelijn a Rodez: stessa squadra di van de Velde, quasi una restituzione di ciò che il plotone aveva tolto il giorno prima. Quasi fosse un romanzo. Azione da racconto anche quella di Ricarda Bauernfeind sulla strada di Albi: ventitrè anni, da un paesino rurale, dallo studio al ciclismo, vinse la prima gara che disputò, ma era l'unica a correre. Qui vince, da sola, beffando le tante che avrebbero voluto vincere. Un filo rosso, anzi giallo. E come definire l'azione di Emma Norsgaard nella sesta tappa? Una velocista, perché questo è di fatto Norsgaard, che vince con una fuga di novantuno chilometri, credendoci fino all'ultimo, rilanciando mentre il respiro del gruppo preme sul collo. Esempio di volontà, di desideri inesauribili. Resta il rimpianto per la bella fuga di Audrey Cordon Ragot che conquista quasi dieci minuti di vantaggio, resta maglia gialla virtuale per molti chilometri: cede a Kastelijn, ma vedere una ciclista così che fa una cosa simile fa bene. Pari discorso, seppur con implicazioni di classifica generale, vale per Kasia Niewiadoma, quando si invola da sola verso la vetta del Tourmalet: Vollering che la riprende e la stacca è l'inevitabile che si fa spazio nella nebbia, nella tappa decisiva, però questi tentativi sono il sale di qualunque giornata di ciclismo: il loro sapore resta.
LA CORSA DELLE ITALIANE
Torna in mente la nostalgia del possibile di Antonio Tabucchi. Sì, torna in mente a proposito del Tour de France di Elisa Longo Borghini e del suo ritiro dopo la sesta tappa a causa di un'infezione alla coscia, proprio prima della frazione del Tourmalet che la ciclista di Ornavasso aspettava da molto. Fino a quel momento, il Tour di Longo Borghini era stato di rilievo: sempre nelle posizioni che contano, con una squadra a proteggerla e guidarla. Cosa sarebbe successo al Tourmalet? Ce lo chiederemo spesso, non avremo la risposta, mentre Longo Borghini annuncia un periodo di pausa dalle corse proprio per questa infezione. Al netto di questo rimpianto, il miglior piazzamento di tappa delle italiane è il terzo posto di Silvia Persico, nella seconda tappa, seguito da top ten di Chiara Consonni, Elisa Balsamo, che sta recuperando, ma non è ancora Balsamo che conosciamo, Soraya Paladin e Vittoria Guazzini. Quest'ultima, con l'ottavo posto nella cronometro conclusiva a Pau, lancia un segnale importante di ripresa, dopo la frattura al bacino ed il rientro in corsa. In ottica classifica generale, invece, la prima azzurra è Erica Magnaldi, tredicesima, seguita da Silvia Persico, quattordicesima, che, probabilmente, avrebbe voluto qualcosa in più da questo Tour de France. Marta Cavalli conclude diciannovesima: "non dico sia stato un buon Tour, senza dubbio, però, è stato meglio di quello dello scorso anno". Per ritornare dai momenti difficili è fondamentale un approccio mentale che si focalizzi sui passi in avanti, Cavalli ci prova. Nelle note sparse mettiamo anche i tentativi di fuga e la fuga di Alice Maria Arzuffi verso Rodez.
KERBAOL E LABOUS: ORGOGLIO DI FRANCIA
Cédrine Kerbaol ha solo ventidue anni, è nata a Brest nel maggio del 2001. Quest'anno aveva vinto il Tour de Normandie Femminile e già lì avevamo potuto ammirare la sua tenacia, le sue doti in crescita ed evoluzione, dai campionati nazionali a cronometro conquistati nel 2021 e nel 2022, appena ventenne. C'era di che parlare, ma al Tour de France Femmes è tutto più grande, più difficile e la giovane età può essere una spinta, oppure un ostacolo, per mancanza di esperienza: nel suo caso è stata indubbiamente una spinta. Dodicesima nella classifica generale finale, quattordicesima al Tourmalet, con una tattica di corsa attenta a non sprecare energie inutili ed a proseguire del proprio passo, quando non si riesce a tenere le ruote delle migliori. Di Juliette Labous iniziamo a parlare con una domanda: senza il ritardo accumulato nella prima tappa, a Clermont-Ferrand, 1'26", come sarebbe stato il Tour della francese? Ha concluso al quinto posto, a 4'48" da Demi Vollering, ad occhio, senza quel 1'26", sarebbe arrivata vicinissima al podio. Un Tour combattivo, spesso a chiudere sulle rivali, quando non ad attaccare in prima persona. Classe 1998, ventiquattro anni, ed un percorso di miglioramento costante: l'orgoglio francese può soffiare forte.
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency