Questionario cicloproustiano di Damiano Caruso

Il tratto principale del tuo carattere?
Schiettezza e sincerità.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Onestà.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La femminilità.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Che la loro amicizia è riferita alla mia persona e non alla mia figura.

Il tuo peggior difetto?
Sono un poco lunatico.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Quando è possibile, dedicare il mio tempo a famiglia e amici.

Cosa sogni per la tua felicità?
Seguire il percorso di crescita dei miei figli.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la voglia di vivere.

Cosa vorresti essere?
Una brava persona e un buon padre.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia.

Il tuo colore preferito?
Blu.

Il tuo animale preferito?
Cane.

Il tuo scrittore preferito?
Omero.

Il tuo film preferito?
Rocky.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Freddie Mercury.

Il tuo corridore preferito?
Damiano Caruso.

Un eroe nella tua vita reale?
Qualsiasi persona che aiuta un’altra persona in difficoltà.

Una tua eroina nella vita reale?
Mia moglie.

Il tuo nome preferito?
Oscar e Greta.

Cosa detesti?
L’ipocrisia.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Tutti quelli che sono stati causa di morte di persone innocenti.

L’impresa storica che ammiri di più?
Il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
La mia, sull’Alpe Motta, al Giro d’Italia nel 2021.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da nessuna,

Un dono che vorresti avere?
Mangiare senza ingrassare.

Come ti senti attualmente?
Felice.

Lascia scritto il tuo motto della vita
Puoi mentire agli altri, ma non puoi mentire a te stesso.


Bike Academy, Lucca

All'inizio c'era la casa dei genitori di Simone Massoni. C'erano i suoi balconi, le sue finestre e la sua porta d'ingresso, rivolte verso la via dove i passanti erano intenti ad indirizzare la loro giornata e dove i rumori della vita di paese non mancavano mai. Il paese era, in realtà, un paesino, vicino a Lucca, ma fuori dalla città, piccolo, raccolto. Uno di quei luoghi in cui, nei silenzi, si potevano ancora scorgere i suoni, i rumori, i fruscii, che lo scorrere quotidiano porta quasi a dimenticare, a cancellare, oppure a sentire distrattamente, quasi fossero una scontata parte del tutto. In qualche mattina ed in qualche sera di primavera, in qualche pomeriggio d'estate o d'autunno, però, da quella via passavano ragazzi e ragazze in bicicletta, in mountain bike, e lassù, se avessero guardato, dietro i vetri di quelle finestre, su un balcone, sull'uscio di casa, avrebbero visto un bambino con gli occhi sgranati, a osservare. Si chiamava Simone, quel bambino, ed abitava lì. Era intraprendente, potremmo anche dire coraggioso per la sua età. Sì, perché, quando gli anni sono pochi, prendere una mountain bike ed iniziare a pedalare, senza nemmeno dirlo ai genitori, è un'avventura, anche più importante e, forse, meno riconosciuta di tante altre cose che si fanno da grandi, da adulti. E le avventure, si sa, sono fatte di coraggio. Ed anche di paura, è vero, ma questo è un altro discorso.

Anzi, è una storia diversa ma non così diversa. Non fosse anche perché, ad un certo punto, quel ragazzo inizierà a correre in bicicletta e sceglierà la mountain bike come "destriero". Forse quella via, forse suo zio, anch'egli legato alla terra, alle pietre e ai sentieri sconnessi di quella bici "selvaggia". Quando qualche pezzo di quella bicicletta si rompe, si rovina, manca, al ritorno da scuola, va a Lucca, in periferia, da Bike Academy: ha trovato un negozio diverso dalle botteghe a cui era abituato. Lì dentro, incontra Marco Isola, il titolare, con cui, per qualche ragione, entra in sintonia: «Ha visto aprire la porta un ragazzino, così preso dalla sua bicicletta che l'istinto l'ha portato, in qualche modo, a farsi partecipe del mio percorso. Ricordo la volta in cui gli chiesi delle ruote: "Non voglio niente, tienile, poi me le riporti dopo l'utilizzo". E succedeva sempre così». In quel momento nessuno lo sapeva, ma, da Bike Academy, in un certo senso, Simone Massoni non sarebbe più uscito e quello sarebbe diventato il suo mestiere.

C'entra una piccola delusione, una piccola paura. Non passeranno, infatti, molti mesi e Simone parlerà ai suoi genitori dell'idea di comprare una bicicletta da strada. Gli diranno di no e lui tornerà in quel negozio, piccolo e raccolto come il suo paese natale: «Marco, vorrei una bicicletta da strada, però non posso spendere molto. Ne hai una economica? A me va bene anche usata». Marco Isola non resta tanto a pensarci: «Non sto nemmeno a cercarti la bici che mi chiedi. Prendi quella, te la presto io!». Dapprima sarà una bella bicicletta in alluminio, poi, qualche tempo dopo, addirittura la bicicletta stessa di Marco. Non solo: qualche volta anche un completo per correre, qualsiasi cosa mancasse e potesse essergli utile. Passo dopo passo, quei due cementano il rapporto: maestro e discepolo. Il lavoro inizierà d'estate, mentre Massoni va ad aiutarlo, a scuole finite: «Non avevo ancora la patente, così mi accompagnava mia mamma e mi veniva a prendere la sera. Quante mezz'ore ha trascorso in auto, con la radio accesa, ad aspettarmi ed io non uscivo mai perché ero intento a parlare con Marco, a chiedere, ad imparare nuove cose e mi scordavo delle ore che passavano». Dice Simone che, per descrivere Isola, non basterebbero ore: un signore con il classico fare da bottegaio, parola che riporta all'artigianalità di una professione, persona semplice, legata alle origini e con un rapporto raro con i clienti.

Pare che Marco, negli anni, abbia sviluppato una particolare dote nel riuscire a empatizzare con chi arriva in negozio e che, spesso, dica a chi lavora con lui che è importante capire al primo sguardo ciò che desidera il visitatore per riuscire a consegnargli non solo una bicicletta, ma anche la soddisfazione di aver trovato ciò che cercava. Un desiderio di chiunque quando si fa un acquisto, una legge non scritta in Bike Academy. «Non siamo degli indovini, non possiamo prevedere nulla, ma farsi un'idea della persona che si ha di fronte serve soprattutto a metterla a proprio agio. Il rispetto si declina in varie forme: nell'usare un linguaggio semplice con chi chiede quel linguaggio, nel non complicare le cose, nel non mandarlo a casa con le idee confuse. Dove serve semplicità dobbiamo mettere semplicità. Allo stesso modo, però, dobbiamo essere pronti alla complessità, alle tante nozioni, perché qualcuno vuole saperle e ne ha pieno diritto, come noi abbiamo il dovere di essere preparati». Un aspetto importante, quanto difficile perché la sintonia con chi c'è dall'altra parte non si può spiegare, non si può insegnare.

Quel piccolo negozio dei tempi del liceo di Simone ne ha passate tante, tra cui due furti importanti e varie vicissitudini, fino ad ingrandirsi, su un fondo di seicento metri quadrati, quello che ospita tutt'oggi Bike Academy. Un luogo costruitosi piano piano, pezzo-pezzo, nel tempo, che, probabilmente non ha mai avuto un preciso disegno uniforme, dal punto di vista dell'arredamento, dell'imbiancatura, ma è sempre stato unito da qualcosa di differente che ha il suo centro in un certo modo di intendere la bicicletta. Il colore predominante è il grigio, camminiamo su un parquet. Al piano terra troviamo le diverse bici, gli accessori ed i ricambi, l'officina è sulla destra ed ha un ingresso autonomo, in modo che i visitatori possano accedervi direttamente, al bisogno. Al piano superiore, c'è il negozio con ogni tipo di abbigliamento e varie tipologie di occhiali. Poco più in là la zona dedicata al bike fitting, dove lavora il biomeccanico, un ragazzo laureato in Scienze Motorie che si occupa di tutti gli aspetti legati alla messa in sella. In officina troviamo Lissano, il meccanico di Bike Academy, quello degli inizi, affiancato da qualche tempo da Federico. Lissano ha padre italiano e madre originaria della Repubblica Dominicana, proviene dall'endurance e prova a conoscere la bicicletta sotto ogni sfumatura, anche quella legata alla responsabilità: «Ogni tanto ne parlo con Marco- prosegue Simone- poi vado in officina e mi raccomando con i meccanici. Mettere le mani su una bici è davvero un compito delicato: per il costo che ha, per la spesa che sostiene chi l'acquista ed anche e soprattutto per il fatto che viaggerà sulla strada e, per questo, deve essere sicura, è necessaria cura, attenzione ad ogni dettaglio, nessuna negligenza».

In questa direzione vanno anche i primi consigli che Simone ed i suoi colleghi danno a chiunque acquisti una bicicletta: si parla di freni, dell'utilizzo dei fanalini, del radar, dell'abbigliamento all'avanguardia, degli inserti riflettenti, del casco migliore, delle adeguate protezioni. Senza mai prescindere, però, dal fatto che la strada è luogo di condivisione, di rispetto degli utenti più fragili e nulla può ovviare a questo principio che dovrebbe diventare patrimonio comune.

«Un pizzico di dubbio resta sempre. Certe volte non ci sentiamo all'altezza, abbiamo timore di non esserlo. A me succede quasi sempre prima di iniziare la giornata lavorativa e non credo sia necessariamente qualcosa di negativo. Penso, invece, che attraverso quel timore si possa crescere, si possa continuare a studiare, a migliorarsi. Sono certo che quel timore sia il fondamento dell'umiltà di fronte a chi viene in Bike Academy. Mi dicono o mi chiedono qualcosa che non so? Devo ammetterlo e mettermi al lavoro per rimediare alla lacuna, senza fuggire, senza prendersela». Lucca è un luogo privilegiato per pedalare in direzione Versilia, per salire al Monte Serra o al Monte Pisano, per dirigersi verso l'Abetone o andare in Garfagnana, ma è anche luogo di grande passione e competenza ciclistica: «Io direi, innanzitutto, che la prima caratteristica dei lucchesi è di essere "braccini corti", penso ci conoscano in tutta Italia per questo. A parte gli scherzi, qui la bicicletta è vissuta a pieno, abbiamo ex professionisti in città, su tutti Mario Cipollini. Questo per dire che ci piace anche l'aspetto agonistico del ciclismo». Anche Simone Massoni gareggia, fra gli amatori, e, talvolta, accompagna amici alle gare. Qualche settimana fa, ad esempio è stato in Belgio, per il ciclocross, in veste di meccanico: «Se sei attento, in corsa vedi delle chicche rare che, ovviamente, non si trovano nella quotidianità. Io osservo ancora meravigliato e poi cerco di "rubare" qualche segreto che porto nel mio mestiere». L'interesse è genuino come la sorpresa, nonostante le ore ed ore vissute a contatto con il mondo della bicicletta e con ogni suo ingranaggio: «Qualcuno che ha fatto questo stesso lavoro per anni e, successivamente, ha cambiato settore, mi ha confessato di essersi allontanato da questo ambiente, di far fatica anche solo a riprendere in mano una bicicletta. A me non sta succedendo, mi auguro che non accada mai e, in un certo senso, sono certo che non accadrà, perché il mio legame con questo mezzo viene da troppo lontano».

Marco Isola, oggi, lascia sempre più spesso spazio a Simone, alle sue idee, ai suoi progetti: per esempio il sito internet di Bike Academy, qualcosa che Marco pensava da tempo, ma che ha realizzato veramente solo con l'arrivo di Massoni. Oppure al noleggio, un'altra possibilità di familiarizzare con la bicicletta e partire, per un viaggio o per una gara. «Il nostro è un essere a disposizione. A me piace interpretare così lo stare in negozio o in officina: la possibilità di esserci per il bisogno di qualcun altro. Di dare una mano, di aiutare a risolvere un problema o a scegliere». Nello spazio antistante al locale, c'è qualche macchina: chissà se c'è qualcuno a bordo, chissà se sta aspettando un figlio, un parente, un amico, all'interno del negozio, magari a chiacchierare, come qualche anno fa faceva Simone che, ora, è la voce narrante di Bike Academy.


Cicli Mattio, Piasco

Tutto è iniziato nel 1996, a Piasco, «un paese che pare dimenticato da Dio», poco più di duemilaottocento anime, il primo paese sulla strada che porta al Colle dell'Agnello, le montagne ad un soffio e "l'anima di legno", quello delle piante che con le loro radici sostengono le vette, lassù, dove in questo strano inverno la neve si fa desiderare. Piasco, ovvero il "paese delle arpe" e delle loro corde che pizzicate emettono il classico suono angelico, morbido, delicato, quasi magico. A circa duecento chilometri da qui, a Sanremo, Gabriele Colombo, il 23 marzo, conquistava la "classica di primavera", la Milano-Sanremo, davanti ad Oleksandr Hončenkov e Michele Coppolillo; da queste parti, invece, in un locale grande come il soppalco, dove, seduti su degli sgabelli, appoggiati ad una botte, trasformata in un piccolo tavolo, dialoghiamo, Silvio Mattio ricominciava. Aveva ben poco con lui: qualche chiave a brugola, qualche chiave a filiera inglese, una cassetta Campagnolo, «che all'epoca costava quattro milioni e mezzo», e un cavalletto, ma bastava questo per lavorare su qualunque bicicletta arrivasse in negozio. Anche il bagno era all'esterno, d'inverno l'acqua gelava e chi si trovava lì a lavorare, se aveva necessità di usufruire della toilette, doveva chiudere il locale e tornare a casa. All'interno, i metri quadri erano pochi, è vero, eppure le mensole, dove si esponevano gli oggetti e gli ingranaggi, sembravano sempre scarne, allora si riempivano gli spazi con le scatole vuote degli articoli già in mostra. In quel paese, qualcuno gli aveva detto che, ormai, nessuno sarebbe più andato in bicicletta, perché «ci sono le macchine», qualcun altro l'aveva avvertito: «Se ce la farai, ti considereranno un evasore, se non ce la farai ti daranno dell'incapace. Il merito non te lo riconoscerà mai nessuno». Terzo di tre fratelli, lui aveva fatto, parafrasando il gergo ciclistico, qualcosa di simile a Colombo alla Sanremo o, forse, a suo fratello Claudio, detto "Giari", "topo" in dialetto piemontese, che aveva iniziato a correre in bicicletta a seguito di un problema all'anca. "Giari" non era molto alto di statura, così tendeva agguati quando nessuno se lo aspettava e il vento contro avrebbe respinto chiunque, «figuriamoci lui, che sarebbe dovuto rimbalzare, invece vinceva». Una follia, insomma.

Suo suocero l'aveva preso da parte e gli aveva parlato, mentre Silvio pensava all'opportunità di usare a questo fine i trentacinque milioni di liquidazione dal suo precedente incarico in Michelin, appassionato di auto, fine conoscitore della meccanica dell'automobile, probabilmente sulla scia dell'altro fratello, che gareggiava nei rally e seguiva la Formula1: «Un posto a casa lo hai, comunque vada. Credo tu debba provarci, altrimenti non lo farai più». La meccanica delle biciclette è certamente più semplice di quella delle macchine, Silvio Mattio si sente a proprio agio con le mani fra l'olio e gli ingranaggi: «Avevo imparato molto bene a fare le ruote. Ricordo che l'incrocio dei raggi era particolarmente complesso, eppure mi piaceva lavorarci. Del resto, del ciclismo mi ha sempre affascinato il fatto che sia l'esatto opposto di ciò che è scontato, dell'ovvio. Puoi non essere il più forte, ma non partirai mai con la certezza di arrivare secondo, perché vincono anche i gregari, talvolta gli sfortunati, spesso i dati per sconfitti in partenza. Sembra romanticismo, è realtà». Quel romanticismo che parrebbe spazzato lontano, quando Mattio esclama: «Ho pensato almeno cento volte, in realtà molte di più, di chiudere tutto e gettare le chiavi da qualche parte, in modo che fossero introvabili. Non mi vergogno a dire che ho fatto assegni postdatati per molti anni della mia vita. Ho pensato di abbandonare tutto, ma, quando arrivi ad un certo punto, non puoi nemmeno più lasciar perdere. Hai troppe responsabilità addosso». Invece ne esce rafforzato, come tutte le cose vere.

Da quel negozio, se ne formeranno due, poi tre, poi ancora due ed infine uno solo, più grande, quasi duemila metri quadrati di superficie, quello in via Donatori di Sangue, numero uno, dove ci troviamo, sempre a Piasco, non lontano da Cuneo. Nei primi mesi del 1996, erano molti i giorni trascorsi in banca, a chiedere liquidità, ma anche in quel 2010 in cui è nata questa sede le cose non erano facili. Si trattava del periodo della crisi del sistema bancario e i Mattio avevano da pagare idraulici, imbianchini, falegnami, fabbri, tutte persone che avevano dato forma a questi locali.

Il legno alle pareti è la cornice di Cicli Mattio, perché fa casa ed è un richiamo al paese, alla montagna e alla campagna, qualcosa di familiare: alle pareti del soppalco qualche ritaglio di giornale, qualche foto, poco più in là una libreria, dove ci sono riviste, ma anche libri. Non solo di ciclismo: romanzi, novelle, avventure. Ogni tanto qualcuno ne chiede uno in prestito, lo porta a casa, lo legge e lo restituisce, con sottile orgoglio di Silvio. Un tavolino ed i divanetti completano il quadro. Altrove solo biciclette, di media e alta qualità: «Il centro sono loro. L'arredamento doveva essere semplice per mettere chiunque a proprio agio. Vedi le luci là in fondo? Erano del vecchio negozio, come molte delle vecchie maglie appese e altri oggetti. Questo locale è nato a pezzi, è una sua caratteristica, a richiamare lo spirito di adattamento che abbiamo scritto anche sulle nostre magliette». L'officina è valorizzata, in un locale a parte, con accesso separato, al piano superiore gli usati, il magazzino e gli imballaggi. Il grande tavolo della sala riunioni è utilizzato anche per il pranzo dei dipendenti e gli spogliatoi sono dotati di doccia e stendino: «Parliamo spesso dell'importanza di utilizzare la bicicletta: parole sante. Ma il problema sono sempre state le infrastrutture: non dobbiamo solo chiedere alle persone di pedalare, dobbiamo metterle nelle condizioni di farlo. Una doccia sul luogo di lavoro può aiutare, ad esempio. Un fatto che segue alle parole». Piasco è legato a doppio filo al ciclismo, merito di due squadre cittadine, il Velo Club Esperia Piasco, nato nel 1972, Elisa Balsamo è passata da lì, ed il Team Vigor, nato vent'anni dopo, segnate da una sana rivalità sportiva. Negli anni, hanno vestito quelle magliette migliaia di ragazze e ragazzi, di bambine e bambini, pochi oggi sono professionisti e hanno fatto del ciclismo il proprio mestiere, ma non conta: «Una corsa ciclistica dura quattro, cinque, fino a sei o sette ore. Quante cose passano nella mente in tutto quel tempo? Ancor di più in una corsa a tappe in cui ogni giorno è un capitolo nuovo, già intriso della fatica dei capitoli precedenti. In un istante si sente di potercela fare, nell'altro ci si chiede come si arriverà al traguardo, un pomeriggio si attacca e nell'altro si maledice chi, là davanti, allunga il plotone, mentre i muscoli chiedono pietà e l'acido lattico ti divora. Non succede anche in una qualunque nostra giornata? La gente aspetta ore sui tornati perché lo sa, perché anche noi persone comuni facciamo di tutto per "andare avanti", per resistere un altro giorno o un'altra ora. Allora capiamo quei meravigliosi gladiatori in sella». E Cicli Mattio è anche un luogo di comprensione e di ascolto. Non a caso, Silvio lo descrive come una sorta di confessionale ed ogni tanto si alza, va a salutare un cliente, qualche domanda, una pacca sulla spalla, talvolta un abbraccio, vecchi amici o nuove conoscenze. Ogni tanto senti qualche cliente sorridere o ridere di gusto, sono i suoi aneddoti a scatenare la risata.

«Qui le persone si raccontano. Magari si sfogano per i problemi a casa, perché la moglie non vuole che escano in bici o che l'acquistino. Altre volte sono le prestazioni a frustrarli o il dubbio, quando si accingono a comprare una bicicletta costosa, di alto livello. Forse non fa per loro, ma un ciclista è un appassionato, sceglie sulla base della bellezza e di un richiamo primordiale che non si può contrastare. Alla fine lo dico: "Non credi di meritartela?". A quella domanda escono tutte le fatiche, le sofferenze e i problemi della quotidianità, ti guardano ed esclamano disarmati: "Sì, me la merito, senza dubbio". Sono nati così quegli "zainetti" con quella scritta». Spiega Silvio Mattio che, alla fine, è questa la parte più bella del suo lavoro, una parte da tenere sempre ben collegata a un principio: al visitatore bisogna consegnare ciò che gli serve, non ciò che si vuole vendere a tutti i costi. Altrimenti non si manca solo di professionalità, ma si è anche scorretti, a livello etico.

Silvio Mattio ci accompagna in officina, dice di volerci mostrare i meccanici all'opera: «Senza tutte le persone che lavorano qui e senza i miei soci non ci sarebbe nulla di tutto quello di cui ti ho parlato. Non sono io il protagonista, si tratta di un'attività corale con alla base regole ben precise, declinate e appese alla parete: sicurezza, amore, competenza, responsabilità ed empatia. L'errore ci sta, siamo umani, non tollero, però, la sciatteria, la mancanza di cura e di voglia e quando le noto grido, ah, se grido». L'officina è il luogo in cui, da bambini, sono cresciuti i suoi tre figli: Mattio spiega che molte cose pratiche, della bicicletta e non solo, le hanno imparate dai meccanici, dalle ore in cui restavano ad osservarli e da quanto si divertivano. Al sabato partecipavano alle gite aziendali, momenti utili a fare gruppo, a smaltire le piccole tensioni che possono generarsi sul lavoro. Poi, tutti e tre, hanno corso, Pietro gareggia ancora, quest'anno con la Visma-Lease a Bike, ma, tutt'oggi, quando possono vengono qui a dare una mano: «Ho sempre detto a loro quello che dico a tutti i giovani: non ditemi che non potete studiare, se pedalate. Certo, dovrete fare a meno di qualche momento libero, ma è la vita e, nella vita, un piano b è essenziale. Mentre gli alibi sono da bandire, sempre». Fu proprio Pietro, però, durante una gara in notturna, in maglia Vigor, da ragazzino, a dare una lezione a suo padre. Quella sera, Pietro inseguiva una fuga, in un circuito, assieme ad un altro ragazzo del Velo Club Esperia. Silvio arrivò in moto, in ritardo, trovò un varco tra le transenne e, dopo qualche giro, vedendo suo figlio sempre in testa a tirare ed il margine che non si riduceva, gridò all'atleta di Esperia: «Potresti anche dargli un cambio, ogni tanto». La gara finì, Silvio e Pietro si ritrovarono e fu proprio Pietro a prendere la parola: «Sai una cosa, papà? In quel frangente ero sempre io in testa, dall'altro lato del circuito, però, era lui a fare il ritmo. Perché hai parlato senza sapere le cose? Quel ragazzo non ha nulla da rimproverarsi».

Silvio Mattio sta in silenzio, ci pensa, i suoi occhi cambiano: «Ci illudiamo di aver visto la gara e vediamo qualche metro. Noi genitori siamo quasi tutti così. Dobbiamo cambiare, dobbiamo capire che è il divertimento dei nostri figli e devono viverlo a modo loro, senza intromissioni o giudizi». Ancora qualche racconto, proiettato nel futuro, all'orizzonte, infatti, c'è aria di cambiamento: la zona abbigliamento sarà più in vista, ad esempio. Poi, Silvio, apre la porta dell'officina e, là, in fondo, c'è Pietro intento a sistemare la propria bici, tornato da pochi giorni da un ritiro e pronto a ripartire, per la nuova stagione. Padre e figlio si avvicinano, guardano quella bicicletta, noi ci spostiamo, li osserviamo da una postazione appartata. Un altro giorno di lavoro si è concluso e, come sempre, a sera, ci si ritrova.