Supernova

Simile a una supernova è deflagrata la potenza in sella di Tadej Pogačar, nei 40 chilometri che uniscono Foligno a Perugia. Un'esplosione derivata dal contatto di forza, di aerodinamicità, di leggi della fisica, di delicati equilibri e polmoni forti così. Una miccia, una reazione, accesa dal desiderio, racchiuso nel grido dopo il traguardo: volontà che brucia, rinunce che accendono e scompigliano. Si dice che una supernova che esplode possa liberare, per brevi periodi, “l'energia” superiore a quella di una galassia, ma noi torniamo all'asfalto, alle nostre strade e alle nostre città, perché in quello scenario un ciclista sviluppa i propri muscoli, collauda una posizione all'apparenza impossibile da tenere per qualche chilometro, figuriamoci per quaranta, figuriamoci per 51 minuti e 44 secondi di sforzo, quello è il suo tempo. Sarebbe facile parlare di spazio, perché le biciclette assomigliano sempre più ad astronavi, per perfezione e studio, a qualcosa che sfidi lo spazio interstellare, come il tessuto che si portano addosso, una seconda pelle a cui sono state applicate matematica e fisica, calcoli e geometrie, per accrescere la velocità, per ridurre l'attrito con l'aria. Verrebbe facile, invece, restiamo agli uomini, alla macchina umana che fa cose bellissime, a quelle visiere in cui il mondo corre come un'impressione. Vince Pogačar e pone distacchi importanti sui suoi più diretti rivali per la classifica generale che, un poco, hanno la tentazione di guardarlo come un extraterrestre. Siamo convinti che in quelle gambe ci siano stati anche tutti gli scatti che, forse, aveva in mente, ma ha risparmiato, ha trattenuto. Ora li ha addosso Geraint Thomas che ha pagato due minuti.

E simile a una supernova è esplosa la bellezza di Filippo Ganna in sella. Qualcosa che ha a che vedere con l'architettura, che disegna lo spazio in cui scorre. Viene da pensare che Filippo Ganna e la bicicletta siano un corpo unico durante lo sforzo, perché traspare una facilità, una genuinità nello sforzo che è apparenza. Chiedete a Ganna la fatica che si fa, oppure limitatevi ad osservarlo al traguardo, svuotato, stanco. Il talento esce così: consuma chi lo mette in pista, mentre chi guarda ha la sensazione di essere trasportato altrove, in un futuro da fantascienza in cui tutte le logiche siano sovvertite e un uomo possa fare l'impossibile. No, c'è il vento, l'acido lattico, le giornate no, la paura, l'insoddisfazione, il tempo e lo spazio che divorano, mentre un ciclista, da solo, nei propri pensieri, divora l'asfalto, ci prova almeno. Per questo suscita meraviglia quel che è avvenuto, quel che avviene. Per questo Lorenzo Milesi, autore di un'ottima prova, tra l'altro, mentre osserva lo schermo in cui è replicata la prova in sella di Ganna, durante la salita, quando riprende e supera con apparente facilità avversari scattati prima di lui dalla pedana, sorride come si sorride quando ci si stupisce, quando si manifesta un fatto che, come esseri umani, fatichiamo a capire, ma ci piace. Anche se sappiamo che lo pagheremo, forse lo pagheremo anche caro: chi va più veloce, passa una posizione avanti, scarica secondi, forse minuti, sugli altri. Tuttavia di fronte a certe velocità, a certe perfezioni, non si riesce a non dire nulla, a non fare nulla. Vogliamo esserne partecipi, in un modo o nell'altro e ci sembra uno spreco poter guardare, solo guardare.

Guardare il padellone di Ganna, il modo in cui fa la barba alle curve. Guardare gli ultimi chilometri in salita di Tadej Pogačar, la sincronia perfetta tra il terreno su cui pedala ed il suo fisico, aumentando, controllando, la gestione dello sforzo, la mente sempre un pezzetto più avanti. Il suo predicato verbale è "migliorare". Dice che è sempre possibile migliorare e che la sua ricerca è per una comodità sempre maggiore in sella, durante lo sforzo, che pare un assurdo, ma assurdo non è. Come stranisce tutti l'insoddisfazione di Filippo Ganna dopo una prova che ha lasciato zitti, in silenzio, a chiedersi dove sarebbe arrivato nel suo giorno migliore. È un ciclista e un ciclista non conosce le stelle o la volta del cielo, conosce ogni sensazione del proprio corpo, conosce il proprio potenziale e vuole sentire di averlo raggiunto, pure se perde. Quella è la sua ricerca, l'unica possibile sopra il destriero che ha nome bicicletta. I calcoli per dare uno spazio al dominio di Pogačar continuano, è giusto così, qui ogni giorno si sa qualcosa di nuovo ed è un piacere questa curiosità. Come quando provavamo a fissare il sole, chissà perché, pur sapendo che era impossibile: «Fu solo accecato dalla luce, libero come un diavolo, un altro corridore nella notte, accecato dalla luce. Mamma mi diceva sempre di non guardare verso la luce del sole, ma mamma, è lì che c'è divertimento». Sì, Bruce Springsteen.

Foto: SprintCyclingAgency


Beh, nessuna domanda?

Ieri sono successe diverse cose più o meno divertenti a Tadej Pogačar. Prima della tappa ha vestito pantaloncini rosa, per il secondo giorno consecutivo: per quanto sia di una futilità estrema, è una notizia. Durante la tappa è andato, come tutti i colleghi, a oltre 50 chilometri all’ora nella prima ora e mezza, ha affrontato le montagne russe successive a Volterra in uno scenario incredibile, surfato sui settori di sterrato, flirtato col pensiero di perdere la maglia rosa. E invece gli è rimasta addosso, non per meriti suoi.

Dopo la tappa è salito sul palco delle premiazioni e, nel lanciarli al pubblico, ha colpito il tetto. I fiori si sono schiantati come una tortora contro il vetro, ricadendo tristemente al suolo. Anziché ridere della scena – un’occasione piuttosto facile per farsi una risata auto-ironica – Pogačar ha fatto il gesto di mandare a quel paese i fiori e tutto quanto, e poi se n’è andato scocciato.

Tutto un po’ strano, vero?

È successo, nelle fasi più concitate di corsa, che la Ineos Grenadiers di Geraint Thomas, il rivale più accreditato a rubarne lo scettro, si è messa a tirare. Per la vittoria di tappa di Jhonatan Narvaez, dicono loro, ma ci dobbiamo credere? L’impero del male, la più perfida squadra degli ultimi quindici anni nello sfruttare le debolezze altrui, ha colpito ancora: la maglia a Pogačar hanno voluto lasciargliela addosso. Così è dovuto tornare sul palco, ha dovuto firmare nuovamente una caterva di autografi e rispondere alle domande dei giornalisti. Poi è anche entrato nell’autotreno in cui si tiene la conferenza stampa aperta a tutta la stampa e lì, di nuovo, lo abbiamo incontrato.

«Stiamo perdendo il controllo» la frase d’esordio, con la quale entra nel van. La seconda cosa che dice è una piccola gag che aveva già fatto: si siede, aspetta pochissimi secondi, e dice una variazione di «beh nessuna domanda? Ok, ciao!» e finge di andarsene. Seguono risate nervose, sue e della stampa. Ovviamente le domande sono poi arrivate, lui ha risposto alle volte dettagliando alle volte scazzato, mai torrenziale nel flusso dei pensieri. Da una parte sembra consapevole di essere il più forte, e questo lo fa sentire bene perché senza la vittoria non sa stare; dall’altra non sembra divertirsi granché: che sia – ed è incredibile per uno che ha dimostrato il suo dominio – preoccupato?

È illeggibile, imperscrutabile, pur essendo un campione amatissimo e buonissimo di cui si conosce ormai ogni cosa. Provando a fargli domande, si prova un senso d’imbarazzata ed esitante timidezza: si teme che possa non rispondere, che possa blastarti, che usi solo un monosillabo. E probabilmente va benissimo così, non ci deve nulla, e anche trovare una domanda al giorno è un’impresa. Forse però la soluzione degli enigmi – sulla vera natura di Pogačar e sul vincitore del Giro – è più lontana del previsto.

La cronometro di oggi ci dirà molto di più. Non vediamo l’ora: se sei qui per scherzare con gli avversari, Tadej, oggi è la tua prima vera occasione.

Foto: Sprint Cycling Agency