Il Tour de France Femmes 2024 va in archivio. A vincerlo è Kasia Niewiadoma su Demi Vollering e Pauliena Rooijakkers. Nelle pieghe della corsa, cinque aspetti -o forse giusto qualcuno in più- che non potevamo non raccontare.

«NOI, COME DONNE, CE L’ABBIAMO FATTA. SIAMO QUI!»

“Quello che mi porto a casa da questo Tour de France Femmes è che noi, come donne, ce l’abbiamo fatta. Siamo qui”: sono parole di Sofia Bertizzolo, UAE Adq, al primo Tour de France. Anzi, sono parole di Sofia Bertizzolo nel giorno del ritiro dal Tour, la prima corsa a tappe che non riesce a concludere. Insieme a questa riflessione, considerazioni su tutte le persone ad attendere la corsa in strada, ad aspettare il gruppo, per festeggiarlo: a Rotterdam, alla grande partenza, in pianura, in tappe senza grandi sorprese e sui tornanti dell’Alpe d’Huez. Anche in questo, ce l’hanno fatta le donne, soprattutto le donne, e non può essere dimenticato. Ce l’hanno fatta con la fatica ed il merito, perché è così che si fa, ce l’hanno fatta con i sacrifici e le sconfitte, ce l’hanno fatta, anche, va detto, con un patrimonio di piccole e grandi ingiustizie quotidiane che non riguarda solo lo sport. Ma qui di ciclismo si parla. Ed il ciclismo, come lo sport e tutta la quotidianità, è anche (ci piacerebbe dire soprattutto) un fatto di cultura, di conoscenza e consapevolezza. Non esiste altra possibilità per farcela e per fare in modo che, in ogni domani, ci siano sempre più donne a farcela, con lo stesso merito, ma con un punto di partenza uguale e con sacrifici ripagati allo stesso modo, con un lavoro ripagato allo stesso modo. Non ci si può fermare di raccontare. Chi conosce si interessa, chi si interessa scende in strada, chi scende in strada, chi accende il televisore o chi legge un articolo conosce e solo conoscendo si può contribuire ad una realtà diversa, forse, più giusta. Per questo, a nostro avviso, non esiste considerazione sulla corsa, senza questa considerazione madre.

ESSERE KASIA, ESSERE DEMI

Nel tardo pomeriggio di domenica, diciamo verso le diciannove, davanti ad un televisore o sulla linea del traguardo, non sapevamo più cosa pensare, cosa provare. Il punto è che, in quell’istante, a battaglia finita, eravamo tutti sia Kasia Niewiadoma che Demi Vollering, ci riconoscevamo sia nell’una che nell’altra. Allo stesso modo. Nella gioia incontrollabile di Niewiadoma per la conquista del Tour de France, dopo un inseguimento infinito (più di cinquanta chilometri, tra Glandon e Alpe d’Huez) e dopo tante, forse troppe, delusioni, tanti, forse troppi, secondi posti, vittorie sfiorate e lasciate andare. Non esiste nessuno che non ne capisca la portata, il significato, che non possa immedesimarsi, anche in chi non ha mai pedalato. In egual maniera, tutti possono comprendere il “non è abbastanza” detto tra le lacrime di Vollering, a terra, sfinita, con in mano una vittoria tanto bella quanto apparentemente inutile, un’impresa degna delle più grandi imprese del ciclismo che si realizza a metà e lascia il vuoto. Senza quella caduta, Vollering avrebbe vinto il Tour? Probabile. Sicuramente la corsa avrebbe avuto un altro svolgimento, ma le cadute sono parte della corsa. Non sono, invece, necessarie troppe analisi e non occorrono dietrologie, per dire che, nei meccanismi di Sd-Worx, nel giorno della caduta di Vollering, qualcosa non abbia funzionato, perché, se la maglia gialla cade, qualcuno ad attenderla dovrebbe esserci sempre. Un problema alla radio? Un errore di comunicazione? Non serve neppure parlarne ora. Domenica eravamo tanto Kasia Niewiadoma che Demi Vollering, dimezzati eppure interi. Accade con i libri e accade con lo sport: si vivono più storie, più vite.

LA FAVOLA BELLA

La prima volta che abbiamo scritto di Pauliena Rooijakkers, in questo Tour de France, era dopo la tappa di Morteau, quella vinta da Cèdrine Kerbaol: Pauliena era da sola, da un lato delle transenne, a piangere, mentre la festa di Kerbaol esplodeva. Sentiva di aver perso un’occasione, visto che al momento dello scatto della francese era stata l’unica a crederci. Lo scatto del giorno seguente, verso le Grand Bornand era un tentativo di rimediare a questa possibilità andata in fumo. Ma la vera favola bella di Rooijakkers si realizza nella fuga infinita di Demi Vollering verso l’Alpe d’Huez, quando l’unica a tenerle la ruota è proprio lei. Tutti parlano del testa a testa tra Niewiadoma e Vollering ma, se Rooijakkers precede l’olandese al traguardo, il Tour è suo. Non succederà, finirà al secondo posto di tappa e terza in classifica generale, tuttavia sarà comunque una favola bella. Non è un nome nuovo quello di Rooijakkers: solo un mese fa, al Giro d’Italia Women, ha concluso quarta e, a trentuno anni, le sue caratteristiche, già ben conosciute nel plotone, stanno ancora evolvendosi. Le salite lunghe le piacciono, ma alla maglia gialla non pensava nemmeno. Ha ringraziato la squadra, ha detto di dovere molto alle sue compagne ed in effetti Fenix Deceuninck è uno dei team che meglio si sono mossi in questo Tour de France Femmes: Yara Kastelijn e Julie De Wilde, tra le altre, le sono sempre state al fianco. Di Puck Pieterse nemmeno parliamo. Sì, perché il paragrafo successivo è dedicato proprio a lei.

LA PRIMA DI PUCK

Da Valkenburg a Liegi, nei luoghi simbolo delle Classiche, Puck Pieterse, ventidue anni, ha sfidato con piglio e senza alcun timore la maglia gialla Demi Vollering e, in una volata all’ultimo respiro, ha strappato la prima vittoria su strada tra le élite, lei che è specialista di cross e mountain bike. L’anno scorso, il sesto posto alla Strade Bianche aveva già messo in risalto le ulteriori potenzialità di questo giovane talento, qui l’esaltazione e la conferma, ammesso che servisse, con giusto otto giorni di gara prima del Tour. Tuttavia, raccontare il Tour di Pieterse è discorso ben più complesso del racconto di quella vittoria: una maglia a pois conquistata e difesa per diversi giorni, spesso in sprint a due con Silvia Persico, prima che passasse a Justine Ghekiere, e la maglia bianca finale che la consacra miglior giovane del Tour de France Femmes, davanti a Shirin van Anrooij e Marion Bunel. Inciso: occhio anche a Bunel che, dopo la vittoria di Alpes Grésivaudan Classic, a giugno, quando la strada saliva, si è messa in mostra anche in Francia. Tornando a Pieterse, anche Mathieu van der Poel le ha dedicato una storia instagram e molti hanno parlato della sua vittoria, quasi fosse un auspicio di futuro. Nel ciclismo capitano talenti assolutamenti “multiformi”, dalle diverse sfaccettature e possibilità, e, quando si manifestano, tutti respirano a pieni polmoni, a prescindere dalla nazionalità o dalla squadra. Sì, perché servono, come l’aria, e fanno bene a tutti. A chiunque guardi, a chiunque si esalti.

TOURBILLON

Sì, Tourbillon, ovvero chicche, note, appunti alla rinfusa. Un poco di tutto quello che ci ha colpito.

-Le volate sono il regno di Charlotte Kool, due su due e la maglia gialla dopo la prima. Una sorta di sogno. A inizio anno avevamo parlato con Rachele Barbieri di come si sarebbe strutturato il treno di firmenich-dsm, ora abbiamo la risposta. Allo stesso modo sappiamo del feeling tra Kool e la sua ultima donna, tra Kool e Barbieri. L’abbiamo visto in volata, l’abbiamo visto nei giorni più difficili di Kool, quelli che hanno preceduto il ritiro. Sempre lì, a scandire il ritmo, a sostenere, ad aiutare, solo con la presenza. L’ultima donna è anche questo.
-Marianne Vos è sempre più “regina”: trentasette anni, sempre nelle prime posizioni nelle tappe a lei adatte, in fuga, sin dai primi chilometri, anche nelle tappe più dure per conquistare punti preziosi per raggiungere il proprio traguardo. Alla fine, la maglia verde della classifica a punti è sua.
-Il grazie qui lo dobbiamo a Andy McGrath che, sul proprio profilo X, ha scovato una chicca: provate a mettere in fila i piazzamenti di Sarah Gigante a questo Tour de France Femmes. Cosa notate? 117-84-56-34-30-25-11-8. Esatto, una crescita costante che l’ha portata a chiudere in settima posizione in classifica generale. Un gran bel Tour, non c’è che dire.
-Azzurre? A fine Tour, in classifica generale sono da segnalare il quinto posto assoluto di Gaia Realini ed il dodicesimo di Erica Magnaldi. Silvia Persico ha provato a lottare per la maglia a pois, Cristina Tonetti, invece, l’ha vestita ed è stata la prima italiana a indossare una maglia di leader di una classifica dal ritorno del Tour.
-Impossibile non menzionare due veri e propri numeri: quello di Cèdrine Kerbaol a Morteau e quello di Justine Ghekiere a Le Grand Bornand: fantasia, coraggio e intraprendenza. Buone doti per una ciclista.

Foto: Sprint Cycling Agency