Se tutti sbagliano strada vinco io
Racconto assurdo di una tappa vera alla Volta ao Algarve.
Quasi fosse un monito, tra i palazzi moderni di Lagos sbuca una palazzina residenziale con un graffito sul fianco. Rappresenta un teschio alle prese con un’antica macchina da presa. Il cinema vero sta per accadere lì di fronte. Altri personaggi compaiono da un universo parallelo a quello del ciclismo: un uomo con coppola e vestito lungo in stile Twin Peaks, un altro in maniche corte e infradito in quota Baywatch. Che temperatura faccia nel sud del Portogallo a fine febbraio è un mistero.
I fatti li ricorderete. La prima tappa di una corsa a febbraio inoltrato, la Volta ao Algarve, sta per terminare con uno sprint. Nel chilometro finale le squadre dei velocisti scalpitano: c’è la Intermarché per Girmay, la Red Bull-Bora per Meeus. Una tipica volata, insomma. Senonché, a 500 metri dal traguardo, gran parte del gruppo sbaglia strada.
L’errore ha del clamoroso. Non sbagliano uno o due corridori, come abbiamo già visto, ma quasi tutti. Viene imboccata l’uscita delle ammiraglie e d’un tratto il plotone si ritrova sul controviale. Pochissimi corridori capiscono le indicazioni dell’affaccendata motostaffetta: il più lesto a intuire l’errore degli altri ha la sagoma potente di Filippo Ganna.
Lo squarcio d’irrealtà aperto dal finale sdoppiato sembra uscire dagli articoli satirici di Achille Campanile sul Giro d’Italia 1932, o da un capitolo di Bar Sport di Stefano Benni. Ganna mena sui pedali, nel controviale qualcuno vuole gettarsi comunque in volata. Chi vince? E il traguardo dov’è? Impossibile a dirsi.
Sul traguardo vero, intanto, vince Ganna. È uno dei corridori più forti al mondo, cosa se ne fa di una vittoria del genere? In ogni caso gliela tolgono: tappa neutralizzata per (bisogna leggere tra le righe del regolamento) troppe assurdità del finale. Mille domande sorgono qui: cosa pensare al posto di Ganna? La sua squadra, una delle più ricche e vincenti al mondo, avrebbe dovuto lamentarsi, fare ricorso? Se al posto di Ganna avesse vinto João Martins della Rádio Popular-Paredes-Boavista, cosa avremmo pensato? Tutte le risposte sono lecite.
Il circo prosegue. Chi ha sbagliato strada torna indietro qualche metro, supera le transenne con la bici in spalla, taglia il traguardo al piccolo trotto. Lazkano se la ride, Alaphilippe assume un’aria grave. Arnaud De Lie incazzato: «Il corridore in testa al gruppo che ha seguito la moto non ha mai visto una gara in tv». Peccato che fosse un suo compagno di squadra.
È un evento su cui possiamo scherzare perché nessuno si è fatto male. La sicurezza, la responsabilità dell’organizzazione e la segnalazione del tracciato sono elementi cruciali, sempre. Prendiamoci però un momento per ricordare una tappa, solo immaginata da frasi fatte come Se cadono tutti vinco io, oppure Quello non vince manco se gli altri sbagliano strada. In Algarve hanno quasi tutti sbagliato strada e ha comunque vinto chi forse ne aveva meno bisogno tra i 170 partenti. Il suo ragionamento post-tappa non fa una piega: «Ho preso la strada giusta e ho vinto».
Juan Ayuso alle grandi manovre
Quando sale sul palco di San Benedetto del Tronto, Juan Ayuso ha un sorriso appena accennato. A soli 22 anni ha vinto una delle gare a tappe più importanti del calendario ciclistico, arricchendo un palmarès che già comprendeva il Giro dei Paesi Baschi e altri dieci successi tra i professionisti. Però sembra non aver troppo tempo per festeggiare, perché questa Tirreno-Adriatico è solo una tappa di un percorso più grande.
Questa settimana rappresentava un passaggio obbligatorio verso il Giro. Era arrivato alla Corsa dei Due Mari con le stimmate del favorito. Dopo l’ottima crono inaugurale, ha dovuto aspettare la penultima frazione per prendere la maglia azzurra. Un Ganna in condizione super gli ha impedito di vestire prima il simbolo del leader, ma sul terreno a lui più congeniale è riuscito a mettere luce tra sé e gli avversari, arrivando in solitaria a Frontignano.
Non è stata una Tirreno-Adriatico semplice per il gruppo, che si è trovato spesso a correre in condizioni metereologiche avverse. In conferenza stampa Ayuso ha parlato dell’importanza di vivere giornate di questo tipo: «Sono cresciuto molto durante questa settimana, anche mentalmente, soprattutto nelle tappe in cui pioveva ed era freddo. Sono prove importanti, perché al Giro ci saranno delle giornate così e mi ci devo abituare».
Il primo obiettivo dell’anno di Ayuso può dirsi completato con successo. Lunedì sarà alla Volta Catalunya, dove troverà, tra gli altri, Roglič, il suo grande rivale per la Corsa Rosa. Per la prima volta in carriera, il valenciano avrà l’occasione di partire da capitano in un grande giro. «In una squadra come la UAE devi sfruttare ogni occasione che ti viene data - ha detto Ayuso - perché è la migliore del mondo e ci sono tanti che sono in grado di vincere».
Al Giro ci saranno ad aiutarlo Adam Yates, Del Toro, McNulty e Majka, tutti corridori che potrebbero puntare a una top 10. Non ci sarà il campione in carica, Pogačar, e per questo Ayuso potrà finalmente correre da leader: «Quando c’è Tadej in corsa bisogna aiutarlo, perché è il migliore al mondo, forse il migliore della storia».
Alla Tirreno-Adriatico ha superato alcuni degli avversari che troverà anche al Giro, nella lotta per la maglia rosa. Antonio Tiberi può dirsi soddisfatto del terzo posto in classifica generale. È andato benissimo nella crono inaugurale, mentre a Frontignano, con la gamba che non era delle migliori, si è gestito e ha limitato i danni. Buone anche le prove di Derek Gee e Jai Hindley, che sulla carta sarà il vice di Roglic, mentre hanno deluso i gemelli Yates.
In ottica italiana, i protagonisti della settimana sono stati Filippo Ganna e Jonathan Milan. Dal primo ci si aspettava una cronometro fantastica a Lido di Camaiore, ma siamo rimasti impressionati dalla sua capacità di lottare con gli avversari anche nelle tappe mosse e di difendersi su una salita non facile come quella di Frontignano. Le gambe sono pronte per i due obiettivi di questa primavera: la Milano-Sanremo di sabato e la Parigi-Roubaix a metà aprile. Lo sforzo fatto sul Monterolo, quando è rimasto agganciato a corridori ben più portati per una salita del genere, è un test perfetto in vista del Poggio. E ha già dimostrato di avere un ottimo spunto in volata, soprattutto quando si arriva in un gruppo ristretto.
Milan partiva con i gradi di miglior sprinter tra i 168 partenti, e non ha deluso le attese: le due volte che è arrivato in gruppo ha alzato le braccia al cielo, grazie anche all’ottimo aiuto di tutta la Lidl-Trek. Il secondo giorno, sull’arrivo di Follonica, è partito in testa, lanciato dallo scudiero Consonni - uno che a casa ha tre medaglie olimpiche -, e ha dato una bicicletta di distanza agli avversari. Non sono mancati i momenti difficili per il 24enne friulano, che è finito a terra nella terza tappa. Ma poi si è rifatto a San Benedetto, superando Sam Bennett con il colpo di reni. Milan che è poi tornato a casa, per il secondo anno consecutivo, con la maglia ciclamino della classifica a punti.
È stata una Tirreno-Adriatico a tinte tricolori, con le quattro vittorie italiane e i due posti sul podio finale. Ai già citati Ganna e Milan va aggiunto Andrea Vendrame, che al terzo giorno ha fatto suo l’arrivo di Colfiorito. Una tappa lunghissima (240 km), con un forte maltempo e oltre 3000 metri di dislivello complessivo. Tutte caratteristiche adattissime a un coriaceo come Vendrame, che in carriera ha raccolto poche vittorie, ma di livello e al termine di giornate impegnative. In una volata a gruppo ristretto, quando tutti si aspettavano Van der Poel o Pidcock, l’ha spuntata il puncheur della Decathlon.
Anche la maglia verde dei Gran Premi della montagna è stata appannaggio di un italiano, Manuele Tarozzi. Tarozzi è uno che in gruppo non ci sa stare. Ha già sette giornate di fuga nel 2025 (tre alla Tirreno e quattro all’UAE Tour), e l’elenco è destinato ad aumentare. Finora ha mostrato una tendenza a vincere in posti esotici: Tour of Rwanda nel 2023, Tour of Qinghai Lake e Tour de Langkawi lo scorso anno. La classifica dei GPM è un giusto premio per chi ha consacrato la propria vita da ciclista all’arte imprevedibile, e di certo gravosa, dell’avanscoperta.
A inizio settimana, Mathieu Van der Poel aveva annunciato di essere alla partenza soprattutto in preparazione della Milano-Sanremo. Ma il campione del mondo - varie volte e in varie specialità - aveva anche detto che non partecipa mai a una gara solo per indossare la maglia e così è stato. Ha attaccato nella terza tappa, non riuscendo però a distanziare gli avversari. Nei due giorni successivi ha chiuso al terzo e al secondo posto: battuto prima da un paio di velocisti di professione come Kooij e Pluimers, poi dal fuggitivo di giornata, il norvegese Fredrik Dversnes, che si è opposto in solitaria al rientro del gruppo, e per una volta ha avuto ragione lui.
Ho sempre pensato alla corsa dei due mari e alla Parigi-Nizza come due gare felici, perché non temono un effetto finale di nostalgia. Sabato c’è già la Sanremo, e poi ci si sposterà nel nord Europa per la stagione delle classiche. Sarà un lungo viaggio fino al Giro di Lombardia di metà ottobre.
A San Benedetto del Tronto, sul lungomare, è presente dal 1997 il Monumento Nespolo. L’opera riporta alcuni versi di Dino Campana: “Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare”. Anche i rumori delle ruote che girano, dei freni che stridono, delle catene che si muovono tra i rapporti, delle bici che solcano il pavé…
Dispacci dal World Tour #8
Cosa resta della scorsa settimana? La ormai consueta irritazione di dover fare i conti con due corse importanti, prestigiose, come Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico che in alcuni casi sono arrivate praticamente in contemporanea: è qualcosa a cui siamo abituati, ma dà fastidio e quindi trovo doveroso sottolinearlo. Poi il calendario è talmente pieno che una sistemazione differente pare operazione complicata.
Gli americani conquistano Nizza: verrebbe da dire letteralmente ma con l’aria che tira non è il caso. Matteo Jorgenson ha una maglia gialla che luccica come non mai dopo giorni a prendere freddo e pioggia, si lancia sotto il sole a caccia del suo secondo successo consecutivo alla PaNi e non è che siano poi tantissimi prima di lui a fare come lui, alcuni meglio di lui: Kelly (7 successi totali e tutti in fila, record al momento inavvicinabile), Anquetil (5 successi totali, gli ultimi 2 in fila), Merckx (3 successi totali, tutti in fila), Zoetemelk (3 successi totali, 2 in fila), Jalabert (3 totali e tutti in fila), Poulidor (2 successi totali e in fila), Indurain (2 successi totali e in fila), Vinokourov (2 totali in fila), Schachmann (2 totali in fila).
Jorgenson si gettava a caccia, sulla Promenade des Anglais, facendo bene i conti, quanto bastava per conquistare la classifica finale e per non riprendere il connazionale Magnus Sheffield, 23 anni ancora da compiere e che, vincendo la tappa, si regalava il successo più importante della giovane e promettente carriera dopo essersi trovato più volte di fronte a bivi che avrebbe voluto evitare, dopo essere finito in un burrone in una giornata drammatica qualche anno fa, in Svizzera. Dedica il successo proprio a Gino Mäder, caduto con lui in quella maledetta discesa e scomparso in quel 16 giugno del 2023: «Ci sono tante persone che vorrei ringraziare, ma quella più importante a cui dedico questa vittoria è Gino Mäder. Sono due anni che non c’è più e sinceramente non pensavo di riuscire più a vincere nuovamente dopo quello che è successo. Il ciclismo è uno sport così duro dove nulla si può dare per scontato, come nella vita. Voglio solo godermi questa vittoria dopo tantissimi secondi posti». È il suo quarto successo in una carriera da professionista che iniziò alla grande nel 2022: una tappa alla Vuelta Andalucia a inizio stagione, ma soprattutto la Freccia del Brabante. Non aveva ancora vent’anni.
La Ineos, in generale, corre alla grande, sempre all’attacco, porta Arensman sul podio (raddoppiato con Ganna alla Tirreno). Le voci di una possibile fusione (o quello che sarà) con un'altra squadra, oppure l'arrivo di un nuovo sponsor, hanno messo il sale sulla coda dei corridori del team britannico che in un paio di mesi di gare hanno vinto quasi la metà delle corse conquistate nel 2024, ma soprattutto hanno un atteggiamento propositivo, sempre nel vivo della corsa. Una squadra che non è più solamente materiale per tormentoni (Ineos pulling in the peloton), ma attiva e capace di (ri)lanciare i propri corridori - anche Foss e Tarling protagonisti di questa corsa: occhio al giovane inglese nelle prossime settimane al Nord.
Ci sarebbe da aprire un capitolo intero su Jonas Vingegaard ma ci limitiamo solamente a dire quanto sia stata scellerata la decisione della sua squadra di lasciarlo correre dopo la caduta. Ha lamentato vertigini, non riusciva a frenare - in realtà faticava proprio a stare in gruppo - a cosa hanno pensato gli olandesi per non fermarlo in tempo? E l’UCI, quando accadono queste cose, da che parte sta guardando?
Alla Tirreno Adriatico, invece, abbiamo potuto ammirare l’ascesa di Ayuso, ne parliamo anche qui. Il giovane spagnolo si è dimostrato il più forte in salita e primo degli umani a cronometro. Si è difeso nelle tante tappe miste nonostante gli attacchi di Pidcock, van der Poel e Ganna - tutti e tre attaccavano o rispondevano con obiettivi differenti e saranno, insieme a Pogačar e Pedersen (ha disputato una grande Parigi Nizza) i favoriti per la Milano-Sanremo di sabato. Ayuso deve combattere con la continua presenza di Pogačar al quale, per ovvi motivi, viene sempre e continuamente paragonato. Corrono nella stessa squadra e al momento si dividono le corse: in quelle più importanti, ovviamente, si punta al campione del mondo. La presenza di Pogačar è come quella di un fastidioso fantasma che infesta la casa dei sogni di Ayuso: le domande che gli vengono poste in conferenza stampa tendono sempre a virare sullo sloveno. Il paragone per il modo di attaccare e fare il vuoto li accomuna, il palmarès, al momento, neanche lontanamente, ma sono due percorsi di crescita (ed età) differenti. Anche le sensazioni, però, sono diverse: se il campione del mondo affronta tutto col sorriso (pure troppo sorridente a volte, dirà qualcuno), Ayuso appare corridore più cupo, quasi misterioso. Per certi versi scalderà di meno le platee - ma il corridore c'è e arriverà al Giro con la possibilità di essere uomo, se non l'uomo, da battere.
Piccoli antipasti di Giro: Tiberi, terzo e Hindley, quinto, hanno dimostrato una condizione superiore alle loro aspettative, Gee, quarto, invece, conferma uno stato di forma assoluta: riuscirà a mantenerlo fino a fine maggio?
E poi una buona Italia, finalmente, trascinata dai leader del movimento, Ganna (vittoria alla crono e podio finale) e Milan (due vittorie e pure una brutta caduta) che arrivano al momento clou della stagione, quello delle classiche primaverili, supportati da condizione e motivazioni. E hanno ottenuto le risposte che cercavano. E poi c'è Vendrame, vincitore di tappa, di cui abbiamo già parlato settimana scorsa e il sopra citato Tiberi che alla quinta stagione da professionista ottiene il quinto podio in una (breve) corsa a tappe, il più importante in carriera. Ventitré anni, quasi ventiquattro, ora arriva il bello.
Polvere e ciclisti: una giornata in sella alla Strade Bianche
Un serpentone di ciclisti che si snoda intorno alla Fortezza Medicea. Manca ancora quasi un’ora alla partenza della decima edizione della Granfondo Strade Bianche, ma le griglie sono praticamente sature. Seimila al via per uno degli appuntamenti amatoriali più partecipati al mondo, con una massiccia presenza di stranieri che supera il 35%.
In griglia con nella mente e nel cuore la progressione di Pidcock a Monte Sante Marie, con l’accelerazione di Pogačar a Colle Pinzuto. Del resto l’emulazione è una spinta, uno stimolo, un elemento che carica. L’unicità della Strade Bianche si basa sullo sterrato che, seppur quest’anno ben battuto e asciutto, rimane un tratto distintivo tanto spettacolare quanto insidioso da affrontare. Se i professionisti quasi galleggiano sulle crete senesi, accelerano come se fossero su un tavolo da biliardo, gli amatori sobbalzano, sbracciano, si ripiegano sul manubrio, saltellano.
I professionisti sono gatti che danzano sullo sterrato quasi in silenzio. Noi invece traballiamo, intenti a guidare al meglio la bici per cercare comunque di riuscire a fare velocità. Strade Bianche è pedalare nella polvere sui tratti pianeggianti, mossi o collinari, procedere in queste strade ancora immacolate che tagliano la campagna senese.
Una marcia dal sapore bucolico, che piace, però, perché i ciclomotori la affrontano con mezzi e strumenti di oggi. Eccola la miscela vincente: pedalare nella storia, ma con l’atteggiamento e l’animo da agonista. Agonismo già dalle prime battute, dalla partenza in discesa, dal primo sterrato piatto, dalle rampe che si susseguono a ripetizione, dai vicoli stretti in picchiata. Agonismo mentre affronti l’uno-due che fa la storia di questa corsa. Prima Colle Pinzuto e poi Le Tolfe: rampe verticali, lingue di terra che ti si impennano davanti, muri leggendari che raccontano le imprese dei più forti ciclisti contemporanei. In poche corse amatoriali come la Strade Bianche pedali, ti immergi, vivi nella consapevolezza di far parte del mondo del ciclismo. Il giorno prima ogni angolo a fianco dei settori sterrati è ridondante di tifosi impazziti per le gesta dei corridori che battagliano. E c’eravamo anche noi, che oggi quelli sterrati cerchiamo di aggredirli. L’unicità del fine settimana senese, che da dieci anni ad inizio marzo si presenta, è l’appartenenza alla famiglia del ciclismo. Non vecchia, ancorata a quello che fu, a nostalgie con poco senso, ma alla realtà di questo sport che porta ancora sulle strade parecchie persone.
Alla gara dei professionisti la parte alta della città era invasa proprio dai piedi di via Santa Caterina fino alla mitica Piazza del Campo. Aver pedalato sul quel finale così massacrante, appesi al manubrio e alla buona sorte mentre aspetti che spiani la salita, rende questa esperienza inimitabile. Il ciottolato così ripido di via Santa Caterina ti consegna a una delle piazze più belle al mondo, in festa anche per la nostra corsa. E questo ti rende ancora più parte del mondo del ciclismo.
Gocycling, Città di Castello
Federico Rossi è nato e cresciuto a Città di Castello, poi, le circostanze della vita l'hanno portato a Milano e lì, nella grande metropoli, ha conosciuto Anna, così una parte della sua quotidianità, negli ultimi quindici anni, ha fatto radici nel capoluogo lombardo. La città, qualunque città, prende, dona, talvolta toglie: da un lato le opportunità dell'agglomerato urbano, dall'altro le mancanze ed è ciò che manca ad essere seme per quel che verrà. A mancare è la natura, l'outdoor, in cui sperimentare quelle biciclette che, anche a Milano, per Federico sono pane, per mestiere e per passione. Ad un certo punto la domanda che si fa strada: «Siamo sicuri che davvero non ci sia altro? Siamo veramente certi di non desiderare qualcosa in più per la nostra esistenza?». Un'esistenza simile pare quasi mutilata e la risposta arriva presto, con all'interno la consapevolezza che altro c'è, deve esserci per forza. Allora torna in mente l'Umbria selvaggia, in cui la natura cresce ed esplode, talvolta divora i sentieri, li ridisegna. Un luogo dove, a otto chilometri dal centro, già ci si perde, tra alberi, rovi, animali selvatici, pastori maremmani: si chiama Città di Castello ed è l'origine.
Federico e Anna ripartono verso una nuova casa, forse due: quella in cui abitare e quella da cui diffondere biciclette e racconti di bici. La seconda sarà in Via Mario Angeloni 7, in pieno centro storico, ed è di questa che vogliamo parlare: in un palazzo storico, dai muri bianchi, dalle volte a crociera, con grandi stanze piene di luce, quasi la portassero dentro, e muri spessi, in cui scavare e riporre libri, quasi fossero piccole cripte riservate alla conoscenza. Al centro della stanza un tavolo da falegname enorme, qua e là vecchie bici appese, quelle del padre di Federico, il primo telaio mtb Bianchi, prodotto negli Stati Uniti d'America, quello di alluminio incollato, una piccola opera d'arte, e ancora numeri delle granfondo e chicche di storia, in un ambiente minimale per scelta. Il locale l'ha scelto Anna, si chiama GoCycling e nasce nel centro storico di Città di Castello, non per un caso, ma per una precisa filosofia, con forti elementi etici, di non facile comprensione immediata.
«Non è una scelta comune, soprattutto in un mondo autocentrico, anche perché la stradina che conduce qui è stretta, in pietra serena, difficile da percorrere con la macchina, caratteristica delle città rinascimentali. Il venditore ci ha subito scrutato stranito, noi abbiamo proseguito- raccontano i due- e ne siamo orgogliosi, altrimenti nei centri storici cosa resta? Solamente bar e tavolini per gli aperitivi serali?». Il territorio che circonda GoCycling è pieno di bellezza, di storia e cultura: San Francesco, Raffaello, Piero della Francesca, musei e chiese di valore inestimabile. La nuova realtà, che ha aperto le porte ai visitatori lo scorso 20 settembre, cerca di restare in sintonia con questo sottofondo: lo spazio commerciale e di "rent a bike" si sovrapporrà con qualcosa che somiglia più a un centro culturale per tutto quel che è outdoor, ovvero piacere e scoperta della natura, delle attività nuove, di nuove idee e nuove invenzioni. La metafora di Federico è esemplificativa: succede come se la provincia, dopo tanto tempo, decidesse di spalancare le proprie porte e di aprirsi all'altro. «Forse è una caratteristica insita in certe zone quella di restare un poco chiusi all'altro, al resto, come se l'altro non interessasse o non fosse importante. La verità è l'esatto contrario: abbiamo bisogno come l'aria di condividere, di chiamare qui persone e bici, sogni, avventure».
Perché, proseguono Anna e Federico, se vi è una sicurezza, un punto fermo, quando si inventa un progetto simile, questo non è certamente in un riscontro economico, necessario, ma sempre sottoposto ai tempi e alle circostanze, bensì da piccoli piaceri quotidiani che un mestiere simile è ancora in grado di consegnare: «Il sollievo del sorriso di chi acquista la prima bicicletta, ad esempio, cancella tante cose che non vanno: più è la prima volta, più il brivido è forte. Si costruisce così una sorta di bagaglio culturale nel rapporto con il cliente: prima di parlare di bicicletta, si parla di dove si vuole andare, di quanto si vuole pedalare per arrivare in quei posti e di come si immagina il percorso. L'anima delle persone e delle cose, per noi, non è solo importante, è fondamentale. La sfera tecnica viene dopo, nonostante anch'io abbia sempre montato e smontato biciclette per capirle meglio. Amo alla follia qualunque bicicletta, per questo proietto questo mezzo in una sfera umana: quella del dialogo continuo, anche con i turisti, del racconto continuo anche delle proprie esperienze».
L'analisi di Federico Rossi è lucida: se il settore bici, a tratti, sembra implodere è perché per lungo tempo si è considerata la bicicletta in maniera troppo fredda, distaccata, come si considererebbe una lavatrice. Allora la bicicletta è divenuta un oggetto asettico, lontano e, quando questo accade, prevale una forma di "machismo" che si concentra solo su numeri e cifre, soprattutto in un tempo in cui è avvenuto un grosso cambiamento e le informazioni tecniche arrivano a getto continuo da qualunque fonte, rispetto ad ogni bene materiale: si tratta di informazioni commerciali, massificate e ultra dettagliate. «Talvolta i clienti possiedono anche informazioni che tu stesso non conosci, ma il gesto della pedalata va oltre quel tecnicismo. Io dico sempre: "Prima fai un giro su quella sella, poi mi racconti se ti è piaciuto, se ti sei divertito". Se ne parla e si interpreta il dato che, altrimenti, non vuol dire nulla: una bicicletta deve comunicare qualcosa. Colui che si interfaccia con il cliente ha il compito di leggere le emozioni del cliente e proiettarle su un mezzo piuttosto che un altro. Questo non potrà mai accadere in un centro commerciale, con turni lunghi, talvolta sottopagati, la domenica pomeriggio: non potrà mai accadere perché quel tipo di logica non lo permette, nonostante la buona volontà del lavoratore».
L'Umbria è una regione che sta crescendo e sta cambiando: il turismo è in aumento, ma anche la scelta di vivere in questa terra viene presa da sempre più persone. La bellissima Toscana, raccontano Federico ed Anna, è sempre colma di persone, qui il processo è differente, tuttavia è in corso. Si esce dal garage di casa e, nel raggio di qualche chilometro, ci si ritrova nel selvaggio, dove è necessario anche fare attenzione ai cinghiali, tra sentieri carrabili, mezzadri, luoghi disabitati che il ciclista medio tifernate, ovvero originario di Città di Castello, conosce. Tuttavia il suo giro classico è di un paio d'ore, con ritorno a casa verso le undici: «Pensiamo sia un peccato e, anche qui, portiamo un dato. Nella zona di Milano, seimila chilometri in mtb corrispondo a 17000 chilometri in auto per giungere in luoghi in cui è possibile pedalare: magari a Biella o in Lomellina. A queste condizioni, si capisce bene quanto sia difficile scegliere la bicicletta, anche il gravel, attraversando le campagne, che, visto il problema sicurezza che vivono le nostre strade, è, senza dubbio, maggiormente indicato, da questo punto di vista. In Umbria la storia è differente. Allora la domanda è: perché non ampliamo quelle due ore di pedalata? Anche qui si tratta di uscire, di aprirsi al resto, all'altro. Vorremmo smuovere le acque, proponendo una giornata e mezza di viaggio, un bikepacking con una notte fuori, magari al sabato ed alla domenica».
Il papà, adesso, è un signore novantenne e Federico si sente fortunato all'idea di averlo vicino, anche in GoCycling, perché è bello e perché è un valore aggiunto, come il tempo che si dedica ad un genitore e come il tempo che un genitore dedica ad un figlio. È felice vedendo le sue biciclette appese al muro, quelle biciclette viste, amate e poi acquistate. Anche gli amici del liceo e dell'università hanno ritrovato Federico e per loro è stato come incontrare l'uomo di città che, per amore, torna in provincia, dopo tanti anni. «Molte volte si ha il timore di iniziare qualcosa di nuovo soprattutto per quel che potrebbe dire la gente se non funzionasse. Abbiamo il timore di essere considerati un poco "sfigati". No, non si è sfigati: se si fa qualcosa con il massimo degli intenti, con passione, senza fare i furbi, senza fare scorrettezze, non si è sfigati nemmeno se non va. Certo, così facendo ci sono notti insonni con le bollette da pagare e tanti pensieri, ma pazienza, va bene così. Me lo ripeto spesso». Nel frattempo la bicicletta per Federico ed Anna continua ad essere avventura, a coincidere con la domanda "chissà com'è quel sentiero?" e con la voglia di andarci. La bicicletta è la meraviglia di quando si vede una bici caricata su un aereo per volare da un'altra parte ad esplorare strade, è risata quando, nel 1999, non si sapeva esattamente cosa fosse un "single track", lo si chiedeva a chiunque ed in molti non avevano risposta eppure tutti non vedevano l'ora di pedalarlo. La fitta rete stradale umbra pone varie alternative, così i ciclisti possono sentirsi maggiormente sicuri, non trascurando mai l'alternativa del gravel, che abbina sicurezza e natura. La raccomandazione è sempre la solita: rendersi visibili ed indossare il casco, anche nei pacchetti turistici che Federico, Anna e GoCycling propongono e dove la responsabilità di garantire la sicurezza di ciascuno è prioritaria. L'auspicio, invece, è che sempre più persone possano conoscere meglio il codice della strada, perché spesso è proprio la cultura di base a difettare.
I piedi, per Federico, devono essere sempre ben saldi a terra, mentre lo sguardo deve avere il più ampio orizzonte immaginabile per sperimentare, creare, inventare. GoCycling è sempre lì e cerca di essere presente nel modo migliore possibile, ovvero con quell'apertura di cui tanto Federico Rossi ci ha parlato. Aperti per un caffè, una chiacchierata, per l'inaugurazione e un prosecco, per consigli e scambi di idee. Probabilmente è per questo motivo che molte persone si sentono proprio partecipi del negozio e quando ne parlano usano il noi: «Dobbiamo fare...». In realtà, a metterci mano saranno sempre Federico ed Anna ma questa voglia di far parte di una realtà è così bella che nessuno osa mai dire nulla e quel "noi" sperano tutti di sentirlo spesso, più spesso ancora.
FVG Bike Trail: dal 4 al 7 settembre 2025 ritorna il grande evento bikepacking alla scoperta del Friuli Venezia Giulia
Annunciate le date e presentate le due nuove tracce dell’edizione 2025 di FVG Bike Trail: a partire dal 4 settembre si pedalerà tra Udine, Gorizia, Nova Gorica, Trieste, Grado e Aquileia, a scelta lungo un percorso da 200 o 380 km. La maglia ufficiale dell’evento è firmata dal Maestro Giorgio Celiberti e celebra l’affascinante commistione di diversità linguistiche, culturali e paesaggistiche del Friuli Venezia Giulia. Iscrizioni aperte da marzo.
Udine, 19 febbraio 2025 – La data da segnare sul calendario di tutti gli appassionati di bici e viaggi è il 4 settembre 2025, giorno in cui avrà ufficialmente inizio la seconda edizione di FVG Bike Trail, il grande evento bikepacking alla scoperta del Friuli Venezia Giulia. Dopo l’incredibile successo del 2024, ritorna anche quest’anno l’appuntamento cicloturistico made in FVG, che invita i suoi partecipanti a salire in sella a una bicicletta per pedalare al proprio ritmo lungo strade bianche e secondarie, attraverso boschi, colline, litorali e centri urbani dell’estremo nord-est italiano.
Un debutto memorabile
Lanciato per la prima volta nel 2024, l’evento FVG Bike Trail ha riscosso enorme successo fin dalla sua prima edizione: 475 iscritti (tra questi circa il 23% proveniente dall’estero) e oltre 180 mila km percorsi in bici, in una media di tre o quattro giorni consecutivi. L’edizione 2025 conferma il formato unsupported non competitivo, ma introduce interessanti novità e punta al raddoppio dei partecipanti. “Abbiamo raccolto feedback estremamente entusiasti da parte di chi ha pedalato l’anno scorso, non solo per l’organizzazione dell’evento, ma anche e soprattutto per l’effetto sorpresa regalato dalle tracce che avevamo studiato. Quest’anno abbiamo lavorato sodo per non tradire le aspettative dei nostri partecipanti, curando l’evento nei minimi dettagli e studiando due nuovi percorsi capaci di emozionare e di lasciare un ricordo indelebile del Friuli Venezia Giulia, pedalata dopo pedalata”, dichiara Giacomo Miranda, ideatore e organizzatore di FVG Bike Trail.
I due percorsi 2025 alla scoperta della regione Capitale del Cicloturismo 2025
FVG Bike Trail 2025 offrirà ai suoi partecipanti due percorsi ad anello completamente nuovi, rivolti a cicloturisti di diverso livello e grado di preparazione: il più lungo da 380 km e 4.300 D+, il più corto da 200 km e 2.000 D+. Punto di partenza e di arrivo per entrambi i percorsi sarà la città di Udine. Da lì, le due tracce si snoderanno verso Est e attraverseranno Cividale, Nova Gorica e Gorizia (Capitale europea della cultura 2025), la bellissima Trieste e poi Grado, Aquileia, Palmanova. “Il Friuli Venezia Giulia, Capitale del Cicloturismo 2025, è una regione bellissima da pedalare e offre una grande varietà di paesaggi, culture e storie da scoprire. Basti pensare che la traccia Unlimited di quest’anno, ovvero quella più lunga, attraverserà ben tre diversi siti patrimonio UNESCO (Cividale, Aquileia e Palmanova)”, commenta Miranda.
La maglia dell’evento
Ispirata all’opera “Labirinto dei sogni” del grande Giorgio Celiberti, poliedrico artista friulano di fama internazionale, la maglia ufficiale dell’edizione 2025 di FVG Bike Trail celebra la ricca diversità di lingue, culture e paesaggi del Friuli Venezia Giulia. Lettere e numeri, impressi con segni essenziali e materici sul tessuto dei modelli Supergiara Jersey e Flow Giara Tee di Sportful (partner tecnico dell’evento), si mescolano tra di loro, dando vita a un linguaggio universale, un intreccio di emozioni, incontri e ricordi che racchiude l’essenza di FVG Bike Trail.
Come partecipare
Per prendere parte alla prossima edizione di FVG Bike Trail, è necessario effettuare l’iscrizione tramite il portale www.fvgbiketrail.com:
Dal 3 marzo 2025 - iscrizioni in modalità early bird riservata ai partecipanti FVG Bike Trail 2024
Dal 27 marzo - iscrizioni aperte a tutti
Il pacchetto di iscrizione comprensivo di maglia ufficiale FVG Bike Trail x Giorgio Celiberti sarà disponibile in pre-order solo fino al 31 maggio 2025.
FVG Bike Trail è un evento ideato e organizzato da It Takes Two srl società benefit, con il supporto di PromoturismoFVG, il patrocinio della Regione FVG e in partnership con PM2 agenzia di comunicazione e marketing, X-Zone Bike, PrimaCassa Credito Cooperativo FVG, Marzocco Assicurazioni, Sportful e Udog. Per maggiori informazioni visitare www.fvgbiketrail.com.
It Takes Two srl società benefit che opera nel campo degli eventi. La società è guidata da una purpose: rendere il business coerente con la propria vocazione. La società ha sede a Udine e integra nell’oggetto sociale lo scopo di avere un impatto positivo sulla società, a beneficio di persone, comunità e ambiente. Con l’obiettivo di creare valore sostenibile, per tutti.
L'hospitality ufficiale di Milano-Cortina 2026: ancora un anno e potremo...
ll Countdown ufficiale è iniziato. Fra un anno potremo finalmente festeggiare l'inizio di Milano Cortina 2026!
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Locanda Hirondelle, Aosta
Quel nido di rondini, in un angolo, sotto il tetto della locanda, c'era già ai tempi di Rita e Aurelio. Poi le rondini erano tornate, come ogni primavera, e quei due signori avevano pensato che fosse un segno, per questo la loro locanda l'hanno chiamata "Hirondelle", ovvero rondine in lingua d'oltralpe. Qualche anno più tardi, anche Nathalie e Alice Pellissier, le loro nipoti, dopo tanto studiare, viaggiare, provare diversi lavori, avevano fatto ritorno in quel luogo, dove erano cresciute. I nonni se ne erano andati e i ricordi che ne hanno queste ragazze che, oggi, gestiscono questa attività ad Aosta, sono testimonianze, perché di loro hanno spesso raccontato i genitori, Vanda e Livio, magari a sera, comunque in quella locanda visto che Alice e Nathalie, sin da bambine, sono cresciute in una casa che era un albergo, quell'albergo dove lavoravano mamma e papà, dopo nonno e nonna. Erano gli anni degli 883 e di una canzone che recitava «questa casa non è un albergo» e con gli amici, a scuola, ne ridevano, si prendevano in giro. Ricordavano quando, ancora piccole, giravano per i corridoi in pigiama, disseminavano giocattoli ovunque, si avvicinavano ai tavoli mentre i clienti facevano colazione, pranzavano, cenavano e, qualche volta, venivano invitate ad uscire in gita, forse per quella naturale simpatia che suscitano i bambini. «Mamma e papà erano sempre impegnati, di corsa, di fretta, perché questo è un lavoro difficile, un lavoro che toglie tempo alla sfera privata e diventa il centro, assorbe qualunque cosa con cui venga a contatto: nella ristorazione, nell'accoglienza, non esiste il sabato, non esiste la domenica e nemmeno il Natale o la Pasqua. Se queste mura sono sopravvissute a decenni e decenni, lo dobbiamo ai loro sacrifici. Nell'infanzia, però, si desidera un adulto accanto, con cui giocare oppure uscire a camminare. Noi non potevamo chiederlo a loro, così lo chiedevamo agli ospiti che, alla fine, si affezionavano». Allora, fra tanti pomeriggi afosi d'estate, bui di inverno, tempestosi d'autunno e freschi di primavera, indirettamente, continuando a respirare quelle abitudini, Alice e Nathalie avevano imparato quel mestiere. Una consapevolezza arrivata d'improvviso: «Alla fine, noi quello sappiamo fare. E, forse, proprio quello dovremmo fare». Sì, le rondini che tornano a casa, con i primi cieli azzurri della bella stagione.
In gergo si parla di ristrutturazione ed è questo ciò che fanno le sorelle Pelissier appena presa in mano l'attività. Ristrutturare significa mettere a nuovo, pur facendo i conti con quello che già c'è stato, con il passato. L'impostazione di base viene mantenuta, ma alcune scelte si distanziano abbastanza da quello che è l'arredamento classico delle case in Valle d'Aosta, con molti orpelli ed un particolare legno tipico: «L'idea comune è che così si trasmetta calore. Noi abbiamo sempre seguito una filosofia: less is more. Meglio togliere che aggiungere e, togliendo, alla fine aggiungerai. La semplicità, se ben interpretata, non priva di nulla, anzi porta altri significati e le persone se ne accorgono. Il calore qui giunge attraverso la luce ed uno stile nordico: sono chiare le pareti, è chiaro il legno. I colori vengono dai tavoli, dalle sedie, dalle poltrone, dagli elementi d'arredo. Il tutto crea luminosità». All'ingresso si incontra subito la reception a destra ed il bar a sinistra, spazi che, di solito, sono anonimi, poco abitati negli alberghi, in quanto, di base, luoghi di transito per pochi minuti, il tempo di fare il check in oppure di bere un caffè: in locanda "Hirondelle" proprio in questi luoghi vi è una libreria, vi sono dei giochi, per favorire la socializzazione fra gli ospiti stessi e fra gli ospiti ed i gestori dell'hotel. Il sottofondo è in una parola che Nathalie, Alice e Beatrice, loro fidata collaboratrice, hanno fatto propria: sostenibilità.
«Si tratta di un discorso a 360 gradi. Parte dall'alimentazione, ad esempio, dalla nostra scelta vegana, anche se l'etichetta non ci piace, però non si ferma lì: intendiamo un modo di vivere che non causi sofferenza ad altri esseri viventi, che ci rimetta in pari con la natura e con i nostri ritmi naturali. Quelli umani che, troppo spesso, dimentichiamo». Nathalie e Alice parlano anche di loro stesse, del loro modo di affrontare quel lavoro, ad esempio. Il primo impatto le ha messe a dura prova, perché, come i genitori, si stavano lasciando trascinare nel vortice di un'attività che annullava tutto il resto, che prosciugava, attraverso lo stress che c'è, in ogni mestiere, ma era tanto, troppo: «Riconosciamo il merito di mamma e papà, senza alcun dubbio, però ricordiamo anche come passavano le loro giornate. Siamo state distanti per diverso tempo, vivevamo in paesi differenti, ma, quando siamo ritornate ad "Hirondelle", ci siamo dette che, pur ammirando l'esempio, dovevamo staccarcene, per il nostro bene. Solo un'altra strada ci avrebbe permesso di continuare a lavorare qui. La persona deve essere al centro, nonostante il lavoro sia importantissimo. Tuttavia prima noi stessi, poi il lavoro, qualunque lavoro». Di fatto, aprire un'altra via vuol dire lasciare la via maestra, il percorso ed il modo di vivere segnato dai genitori e non è mai facile. Racconta Alice che il cambiamento è stato impattante, soprattutto quando ne ha parlato con la madre che, per cultura, non ha mai detto no al lavoro, ha sempre cercato di accontentare tutti e ha rinunciato a molto per quella locanda, senza rammarico, era soddisfatta: «Ha patito questa nostra volontà di cambiare completamente approccio, soprattutto all'inizio, ed era normale. Per lei è stata quasi una messa in discussione personale. In realtà, alla fine, è come se avessimo vissuto una sorta di psicoterapia transgenerazionale e anche mia mamma, così ansiosa, piano piano ha capito ed ha acquisito morbidezza. Ha compreso che è possibile dire no, che talvolta è necessario farlo».
Un passaggio che non riguarda solo Nathalie e Alice, ma anche Beatrice Durantini, «energia nuova e travolgente», che si è unita all'attività da qualche anno, provenendo dalle Marche ed avendo alle spalle studi in giurisprudenza, perché si era stancata di quel tipo di vita "standard" e cercava altro. A lei i genitori hanno ricordato gli studi pagati, la carriera che avrebbe potuto avere e quella scelta di un lavoro che, a fronte di molto impegno, spesso restituisce poco. Beatrice non ha avuto dubbi e, oggi, "Hirondelle" è una locanda gestita da tre donne: «Ognuna di noi ha portato e porta una propria parte, una propria peculiarità in questo progetto: io con la mia passione per il ciclismo e la bicicletta, Nathalie con lo yoga e la meditazione e Beatrice con questa ventata di aria fresca, attenta alle nuove generazioni, alla città, alla stand up comedy, alla cinematografia. Non a caso organizzeremo delle rassegne cinematografiche, tra cui una retrospettiva su David Lynch, ma anche dei corsi di ceramica e delle cene con delitto. Non mi piace usare la parola orgoglio, tuttavia, sono contenta di questo esempio di imprenditoria femminile, per la sinergia che poniamo in atto, per l'attenzione alla questione di genere e alla questione sostenibilità. Senza perdere la delicatezza». Sì, le persone che entrano in locanda si confrontano con questi temi, spesso, attraverso l'occhiata ad un libro nella libreria, piuttosto che per avere sfiorato l'argomento, senza che nessuno lo imponga, perché non sarebbe giusto e perché dalle imposizioni nasce il conflitto, il rifiuto e questo Nathalie, Alice e Beatrice lo sanno, perché hanno sbagliato anche loro, hanno alzato i toni anche loro per un'idea, pur giusta, e poi sono state male. Da una parte c'è il messaggio che Hirondelle prova a trasmettere, dall'altro, la quotidianità.
«Io e Nathalie fatichiamo ancora a trovare il giusto equilibrio. Qualche volta, soprattutto in estate, quando il lavoro è sempre più ed il tempo libero sempre meno, Nathalie e Beatrice mi vedono stanca e mi propongono di andare a farmi un giro in bici. Bastano un paio d'ore e torno rigenerata». Alice confessa che il suo luogo preferito è un sentiero chiamato Ru Neuf: parliamo, il più delle volte, di antichi percorsi di ruscelli, canali di irrigazione in epoca medievale, che si addentrano nei boschi, nella natura, nel silenzio, per, magari, venti chilometri, sempre in pianura. Democratici, perché possono essere percorsi da chiunque, basta una gravel, una mountain bike, talvolta a piedi. Anche Nathalie e Beatrice, quasi per osmosi, hanno iniziato ad interessarsi di biciclette e ciclismo. Beatrice, poi, avendo anche un compagno pedalatore è «circondata» e non può che imparare cose. Per Alice è iniziato tutto da una vecchia bicicletta e da un viaggio in Sardegna: da quel momento non è più riuscita a viaggiare al ritmo di aerei, bus e macchine. Ha sempre cercato una bicicletta, più simile a lei, con la possibilità di scoprire, addentrandosi in paesini e vicoli che altrimenti non sarebbero esplorabili. Una bicicletta come inno alla lentezza ed alla riflessione.
«Mia sorella Nathalie, invece, è la nostra parte spirituale. Ogni tanto la prendiamo anche in giro, perché i nostri ospiti avvertono questa sua vocazione e si confidano molto con lei, la cercano. Grazie a lei non mi abbatto quando arrivano i momenti difficili, perché mi ha insegnato che se arrivano c'è un motivo, ed è giusto affrontarli e proseguire, trarre ciò che possono darci. Nathalie è il motore di tutto questo. La locanda è un luogo tranquillo, in cui organizziamo anche incontri di yoga, invitando insegnanti, cercando di coccolare chi viene a trovarci, come proviamo a fare sempre».
Inclusività è la parola chiave ed è attraverso questa inclusività che, spiega Alice, dalla locanda "Hirondelle" si guarda il mondo. Certo, perché chi fa il suo lavoro conosce il mondo attraverso le persone che, soggiornando, lo portano fra quelle mura. Bisogna restare curiosi, attenti, è necessario averne cura, proprio mentre si lavora. «La nostra strada è iniziata da poco, impareremo molto e probabilmente cambieremo anche. Però non modificheremo mai la sincerità verso i clienti: non è stato facile intraprendere la via vegana, perché comunque è un lavoro e la preoccupazione di perdere una fetta di clienti poteva esserci. Non li abbiamo persi, nonostante la nostra clientela sia per la maggior parte onnivora, perché hanno compreso la nostra sincerità. Il lavoro crediamo sia questo e speriamo resti sempre questo. Ci sono i problemi, le avversità, le difficoltà, ma il lavoro può nutrire. Anzi, deve nutrire qualcosa nelle persone». Il nido di rondini là sopra, sul tetto, c'è ancora e le rondini continueranno a tornare perché, ormai, è casa loro.
Foto: Tommaso Longo
Palo Alto Bikes, Rivignano
Palo Alto era Palo Alto Market, a Poblenou, Barcellona: una vecchia fabbrica tessile di mattoncini rossi, con una ciminiera che svetta alta nel cielo, il cosiddetto Palo Alto, per l'appunto. Questo spazio, un tempo simbolo dell'industria, oggi pulsa di nuova vita, ospitando giovani artigiani e creativi che ogni mese danno vita a un mercatino, un magico equilibrio tra modernità e tradizione. In Spagna, a Barcellona, Lorenzo Sandrin era arrivato per incontrare Michela, la sua attuale compagna, ma quello strano nome e la scelta di quegli artigiani l'avevano, da subito, meravigliato.
Che a Palo Alto, in California, esistesse già un negozio di biciclette dal nome Palo Alto Bicycles, l'avrebbe scoperto solo anni dopo, quando in via Umberto 79, a Rivignano, in provincia di Udine, i vetri di una piccola vetrina si affacciavano già su un altro Palo Alto Bikes, quello nato dalla sua idea di ricreare quell’atmosfera magica di artigianato moderno. In California, Lorenzo non è mai stato, ma Italo, un signore all'epoca ottantenne, gestore della ferramenta del paese, sì, per trovare suo figlio che vive negli Stati Uniti. «Italo aveva un inglese incerto e le movenze di un padre anziano, ma in quel negozio lontano, riuscì a spiegare che pure nel suo paese c'era una realtà con lo stesso nome. Non so quanto quel titolare, con svariati dipendenti e un giro d'affari importante, potesse essere interessato al racconto della mia storia, ricordo però l'ultima volta che Italo venne da noi e mi narrò questo fatto. Purtroppo Italo non c'è più, ma io lo rivedo orgoglioso come quel giorno e, nella mente, risento la sua descrizione, mentre lo immagino che parla in inglese del proprio paese e del nostro negozio». Così questa è la storia di quel nome curioso, dietro a cui se ne nasconde un'altra, schietta e sincera, come sono i friulani: senza fronzoli, senza retorica.
La verità è che Palo Alto Bikes è nato da una necessità, di più, è nato da diverse insoddisfazioni lavorative. Suo padre faceva il lamierista carrozziere, un mestiere quasi ormai scomparso, dedito alla riparazione degli oggetti in lamiera: che fossero pezzi di una vecchia Alfa Romeo Giulia, di una Lambretta o di un trattore non faceva differenza. Li portava a casa e ci lavorava pazientemente, mentre Lorenzo e suo fratello imparavano. All’epoca uno scooter usato, con qualche sistemazione e una riverniciatura, pareva come nuovo. Lo spazio per tutto questo era l'officina sotto casa, fino a che, un giorno, papà tornò con un telaio in acciaio datato, montato Campagnolo: era il periodo delle biciclette a scatto fisso, della Red Hook. Quell'officina diventò improvvisamente dedicata a quella e ad altre biciclette: Lorenzo montava, smontava, lucidava e costruiva ruote. Michela, di tanto in tanto, passava da quelle parti e le sue parole erano sempre più o meno le stesse: «Che bella la tua manualità, perché non ne fai qualcosa in più? Dovresti provare».
«Di fatto, fu un salto nel buio, un azzardo, seguendo un’ispirazione e un modo diverso di vedere il ciclismo. Ho viaggiato per le principali capitali europee, oppure a Barcellona e Berlino, ad esempio, cercando ispirazione ed imparando tutto quel che potevo captare, per poi applicarlo nel mio progetto. Avevo uno studio di produzione che, però, non riusciva a fornirmi alcun sostentamento a livello economico: dove c'era l'attrezzatura audio, ora ci sono attrezzature per biciclette, la musica degli strumenti è diventata vento tra le ruote e la passione è divenuta un lavoro».
Palo Alto Bikes è cresciuto di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno: nel primo periodo vi trovavano casa biciclette molto standard, ora in esposizione è possibile trovare brand di nicchia (come BROTHER Cycles, O.P.E.N. e Bombtrack) e qualche ruota in carbonio assemblata a mano. Col tempo sempre più persone sono arrivate qui attratte dalla passione e dalla cura che Lorenzo mette nel suo lavoro. L'attenzione di Lorenzo è stata quella di rimanere al passo coi tempi, ricercare prodotti e soluzioni interessanti e dedicare tempo alle esigenze dei clienti e ai loro montaggi personalizzati. «Credo che questo mondo, quello del ciclismo, si possa dividere in tre macrocategorie: gli amatori, gli agonisti e gli appassionati. Da questi ultimi si trae sempre nuova linfa per le giornate: conoscono ogni salita e ogni altimetria, in vacanza, a tempo perso, vanno in bicicletta, magari salgono al Galibier o al Mont Ventoux, soprattutto conoscono cose a cui gli agonisti non fanno nemmeno più caso, presi dal risultato, dai numeri. Il mio lavoro mi ha permesso e mi permette ogni volta di vedere le diverse facce di questo piccolo universo chiamato ciclismo».
Un gestore, specifica Lorenzo, nel 2025, non può fermarsi alla vecchia logica del negoziante o del meccanico, bisogna, invece, entrare nell'ottica di una sorta di "meccanico 2.0", perché «mi si permetta il gioco di parole, fare solo ciò che paga, in realtà, non paga. Le persone ormai acquistano tutto dal divano di casa: bisogna aiutarle a fidarsi e, al giorno d'oggi, non è facile». Lorenzo non si sente venditore, anzi, narra che quella è la cosa che ha più difficoltà a fare, lui si diverte a costruire bici su misura, per quella persona o per quell'evento, quando, tuttavia, si trova a dover vendere inizia a fare domande, a chiedere, a rovistare fra le varie esperienze, fra le vecchie biciclette per reperire le misure corrette: qualche cliente non è rimasto al passo con i tempi, allora Lorenzo improvvisa, sa farlo bene, gli riesce, e così cerca di capire la persona che ha davanti, quel che vuole, che desidera.
«Mi interfaccio anche io con quello che chiamo "l'arrangismo friulano", un atteggiamento ben riassunto da una frase tipica: “fasin di bessôi”, ovvero "facciamo da soli", omaggio alle capacità ed ai talenti friulani e forse anche un poco alla proverbiale diffidenza di questo popolo. Mi capita che mi arrivino qui persone con biciclette in condizioni abbastanza precarie che, magari, hanno intenzione di fare lunghi viaggi, all'altro capo del mondo: in quel caso serve spiegare, è necessario mettere davanti alla realtà dei fatti. Non sempre capiscono perché è un qualcosa di ancestrale quel modo di fare, quello del pensare di non aver bisogno di nessuno, ma talvolta si riesce a cambiare. Dalla stessa origine deriva l'avversione che spesso, anche sui social, si ha nei confronti dei meccanici, quasi non fossero idonei ad occuparsi delle nostre biciclette perché "faremmo meglio da soli". La problematica è la stessa e vale per ogni zona d'Italia». Il friulano, inoltre, è diffidente, anzi, forse, molto diffidente, ma, una volta che si riesce a fare breccia nel suo scudo, si rivela una persona aperta e calorosa. Bene, in quel momento diventa impossibile anche solo passare dalla regione senza avvisare: ci tiene a mantenere il contatto, la conoscenza, l'amicizia.
Il locale è articolato in due ambienti distinti, caratterizzati da altrettanti, spazi, come fossero due mondi: uno relativo alla vendita con qualche bici in esposizione, l'altro all'officina, con una piccola vetrina ad attirare l'attenzione sul negozio. L'idea è sempre quella di cercare di offrire non solo prodotti e servizi ma anche un’esperienza divertente ed originale al cliente: «Penso, ad esempio, alla Cimiteri Ride, la nostra gravel annuale che organizziamo nel periodo della festa di Ognissanti. Sarà per il nome assurdo o il periodo particolare ma ogni anno attira sempre più partecipanti. Non serve molto: una traccia particolare, i ristori con prodotti appetibili, magari locali. La chiave è mantenere tutto semplice, genuino, anche se non è così scontato: alla fine, si tratta solo di una pedalata insieme, nulla di più. Un altro esempio potrei portarlo parlando delle uscite che organizziamo in notturna, al mercoledì, e, visto che siamo un poco distanti dalle principali città, ci siamo inventati una sorta di tour: siamo stati ad Udine, a Pordenone e in altre località. Sapete il bello? Alcune di quelle persone, che hanno pedalato nei nostri eventi, si scambiano nomi e numeri di telefono e, successivamente, si ritrovano per correre assieme: questo per me è un risultato, forse il più importante».
L'invito di Lorenzo è quello di restituire il maggior potere possibile all'utente finale, un potere che, di fatto, gli appartiene. Per farlo, spiega, è necessaria una sorta di involuzione, un ritorno alle origini. Si tratta di riscoprire le botteghe, dove trovavi non più di una ventina di biciclette, in contrapposizione ai grandi negozi, dove spesso «si vendono scatole vuote». In quelle botteghe, l’utente si riconnetteva con l’artigianato e con una dimensione più umana e autentica. Secondo Lorenzo Sandrin, quando queste due strade – tecnologia e artigianalità, modernità e tradizione – torneranno a incontrarsi, sarà stato fatto un grande passo avanti. È una visione in cui crede fermamente.
Intanto, da quel 9 marzo 2019, sono già trascorsi ben più di cinque anni, quasi sei, a dire la verità, mesi e giorni in cui quel salto nel buio e quella scelta coraggiosa si sono rivelati un successo. Di passi avanti se ne sono fatti e tanti e se ne vorrebbero fare ancora. Crescere, certo, ma con un punto fermo: la natura artigianale, che, ancora oggi, è preziosa e da preservare. Nelle pieghe dell'artigianalità ci sono le origini e le origini sono la base da cui costruire qualunque cosa: anche Palo Alto Bikes, dal nome californiano, dal ricordo spagnolo, dalla base friulana, dalla realtà a due ruote, come due ruote hanno le biciclette di qualunque ordine e grado.
Specialized e Zerosbatti insieme per proteggere i ciclisti: un progetto che fa la differenza nel 2025
Specialized Italia ha annunciato una collaborazione esclusiva con ZeroSbatti, associazione non-profit leader nell'assistenza legale ai ciclisti coinvolti in incidenti. Questo progetto innovativo dimostra la vicinanza e l’impegno di Specialized nei confronti dei rider, per garantire loro sicurezza e supporto in ogni situazione.
La mission del progetto: prendersi cura dei ciclisti.
Nel 2025, tutti coloro che acquisteranno una bicicletta o un telaio Specialized riceveranno un anno di assistenza legale gratuita in caso di incidente stradale in bicicletta. Grazie a questa iniziativa, i clienti potranno contare su un supporto professionale e tempestivo, in grado di guidarli passo dopo passo nel processo di gestione dei danni materiali e fisici.
Come funziona?
Ogni cliente riceverà una cartolina dotata di QR code che permette di registrarsi facilmente online. Una volta inseriti i dati richiesti e il numero di serie del prodotto, l’accesso al servizio sarà immediato. In caso di incidente, il team ZeroSbatti, in sinergia con i punti vendita Specialized, offrirà supporto completo: dalla valutazione dei danni al dialogo con periti e assicurazioni, fino alla migliore gestione dei risarcimenti.
Un valore aggiunto per i nostri clienti
Oltre a offrire protezione legale, questa collaborazione punta a diffondere una maggiore cultura del rispetto tra gli utenti della strada. ZeroSbatti, con il supporto di atleti professionisti, porterà avanti campagne di sensibilizzazione per promuovere la sicurezza e l’educazione stradale.
Specialized e ZeroSbatti credono che ogni ciclista meriti non solo la migliore tecnologia, ma anche un’assistenza che lo accompagni ovunque, sia in sella che nelle situazioni più difficili. Questo progetto rappresenta un ulteriore passo avanti nell’impegno di Specialized per un futuro più sicuro e sereno per tutti i rider.