Le gambe di Sergio Higuita sono cavalli pazzi, nervi scoperti. Quasi nessuno si è sorpreso vedendolo all’attacco ieri in una tappa, tra Carcassonne e Quillan, che del nervosismo ha fatto il piatto principale, nell’avvicinamento ai Pirenei di oggi. Non molto tempo fa, Jonathan Vaughters, dirigente della Education First ha raccontato a Cyclingtips che in Higuita c’è un qualcosa di irrefrenabile. «Nelle corse in Cina non ci sono grossi strappi, anzi spesso sono dei tracciati piatti. Lui, però, partiva ad ogni cavalcavia. Faceva quasi sorridere perché vedevi questo scalatore minuto fare azioni impensabili su terreni improbabili».
Medellín è sempre stata troppo lontana per un ragazzo che voleva fare il mestiere del ciclista. Troppo lontana per conoscere l’Europa e anche per farsi conoscere. Non è un caso se Rigoberto Urán, quando gli chiesero un parere su questo ragazzino, disse: «Non l’ho mai sentito nominare. Non so chi sia». Per chi viene da quella terra, la bicicletta, all’inizio, può essere un’idea, forse un mezzo di spostamento. Higuita probabilmente non poteva neppure immaginare che, per fare il ciclista, avrebbe dovuto misurare i millimetri della sella o del manubrio.
Il suo era istinto puro. Quando disputò la sua prima gara in Europa arrivò con più di venti minuti di ritardo dal vincitore. Non un esordio facile, insomma. Lui non ci pensò molto. «Volevo fare il ciclista, ma volere non basta. Devi combattere per quello che vuoi». Tra l’altro, quella volontà Higuita la maturò per puro caso, dopo che un insegnante lo iscrisse a una gara del paese e da lì, quasi per evitargli altre strade, qualcuno gli consigliò di andare al velodromo per incontrare Efraín Domínguez. In fondo, è grazie a lui se Higuita è il ciclista che è oggi, se attacca, un po’ alla maniera dei barodeur, un po’ a quella degli scalatori, per non lasciare che la corsa passi nella noia. Perché Higuita attacca anche quando potrebbe aspettare, quando forse gli converrebbe. Soprattutto è grazie a Domínguez se Higuita non ha paura delle discese e scende che è un piacere, dote rara per i colombiani.
Solido, sicuro, convinto di ogni decisione. Con lui le apparenze ingannano. Ne sono testimoni i compagni che lo hanno accolto all’arrivo in Europa. Alla prima riunione, arrivó con vecchie scarpe al limite dell’inutilizzabilità e con vestiti non proprio da ciclista. Qualcuno chiese. Higuita, consapevole del materiale di pregio che avrebbe trovato in Europa, aveva lasciato le cose più belle che aveva ai ragazzi di Domínguez. Sembra che quella non sia stata l’unica volta, sembra che Sergio Higuita continui a mandare del materiale a quei ragazzi. Perché la Colombia è lontana, ma scordarsela è impossibile.