C’è un rapporto particolare tra Thibaut Pinot e l’Italia, particolare e reciproco. Qualcosa che si potrebbe sintetizzare in quel “Tibò”, scritto così, come si pronuncia, oppure nella scritta sul suo braccio destro, “solo la vittoria è bella”, quasi uno scambio di linguaggio, di comprensione. Per descrivere questo rapporto, questa reciprocità, noi torniamo a Como, in un fine settimana autunnale del 2018, in un angolo della sala stampa, dopo quell’assolo di 14 chilometri circa di Pinot, dal Civiglio alle acque calme del lago.
Già, perché proprio quel giorno “Tibò” Pinot descrisse l’Italia, aiutandosi con la mimica, con gli occhi: parlò delle sue strade, dei suoi vicoli storici, caratteristici, dei suoi scorci sempre diversi, anche a distanza di pochi metri, e poi del suo linguaggio, della sua lingua, dei suoni che a Pinot piacciono. Quel giorno, dopo il duello con Nibali, questi erano i suoi pensieri. Quel giorno, dopo il dolore di qualche mese prima, queste erano le sue parole.
Quegli stessi occhi, ma con uno sguardo diverso, li avevamo visti a maggio, a fine giro, a un passo dal podio, anzi, a un giorno dal podio di Roma, afferrato il giorno prima a Bardonecchia. Eravamo a Cervinia, ormai oltre quaranta minuti dopo l’arrivo di Nieve, vincitore di quella frazione. Thibaut Pinot sembrava svuotato, non c’era mimica, non c’era niente, forse solo la speranza che quella sensazione passasse, anche solo per arrivare a Roma. Anche quella speranza era bella, non solo per Pinot, perché quel giorno di Pinot chiedevano in tanti nel via vai di un arrivo in salita. Crisi profonda, ritiro.
Le delusioni che feriscono, che spengono i fuochi o li accendono, li fanno divampare. In quel Lombardia il fuoco è divampato, descritto, raccontato come un esperto d’arte, come all’amico che arriva nella tua città, nella tua nazione, quella che senti tua. Quel fuoco si era acceso da ragazzo, alla vittoria del Giro della Valle d’Aosta, a diciannove anni. Era lì, una fiamma, in attesa, in divenire, tra sogni e desideri. Raccontati allo stesso modo in cui mostra quelle parole sul suo braccio.
Quello di tornare, ad esempio. A fine Giro d’Italia 2017, addirittura, l’unico desiderio. Tutto in quel pensiero, tornare dove “non ho visto nulla di negativo”. Anche se era stato quarto, alla fine, sempre di poco, sempre giù dal podio. Eppure il legame si stringe, si amplia, diventa più forte. Non è più solo ciò che si desidera, ma quel che si vuole. Perché a Superga, pochi giorni prima di quella vittoria e di quella storia sull’Italia, Pinot, vittorioso alla Milano-Torino, è un corridore che ha voluto la vittoria, che ha voluto questa vittoria in Italia. Lo sottolinea lui stesso. Avvicinamento e allontanamento continui.
È giusto parlarne perché, proprio in questi giorni, Pinot ha annunciato che nel 2023 sarà al Giro d’Italia. Di più: che, al Giro d’Italia, le montagne saranno il suo grande traguardo, ciò a cui punta. Sono accadute tante cose da quel 2018, tante delusioni, sì, le stesse di quei fuochi che si spengono e si accendono, le stesse delle affinità che sono somiglianze da cercare e vivere, le stesse, anche, della bicicletta, degli esseri umani. Eppure Thibaut Pinot continua ad avere quella voglia, la stessa che l’ha fatto piangere sotto la pioggia, a Lienz, al Tour of the Alps dello scorso anno, dopo una vittoria, dopo tanto tempo. E sarà proprio con quella voglia che tornerà al Giro d’Italia, cinque anni dopo. Si tratta delle affinità.