Come dice il plurale del nome, le Marche sono tante, magari non milioni di milioni ma comunque molte più di una. Del resto vuoi mettere il gusto di un ciaùscolo, anche di uno solo contro un intero esercito di “negronetti”?
Siccome le Marche sono tante non basterebbe di certo un alfabeto a elencarle, a descriverle, a raccontarle.
Come si fa ad abbracciarle tutte, le Marche? C’è un modo intelligente e appassionante per abbracciare, e conoscere le Marche, se non tutte, almeno un bel po’.
Quale? Andarci in bicicletta.
Ma come? Le Marche sono tutte un su e giù? Come è possibile? Ci vuole un fisico bestiale!
Vi assicuro che non è così. Date retta a NoiMarche BikeLife, il progetto di proposta cicloturistica messo in piedi da un protocollo di 28 comuni marchigiani per “mappare” decine e decine di itinerari permanenti adatti a tutti i tipi di biciclette e, soprattutto, di gambe e polmoni.
Il 23 e il 24 ottobre scorso 25 blogger, giornalisti ed amministratori locali, suddivisi in tre gruppi di pedalatori, hanno percorso 500 km alla scoperta dei territori dei 28 comuni marchigiani consorziati nel progetto NoiMarche BikeLife.
Questo che leggete qui di seguito, in forma di parziale abbecedario, è solo un piccolo assaggio dei luoghi, delle storie, delle bellezze, delle golosità e e delle curiosità che ho incontrato lungo la strada.
A come Apiro e altri toponimi
Nelle Marche mi hanno affascinato i nomi dei posti, dei comuni e dei borghi, delle frazioni e di tutte le denominazioni geografiche del territorio marchigiano. Se non l’avessimo capito dalle pendenze – che, per carità, si possono fare anche senza troppo affanno, soprattutto se, come me, vi siete fatti dare una e-bike – che i borghi marchigiani stanno per lo più abbarbicati sulla cima di una collina, i cartelli stradali sono lì ricordarcelo: Montegranaro, Montegiorgio, Monsampietro e Monsano. Oltre a un probabilmente più pedalabile Colmurano, c’è pure Monte Urano, che mi fa venir la voglia di farci arrivare una tappa del “primo Giro planetario d’Italia” che un giorno vorrei tanto organizzare con Stefano Bartezzaghi: da Portovenere (SP) a Castelmarte (MB), da Roveré della Luna (TN) a Solarolo (RA), da Giove (TR) a Saturnia (GR), da Nettuno (Roma) a un comune a caso della Valle del Mercure, in provincia di Potenza. Sassotetto, sui Monti Sibillini, mi pare il luogo perfetto per farci arrivare un traguardo in salita, cosa che infatti da qualche anno succede alla Tirreno-Adriatico. Sempre a proposito di altimetrie Penna San Giovanni trae il suo toponimo da pen, antica parola romana – ovvero di una lingua preesistente all’affermazione del latino -, che significa altura, luogo posto in alto, montagna: da cui deriva anche Appennino. Mentre pedalavo in salita ho visto un cartello e mi sono illuso che fosse lì per me: diceva ATLETA. Ho ringraziato per la stima, o l’incitamento, ma mi sbagliavo. Era la segnaletica di Alteta, tra Grottazzolina e Francavilla d’Ete (che pure hanno la loro bella fantasia). Scendendo salendo da Fiastra costeggiando i crinali nord sempre dei dei Monti Sibillini ho visto un’indicazione per Colpodalla, un posto per volatili che per velocipedi. E per finire ecco Apiro: fantasticando di etimologie mi ero fatto convinto che il suo significato spiegasse l’arcano della canzone di Ivan Graziani di cui potete leggere in questo breve, incompleto Alfabeto Marche, alla lettera I: ovvero un villaggio dimenticato da Promoeteo dove, alla greca, non si conoscesse l’uso del fuoco: a+ pyros. Mi hanno spiegato che invece deriva dal latino e da un grande albero di pero che un tempo si stagliava sul crinale e indicava il luogo (ad pirum, al pero) dove poi sorse il paese. Abbozzando sono caduto dal pero. Ma per fortuna non dalla bici..
B come Boccascena
In teatro il boccascena è l’apertura del palcoscenico sulla platea. Le Marche, in quanto a memoria e conservazione degli spazi teatrali, sono una regione speciale: non è un caso che siano chiamate “la regione dei cento teatri”. Tra Sette e Ottocento, nella grande stagione del melodramma italiano, moltissimi comuni marchigiani si sono dotati di uno spazio collettivo teatrale e molti di questi sono rimasti in vita e in uso, splendidamente conservati e felicemente praticati. Io ho avuto modo di vederne solo due: a Montegiorgio il Teatro Alaleona – dove non ci troverete a recitare Alaphilippe e Cipollini – e il minuscolo Teatro Flora, costruito interamente in legno, a Penna San Giovanni.
C come Carlo il Grosso
Nel primo entroterra di Sant’Elpidio al Mare e Casette d’Ete, sorge la basilica imperiale di Santa Croce al Chienti. Un nome assai impegnativo: perché, innanzitutto, “imperiale”? Perché pare venne consacrata già fin dall’887 da Carlo il Grosso imperatore del Sacro Romano Impero, figlio di Ludovico il Germanico, nipote di Ludovico il Pio e bisnipote nientepopodimenoché di Carlo Magno. Quasi un secolo dopo, nel 968, passa sotto il diretto controllo di un altro imperatore germanico, Ottone I, e crebbe d’importanza per tutto il periodo detto appunto ottoniano, fino alla fine del X secolo. Un’altra leggenda, pare però senza molti fondamenti storici, addirittura colloca qui un palazzo eretto per volere dello stesso Carlomagno.
E come Ete
È il nome di un fiume, a regime torrentizio, come molti appenninici. Il corso è breve quanto il suo nome: circa una quarantina di chilometri, dalle sorgenti alla confluenza nel Chienti, proprio in prossimità della basilica di Santa Croce. Ma di Ete ce ne sono due: questo l’Ete Morto, che venne deviato nel suo corso originale fin dal XVIII secolo. L’altro, l’Ete Vivo, lungo pochi chilometri in meno, sfocia però direttamente nell’Adriatico, a Porto San Giorgio.
F come Falerone
A guardarlo dall’alto, da una mappa zenitale, Falerone sembra una biscia, allungata sul crinale della collina. Sarà forse per questo che l’antico insediamento, che risale all’epoca romana come attesta il vicino sito archeologico di Falerio Picenus, con tanto di Teatro e Anfiteatro romani, e ricco museo archeologico, ha tra i suoi simboli Lu serpe de Falerò, un dolce prenatalizio fatto a forma di biscia che tende a mangiarsi la coda.
G come Gismondi
Montegranaro è il paese di Michele Gismondi, che dal 1952 al 1959 è stato uno dei più fedeli gregari di Fausto Coppi. Grande amico anche fuori dalle corse, nel pieno dello scandalo del processo per adulterio alla Dama Bianca, Gismondi ospitò a casa sua Giulia Occhini, dopo la sua breve ma umiliante reclusione per adulterio. Per ironia della sorte – ma neanche poi tanto, conoscendo la generosità dei Gismondi – oggi a Montegranaro vive Gioia Bartali, nipote del grande Gino. Gastone Gismondi, nipote di Michele, è stato per anni sindaco di Montegranaro, nonché instancabile promotore delle attività ciclistiche locali.
I come Ivan Graziani
Ivan Graziani, teramano di origine, venne adottato dalle Marche fin dagli anni della scuola all’istituto d’arte di Ascoli Piceno e poi della casa di Novafeltria, dove morì il 1° gennaio 1997, a soli 51 anni. Le sue canzoni, quasi tutte, secondo me assomigliano al paesaggio delle Marche: un moto ondoso di parole e musica. Una di quelle che mi piace di più si intitola Fuoco sulla collina e mi ha accompagnato sulla strada tutte le volte che s’impennava verso un crinale e un nuovo panorama.
J come Jesi
Nel 2022 il Giro d’Italia avrà come tappa di arrivo Jesi, città di fuoriclasse, da Federico II di Svevia a Roberto Mancini e Valentina Vezzali. La corsa rosa sarà ancora una volta uno straordinario spot internazionale per mostrare a tutti le bellezze delle Marche.
L come Licini
Osvaldo Licini è uno dei pittori del Novecento a cui voglio più bene. Non saprei spiegare il perché, ma le sue forme e i suoi colori di un astrattismo pieno di sogni. I suoi angeli, in particolare, mi sono sempre sembrati che fossero disegnati per prendersi cura di chi li guardava. Licini ebbe una vita piena di incontri e di luoghi: Bologna, poi Firenze e il futurismo, la Grande Guerra e poi Parigi e i grandi pittori e scrittori del Novecento: Picasso e Modigliani, Jean Cocteau e Blaise Cendrars; quindi la stagione dell’astrattismo, con Lucio Fontana, Fausto Melotti, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi; e ancora l’incontro con Kandinskij. Ma il suo ombelico è sempre stato Monte Vidon Corrado, il paese dove nacque, e dove dal 1946 e per buona parte del primo dopoguerra fu anche sindaco. E dove oggi hanno sede un centro studi a lui dedicato e un’affascinante casa-museo.
M come Michele Scarponi
Un altro che ci si sente pedalare accanto sulle strade delle Marche è Michele Scarponi. La sua faccia da schiaffi, la sua risata forte, la simpatia contagiosa… In realtà è vero che ce lo si sente accanto perché l’attività della Fondazione a lui intitolata, e che guidata con passione e determinazione da Marco, il fratello, è attivissima nelle iniziative per l’educazione del corretto comportamento stradale e del rispetto delle regole a tutela dei più fragili.
N come numeri
28 comuni marchigiani che hanno sottoscritto il protocollo d’intenti NoiMarche BikeLife per promuovere il cicloturismo nella regione: Apiro, Appignano, Cingoli, Civitanova Marche, Colmurano, Falconara Marittima, Falerone, Fiastra, Francavilla d’Ete, Grottazzolina, Gualdo, Jesi, Loro Piceno, Macerata. Matelica, Monsano, Montegiorgio, Montegranaro, Morrovalle, Penna San Giovanni, Potenza Picena, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino Marche, Sant’Angelo in Pontano, Sarnano, Treia, Urbisaglia. 9 servizi di bike transport; 26 servizi di noleggio bici; 37 guide e accompagnatori turistici; 36 associazioni ciclistiche; 40 officine di riparazione e ricambi e negozi di biciclette e abbigliamento; 2 officine mobili.
O come Ombelico
Sono salito su una collina che sembra davvero di stare nell’ombelico delle Marche. È la collina che sta alle spalle dell’Officina del Sole, una tenuta nella campagna di Montegiorgio, dove abbiamo ben dormito, ben mangiato e ancora meglio bevuto. La collina sulla quale sono salito alla mattina presto, tra i vigneti di Passerina, Verdicchio e Chardonnay, per vedere spuntare il sole spazia il suo orizzonte tutto intorno, dal Conero ai Sibillini: il vino che fanno lì, uno Spumante Brut, metodo Charmat, ottenuto da un blend delle uve dintorno, raccolte da fine agosto a fine settembre, non poteva che chiamarsi Trecentossessanta, come i gradi con cui lo sguardo abbraccia il paesaggio dei colli marchigiani.
P come Petronilla
Oltre a formare col marito Arcibaldo la coppia più longeva del fumetto americano (1913, e dal 1921 sul “Corrierino dei Piccoli”), Petronilla era una santa. Ed è la patrona di Grottazzolina, che le aveva intitolato la primigenia chiesa del Ss. Sacramento e del Rosario, ora sfolgorante di stucchi e decori policromi. Si dice che Petronilla martire fosse la figlia (carnale o spirituale, non si è capito) di San Pietro Apostolo. Passa anche per essere protettrice dei delfini di Francia (intesi non come cetacei transalpini, ma eredi al trono, quando ancora ne esisteva uno) e, come dice la guida locale, viene invocata per tenere lontane le pulci.
R come Romolo Murri
A Gualdo si trova il Centro studi dedicato a Romolo Murri. Non è che andando in giro in bici, con le braghe fondellate e i lycra aderente a segnare i fianchi non proprio sciancrati, si sia sempre della predisposizione migliore a farsi incuriosire dai luoghi pieni di libri, documenti, archivi. Tanto più se si tratta della storia di un prete spretato, travolto dalla passione della politica. Eppure, a Romolo Murri, nato a Monte San Pietrangeli nel 1870, e morto a Roma nel 1944, dobbiamo forse un po’ di attenzione se non altro per il fatto che s’inventò la Democrazia cristiana in anticipo di vent’anni sui tempi storici. E questo gli costò appunto l’ostracismo del Vaticano e tanti altri preclusioni. Però, se abbiamo corso il rischio di “morire democristiani”, un rischio che, mi viene da pensare oggi, quasi trent’anni dopo, col senno di poi, quasi quasi avrei corso volentieri, possiamo ben dirlo che lo dobbiamo in parte a Romolo Murri e una sosta a Gualdo, dove il terremoto del 2016 ha tolto il pennacchio al campanile, è doveroso farla.
S come Sarnano
Sarnano è una delle porte dei Sibillini. Ed è una porta girevole, tante sono le faccende in cui i sarnanesi sono affaccendati. Innanzitutto, anche a fronte delle difficoltà del terremoto, non si sono lasciati perdere d’animo, quasi che non volessero piangere sulle proprie sventure. In pochi anni si sono messi a ricostruire il paese, e mettendolo in sicurezza, facendo così in modo che la cittadinanza rimanesse legata al proprio luogo d’origine. E poi si sono vocati a un’attività di promozione del territorio come grande risorsa di turismo outdoor, che ha nel ciclismo – in tutte le sue declinazioni: la strada, il gravel, la mountain-bike e il downhill – una sfera di eccellenza. Decine e decine gli itinerari tracciati, moltissime le guide che si sono specializzate nell’accompagnamento di ciclisti e cicloturisti su percorsi della più varia natura e impegno. Luca Piergentili, sindaco di Sarnano, senza banda tricolore e senza cravatta, è la faccia di questo proficuo affaccendarsi per fare di Sarnano e dintorni una meta per gli appassionati delle due ruote, punto di partenza di numerose escursioni in quota, sui Sibillini, o sulle panoramiche strade di cresta delle colline circostanti.
T come Tiralento
Dicesi “Tiralento” di un ciclista dall’andatura cosi incerta da non si riesce a capire se avanzi o stia facendo un mimico esercizio di surplace, un Jacques Tati che scivola, da un Jour de Fête, dentro al Giro. Così mi ha spiegato Gianni Traini che, a Grottazzolina, di Tiralento, piccola azienda artigianale di abbigliamento, accessori e scarpe per il ciclismo, è il titolare. Capelli lunghi e grigi alla capo Comanche, Gianni, da quattro anni, insieme al fratello Giuliano, giornalista, disegnatore, collezionista di pezzi rari della storia del ciclismo (fotografie, riviste, memorabilia e quant’altro possa star dentro la sua curiosa voracita), ha concretizzato un sogno: produrre con le proprie mani gli oggetti dei loro sogni. Gianni e Giuliano sono cresciuti a pane e bicicletta sui colli marchigiani nell’entroterra di Porto Sant’Elpidio. Poi le loro vite hanno preso strade diverse: Gianni imprenditore nel settore trattamento metalli; Giuliano giornalista a Milano. Ma il legame con il loro territorio e le loro passioni e rimasto forte ed e riemerso, come un fiume carsico, nel progetto Tiralento. Se esiste un’eta dell’oro del ciclismo e quell’arco temporale che va dal secondo dopoguerra alla meta degli anni Settanta, e Tiralento e un omaggio a quella stagione di campioni e costruttori, corse e icone. Fanno maglie come le si faceva quando esisteva ancora l’artigianato tessile e si lavorava con filati e telai, non con materiali sintetici e macchine da stampa; fanno scarpette e caschetti lavorando il cuoio come i vecchi artigiani di una volta, sagomando a mano e piantando minuscoli chiodini, le “semenze”, nelle suole rinforzate. I loro prodotti non sono similcopie, non sono imitazioni rivisitate: sono proprio “quelle maglie”, “quelle scarpe”. Se c’e un posto dove aleggia il genius loci del ciclismo, questo e Tiralento, Grottazzolina, Marche.
V come Vino Cotto
A Loro Piceno c’è un Museo del Vino Cotto, un prodotto di antichissima tradizione ricavato dalla bollitura del mosto prima della fermentazione. Viene ricavato da uve prevalentemente locali, come la Malvasia e il Montonico, il Pecorino, il Moscatello, lo Zibibbo, il Maceratino, il Galloppa, spesso ricavate da vitigni ad alberate, cioè facendo arrampicare la vite su altri alberi, aceri o altre piante da frutta. Il mosto si riduceva a caldo a un terzo del suo volume (interzatura) e poi messo in botti dove fermentava lentamente fino all’invecchiamento che può durare anni e richiede una cura molto simile a quella delle grandi acetaie dell’aceto balsamico. Oggi il vino cotto, dalle intense sfumature aromatiche, è un vino da meditazione, o da dessert
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