Venerdì sera, Arena Gigli in piazza Brancondi, centro di Porto Recanati. A due pedalate dal Castello Svevo. Un palco brandizzato Gran Fondo Nibali accoglie l’organizzatore della corsa, Andrea Tonti, lo stesso Vincenzo, due Beppe (Conti e Saronni) e alcuni comici locali. Questi ultimi parlano spesso e volentieri in dialetto, facendo molto ridere i marchigiani, ma rendendosi pressoché incomprensibili a tutti gli altri, che comunque si divertono nel vedere i marchigiani sganasciarsi dalle risate.

È uno dei tanti eventi organizzati a latere delle prove su strada: la rando di venerdì e le due Gran Fondo di domenica. Sono le undici e mezza e fa così freddo che, anziché una birra, al bar ordino un thè caldo. La mia rando è terminata circa cinque ore fa. Più di dieci ore in sella, quasi dodici ore di tempo totale, una settimana di tempo di recupero stimato. Due persone, invece, stanno arrivando adesso, e magari non sono nemmeno le ultime. Ricordo i loro volti alla partenza, ma non so come si chiamino né le loro storie. Hanno una luce sul casco, sono avvolti in mantelline una rossa e una gialla, con un piede staccato dal pedale si stanno dirigendo cadaverici verso lo stand dal quale ritirare un po’ di cibo. Dentro la busta dell’approvvigionamento, uguale per tutti credo: due paninetti, gel, un Kinder Bueno, una banana, una Heineken in lattina.

Un minimo comune denominatore accomuna chi arriva al traguardo dopo oltre duecentocinquanta chilometri e cinquemila metri di dislivello: il volto. Nascosti in casco, occhiali e scaldacollo, certo, senza capello a cilindro nero, tanti 5mila Marche finishers hanno un’espressione che ricorda quella delle persone che camminano sul marciapiede di “Sera sul viale” di Edvard Munch. Il viso è scavato, bianco, privato dei tratti distintivi di ciascuno. Tra le altre cose che il pittore norvegese annotò sul suo diario personale: «Voleva fissare un pensiero ma non gli riusciva, aveva la sensazione che nella sua testa non ci fosse nient’altro che il vuoto… il suo corpo era scosso dal tremito, il sudore lo bagnava».

La 5mila Marche ha chiesto tanto a coloro che l’hanno percorsa. Ha chiesto tutto, anzi: una persona che era con me negli ultimi venti chilometri non è stata in grado di parlare. Il percorso è così bello e la voglia di metterci meno di dieci ore, oppure la speranza di arrivare entro mezzanotte, così forti da prenderti totalmente. Tutti coloro che sono partiti all’alba da Porto Recanati e sono tornati sul lungomare di notte hanno dato tutto a questa rando. E la 5mile Marche, in cambio, ha dato qualcosa che capiremo appieno solo tra diverso tempo.