«Quando si tratta di biciclette è diverso. Chi ti consegna una bicicletta da riparare oppure osserva una bicicletta che vorrà acquistare, direttamente o indirettamente, ti racconta una parte della propria vita. Vieni a sapere dove vive, cosa fa di lavoro, dove va di solito ad allenarsi, la strada sterrata che lo gasa, la discesa su cui fa velocità, con chi fa la gara al cartello, il luogo del lungo di domenica e molto altro. E, mentre conosci tutte queste cose, piano piano ti accorgi che quella persona che, appena è entrata dalla porta ti ha fatto un cenno per chiederti qualcosa, non ti è più estranea. Si tratta di un inizio di rapporto, di un principio di conoscenza: puoi aggiustare molte altre cose, puoi vendere tante altre cose, ma difficilmente vivrai questa sensazione. Personalmente vengo dal ramo dell’abbigliamento e so che è differente».

Sono le prime cose che ci dice Marco Della Maggiora, store manager del Trek Bicycle di Firenze, in via delle Cascine 35: ci troviamo nell’ex Manifattura Tabacchi, un tempo luogo di sigarette e sigari, riqualificata, negli ultimi cinque o sei anni, e rivista in chiave moderna. Restano i mattoncini rossi, le porte ampie in legno e le vetrate, sopra, su alcuni soffitti, anche i tubi che scorrono; fuori da qui, il Parco delle Cascine, da un lato, e i Lungarni che portano al centro, dall’altro, l’aeroporto dista dieci minuti o poco più. Si racconta che presto, in questa zona, sorgerà un albergo e le vie nei dintorni diverranno un nuovo polo attrattivo della città di Firenze, simile a Citylife a Milano, per rendere l’idea. Il futuro che si avvicina e cambia le cose, spesso le migliora, eppure

Della Maggiora tiene un angolo per la malinconia, per i ricordi, e, mentre chiacchieriamo e fuori infuria il temporale, torna con la mente alle vecchie botteghe dove si riparavano le biciclette: «C’erano il signor Mario o il signor Gianni, con la voce forte e le mani che avevano appena rivoltato la catena, il grembiule sporco di unto, sulla soglia di una botteghina. Mario e Gianni conoscevano tutti e tutti li riconoscevano, poi, sai come sono fatti i fiorentini: quando ti intravedono, iniziano a gridare metri e metri prima per salutarti con la loro cadenza ed il loro: “Ciao bimbo”. Sì, ora il mercato della bicicletta è andato da un’altra parte e Mario e Gianni non ci sono più, però sono un romantico della bicicletta e, anche se qui è tutto nuovo, io a quelle botteghine penso spesso».

Del resto, i fiorentini, Della Maggiora lo spiega bene, sono sempre gli stessi: scrutano il colore viola in ogni dettaglio della città, lo inseguono quasi, anche nelle cartelle dei bambini che vanno a scuola la mattina, e si fermano ad ammirare il Giglio, il simbolo di Firenze, ogniqualvolta lo vedono. In negozio ce n’è uno, illuminato al neon, grande come tutta la parete, mentre uno più piccolo è stampato sulla maglietta con il marchio Trek che Marco ha addosso: «Ho in mente una maglietta così, ma viola, non nera: vedrai, maglietta viola e giglio. Non resisterà nessuno, li conosco ormai, nonostante io sia di Massa Carrara». Per esempio, Marco Della Maggiora conosce la loro maniera goliardica di dir le cose, dei toscani e dei fiorentini in particolare: «Sono amiconi, ma solo se scelgono di fidarsi: in quel caso, pacche sulle spalle, abbracci, prese in giro sono all’ordine del giorno e vengono a trovarti in negozio anche se non hanno nulla da comprare o da sistemare. Però, attenzione, perché se non gli si va a genio, a Firenze hanno la memoria lunga e non c’è verso di fargli cambiare idea».

Anche quel professore dell’Università di Londra, nativo di Firenze, che qualche settimana fa è passato dal negozio e ha scritto una bellissima recensione, sull’aria europea che ha trovato in via delle Cascine, era così. Ma qui arrivano anche americani in viaggio, olandesi che visitano il Chianti, spagnoli e quasi sempre si fanno precedere da una telefonata e quel nome già conosciuto, Trek, per l’appunto, serve da rassicurazione, quasi fosse un conforto, un sentirsi a casa, pur se lontani. Poi entrano in negozio, sentono l’odore di copertoni e di uno spray lubrificante alla ciliegia, che ultimamente si usa spesso e impregna l’aria, sono socievoli, desiderano conoscere, spesso imparare, farsi consigliare, in poche parole, hanno voglia di fidarsi. «In Italia siamo diversi. Tempo fa abbiamo distribuito dei volantini per il lavaggio gratuito della bicicletta: si tratta di smontarla, lavarla, ingrassarla, comunque di metterci le mani. Voglio dire che fidarsi può non essere così istantaneo, però, anche per questo si può fare qualcosa. Venendo in negozio, capirai».

Il negozio ha due ingressi, uno sul lato del parco, l’altro interno. Tutto è situato su un solo piano, da una parte si trovano le biciclette destinate alla vendita, da corsa, elettriche, da bambino, da passeggio, mountain bike, e dall’altro quelle destinate al noleggio, tra cui un posto di rilievo è occupato dalle gravel. All’interno della manifattura tabacchi, è invece posta l’accettazione: Leonardo, il Service Leader, effettua la prima ispezione della bicicletta, proprio assieme al cliente, per vedere ogni dettaglio: il tutto viene registrato dal PC e da quel momento scattano le ventiquattro ore entro le quali la bicicletta, a meno di ricambio di pezzi non presenti in officina e quindi da ordinare, deve essere riparata e riconsegnata al cliente. Daniele, il meccanico, è in officina: richiama con una “pistola” lo scontrino e vede tutti i lavori che ci sono da fare, li esegue, poi custodisce i pezzi sostituiti che verranno riconsegnati insieme alla bicicletta, in modo da raccontare ciò che è stato fatto. L’officina è chiusa, ma non del tutto e Daniele, spesso, incontra il cliente quando viene a ritirare la bicicletta.

«Inutile nasconderselo, non è bello sapere che qualcuno ha messo le mani sulle nostre bici e non sapere chi. Siamo sempre curiosi di vedere ciò che viene fatto, o, almeno, di conoscere chi lo ha fatto. Nelle botteghine succedeva ed il meccanico era un confidente come il barbiere del centro. Un pezzetto di quel mondo, noi lo riportiamo qui, anche oggi che non basta più un martello per sistemare una bici, ma serve anche la tecnologia. Il contatto fa in modo che il meccanico diventi il tuo meccanico, un senso di appartenenza reciproco; si ha piacere di vedere il cliente che torna perché sai che il tuo lavoro è stato riconosciuto, che questa volta lascerà ancor più volentieri la bicicletta nelle tue mani». C’è il gergo fiorentino, una sorta di vocabolario della bicicletta: i copertoni sono i fascioni ed il leva copertoni è il leva fascioni, mentre il mastice è il masticione. In un’altra stanza si nota subito un vascone per lavare le biciclette e una vaschetta, più piccola, in cui lavare il pacco pignoni, la pedivella e la catena. La prima frase è sempre: «Come posso aiutarla?». Poi il lei diventa tu, fino ad arrivare al nome. Soprattutto non deve mai passare troppo tempo tra l’ingresso in negozio e le prime parole: «Si tratta di cura, di attenzione per qualcuno che ha bisogno di supporto e ti sta cercando. Puoi avere altre mille cose da fare, ma appena entra è doveroso che tu lo faccia sentire accolto. Con gli ospiti si fa così».

Ad un certo punto, tra ingranaggi di biciclette e racconti buffi, ecco la doccia e la cucina: sì, avete capito bene, entrambe presenti in negozio. Della Maggiora precisa che sono due elementi a cui Trek tiene molto, perché accrescono l’aria di casa e perché aumentano anche la voglia di andare a pedalare: lui stesso, spesso, esce al mattino alle sette, sgambata, due o tre ore di pedalata e via in negozio.

«A Firenze si fa dislivello come niente. L’altro giorno ho fatto quaranta chilometri e ben mille metri di dislivello, la doccia in negozio però mi salva. Una sciacquata, ci si cambia e si è pronti per iniziare la giornata, come si fa a casa. Anche la cucina fa famiglia: in certi giorni passiamo lì la pausa pranzo, altre volte facciamo il punto della situazione, la riunione di quindici minuti prima dell’apertura. Siamo in quattro, forse non servirebbe, ma vogliamo farla lo stesso: un domani, quando sarà necessaria, avremo presente meglio il significato del ritrovarsi a parlare, non solo per sbrigare faccende, ma per la condivisione. Io ho quarantacinque anni, i miei collaboratori fra i ventiquattro ed i ventinove, potrei essere un babbo per loro, e per molti aspetti mi sento di esserlo, per le ore che scegliamo di passare assieme, pur non essendo obbligati a farlo, ad esempio. Forse, anche per questo fermarsi più ore in negozio pare semplice».

Sì, perché è capitato e capita spesso che quando fuori si fa buio e sui Lungarni cala il silenzio, intorno all’una di notte, sbirciando dagli ingressi dello store si intraveda ancora qualcuno, si sentano le voci, le risate, aria di festa, e, guardando meglio, si veda che nel locale ci siano tante persone, in tenuta da ciclista. C’è appena stata la ride notturna del mercoledì, talvolta nelle zone di Impruneta, altre verso San Casciano, organizzata da Trek Bicycle, e, tra una birra ed una coca cola, si continua a divertirsi.

«La bicicletta è uno strumento conoscitivo pazzesco. Quando si pedala, si inizia a parlare della salita o del tragitto, poi, però si finisce per affrontare discorsi che nemmeno ci si sarebbe sognati. Così si parla del figlio e di che scuola fa, dei genitori, di quello che è accaduto sul lavoro. In una parola, si fa comunità». Il luogo per eccellenza dell’incontro è un bancone, con quattro sgabelli, davanti ad un televisore attaccato alla parete, con una bici d’epoca vicina alla macchinetta del caffè e al frigorifero: lì in autunno ci sono i cioccolatini, con la forma di una maglia da ciclista, anche iridata, per le occasioni più importanti, prodotti dallo zio di Jasper Stuyven, cioccolatiere belga, ed in estate bevande ghiacciate, popcorn e patatine.

Qualcuno porta il proprio computer e, mentre aspetta che la bicicletta venga riparata, si mette a lavorare. Non ci si incontra solo per eventi legati alle biciclette, qui si possono organizzare corsi di yoga, presentazioni e qualsiasi altro evento che abbia alla radice l’idea dello stare insieme. In estate, sovente, a quel bancone, ci si mette a guardare il Giro d’Italia e il Tour de France: «Niente scherzi, eh. L’ho già detto a tutti: l’anno prossimo, quando parte il Tour de France da Firenze, il negozio resta chiuso e si va a vedere la corsa. Quel giorno, vedrai che anche i fiorentini al viola vorranno affiancare il giallo, un colore che riempirà le vie. Quel giorno saremo la casa della corsa più importante al mondo ed in città se ne parla già adesso». Se ci si guarda attorno, a dire il vero, si nota ben presto quante biciclette ci siano a Firenze e quanti pedalatori: si fa enduro sopra la città e si arriva qui dalla Versilia, mettendo chilometri nelle gambe, certe volte su percorsi da vera e propria classica. Certo, le biciclette girano, vanno, scoprono, si lasciano scoprire attraverso chi le guida, talvolta attraverso gli ambassador, e poi tornano, si fermano, aspettano di ripartire, che qualcuno le controlli o le sistemi. Magari le scopra. Che qualcuno ne abbia cura. Da queste parti, tra il Parco delle Cascine ed i Lungarni, Trek Bicycle, all’ex manifattura tabacchi, è la casa da cui partire ed in cui fare ritorno. Il temporale si è quietato, un giro, adesso, ci sta proprio bene.