Andrea Casagranda è figlia d’arte. Sì, suo padre è Stefano Casagranda, ciclista professionista dal 1996 al 2004, con, tra le altre, le maglie di Riso Scotti, Amica Chips e Saeco. Si tratta di un passaggio chiave nel racconto della sua storia: dapprima perché cresce, letteralmente, tra le biciclette, quelle di quando correva papà, lei nasce proprio nell’anno in cui smette, e quelle della squadra del paese, di Borgo Valsugana, per l’appunto, il Veloce Club Borgo, in cui Stefano è presente ed in cui, a soli sei anni, fa il suo ingresso anche il fratello di Andrea. Il resto è tutto quello che si dice in famiglia del ciclismo, il fatto che di due ruote, bene o male, se ne parli sempre, anche quando la bicicletta è ferma, in garage. In sostanza, diventa ciclista così, assorbendo quello che vive attorno e provando ad interpretarlo a suo modo. Le piace, i primi anni volano in questa atmosfera, senza molti interrogativi, solo divertendosi. Le prime domande Andrea Casagranda se le fa da giovanissima e sono domande complesse, a cui è difficile dare una risposta, domande che mettono in crisi. «Sono interrogativi naturali per chi arriva al ciclismo come ci sono arrivata io, ovvero quando la tua passione e, magari, il tuo mestiere sono tramandati. Ad un certo punto, ti chiedi se è veramente la tua strada, se davvero hai un talento, una predisposizione o anche solo una capacità oppure se “sei capitato” in quel mondo, in quell’ambiente e stai proseguendo per inerzia, perché sei “figlia di” e, non lo fossi stata, chissà cosa avresti fatto. Allora ti metti a pensare e, nel mio caso, pensi addirittura di smettere e di cercare una strada che sia davvero tua». Quasi un moto di ribellione, di libertà smisurata, di quella che si ricerca da adolescenti, che, forse, esiste solo lì o, probabilmente, è un’idea, un’utopia da ricercare solamente, senza mai realizzarla in maniera totale.

Non succederà nulla di tutto questo perché la passione tornerà, da esordiente, e, alla fine, Casagranda capirà che, per quanto trasmessa, ereditata, la voglia di pedalare e fare fatica le appartiene e la definisce. Accade ancora oggi, in inverno, mentre fuori fa freddo e, al mattino presto, si prepara ad uscire in allenamento, suo papà la vede e la ferma: «Fa ancora freddo, aspetta qualche ora, così l’aria si scalda». Andrea Casagranda resta sorpresa e riflette: «Mio padre ha sempre fatto questa vita, quel freddo lo conosce bene, me ne ha parlato molte volte, in tanti aneddoti, quel freddo serve, perché è necessario allenarsi sempre, anche a temperature rigide. Questo lo dico da ciclista e anche lui, da ciclista, direbbe lo stesso, da padre, invece, vuole soprattutto farmi stare bene. Tuttavia anche io mi sono abituata al freddo e mi basta qualche pedalata per scaldarmi». Qualcosa di simile lo dice anche agli amici quando le chiedono di uscire la sera perché «tanto domani non devi gareggiare, ma solo allenarti» e lei rifiuta perché «da ciclista so che devo dormire bene e svegliarmi presto, le feste me le racconteranno». La pedalata è quella tipica da passista-scalatrice, come il fisico: leve lunghe a macinare ritmo e metri, predisposta per i percorsi mossi, se la cava bene in volate ristrette, anche se sta lavorando per migliorare ulteriormente. Nelle gare a tappe che ha sperimentato fino ad ora si è sentita a proprio agio, in particolare a “La Vuelta”, è affascinata anche dalle zone de L’Ardèche il sogno, tuttavia, sarebbe il Tour de France Femmes, mentre, per quanto concerne le corse di un giorno, dal Fiandre. Quest’ultimo è un’ispirazione sin da quando era piccola: nel 2019 era sulla strada quando Alberto Bettiol e Marta Bastianelli vinsero rispettivamente la prova maschile e quella femminile, un bel giorno per innamorarsi, verrebbe da dire. Lei partecipò alla prova amatoriale del giorno prima: «Il problema più grosso è che sulle pietre faccio proprio fatica a pedalare, in gara non ce la faccio, davvero. Ho chiesto a Walter Zini come fare per migliorare, mi ha detto che sono molto giovane e che devo correre tante gare con il pavè, perché solo lì posso imparare a gestirlo con lo stress della competizione. Spero di poterlo fare al più presto». I suoi modelli sono Elisa Longo Borghini e Demi Vollering.

Zini è il suo direttore sportivo in BePink, la squadra che l’ha accolta, lo scorso anno, al suo passaggio fra le élite dalla categoria junior, quando non sapeva cosa aspettarsi ed alla fine è arrivato proprio quello che non si aspettava. Correva molte gare open, è passata a varie corse internazionali, confrontandosi con rivali sempre più importanti e affrontando, in primis, il timore del giudizio altrui: «Per carattere tendo sempre a pensare a ciò che diranno gli altri delle mie azioni, per quanto possa non farci caso, il loro giudizio mi interessa e, se negativo, mi manda in crisi, mi fa pensare». Poi ci sono le difficoltà pratiche, anche quelle minime, su cui spesso non ci si sofferma: andare in fondo al gruppo a prendere le borracce per le compagne, portarle, distribuirle, aver a che fare con gli auricolari per seguire le indicazioni del direttore sportivo e per interfacciarsi con le compagne di squadra. «La difficoltà maggiore, per quanto sembri assurdo, all’inizio è capire ciò che viene detto, basta il vento per perdere la voce e sentire solo confusione. Bisogna affinare le orecchie e, con l’esperienza, le cose cambiano». In quegli auricolari la voce più decisa è quella di Zini che, talvolta, si arrabbia, grida: «Vuole che seguiamo subito e scrupolosamente le indicazioni che ci vengono date perché vuole che impariamo e da lui è veramente possibile imparare a leggere correttamente una gara. Dire le cose come stanno è l’unico modo per crescere, anche se fanno male».

A scuola era brava, in particolare in matematica, ma studiare non le piaceva, preferiva stare fuori in bicicletta, anche da sola. Così per passare meno tempo sui libri, Casagranda era attentissima in classe, imparava lì le lezioni e a casa poteva fare altro. L’anno scorso la maturità: «Studiare è fondamentale, importantissimo e non dovremmo mai scordarlo, forse il problema è il metodo che adottano le nostre scuole, un metodo che, in alcuni casi, non incentiva il desiderio di studiare e scoprire. Almeno questa è la mia idea». Nel 2024, molte cose sono state diverse, a partire dal fatto che non ha più dovuto far coesistere scuola e ciclismo: il primo anno è stato un anno di esperienza, senza troppe pressioni, nel secondo ha cercato di dare altre risposte, in una squadra rivoluzionata rispetto al suo esordio. Proprio grazie a questo cambiamento, Zini è ripartito da capo, ha rispiegato dall’inizio varie dinamiche tecnico-tattiche e questo per Andrea ha significato una grande possibilità. Il ciclismo femminile ha continuato a crescere e allo stesso modo sono aumentate le possibilità di BePink in gare di livello assoluto. Una continua prova che l’ha cambiata nel fisico e nella mentalità. Casagranda ricorda il periodo da junior quando, dopo un anno di successi, si prefisse di migliorare l’anno successivo, mettendosi addosso molte, forse troppe, pressioni che l’hanno portata a non riuscire a centrare alcuni traguardi che si era posta. Un errore che si è ripromessa di non fare, mentre mentalmente cerca di diventare più forte e, ogni volta in cui fa le valigie e riparte, ha la certezza che sta andando lontano da casa per imparare. Ed è serena.

Foto: Sprint Cycling Agency