Che cos’è una corsa ciclistica se non un tentativo gagliardo a volte, masochista spesso, di cercare se stessi e poi trovarsi? Un limite spinto più in là, un elogio della bellezza, un’elegia della fatica. Bellezza, limiti, fatica: tre parole che spiegano bene la giornata di Asgreen. Partito gagliardamente a poco più di sessanta chilometri dall’arrivo, ripreso nel dolore (suo e nostro che a un certo punto imploravamo pietà) quando ne mancavano dodici e dopo che gli inseguitori lo hanno avuto a tiro per un’ora, un’ora e mezza.
Ripartito per ritrovarsi quando ne mancavano quattro e poi rivisto e ritrovato all’arrivo, in quella maglia rossa di campione di Danimarca, indubbiamente tra le più belle in gruppo.
E bisognerebbe poi fermarsi un attimo e lanciarsi in un atto di esaltazione del collettivo (Deceuninck) Quick Step, oggi ai massimi termini. Perfetti in ogni frangente di corsa, straripanti. Visione di gioco totale dello schema di gara: mosse semplici quanto efficaci. Ho il collettivo migliore? Tutti muovono nella stessa direzione? Non ci sono van der Poel e van Aert che tengano, allora. Almeno non oggi, quando l’olandese è, a tratti, apparso incerto sul da farsi e in soggezione per la spietata superiorità numerica in blu e quando il belga, invece, dopo aver affrontato la fase finale di corsa tutta in testa, all’improvviso si è spento. Sono (splendidi) umani pure loro: questa è una delle storie più interessanti di oggi. Il ciclismo è anche uno sport di squadra, una lezione importante.
Ma vediamo la migliore formazione in campo oggi. Deceuninck Quick Step era il soggetto: se Asgreen è una splendida punta (e una superba locomotiva), Štybar e Senechal – e a tratti Lampaert – sono stopper d’altri tempi, di quelli che si attaccano alle caviglie e non ti mollano. Mentre Ballerini è specchio per le allodole – e fa gola ai bookmakers – e da Van Lerberghe e dal solito amabile Declercq parte la costruzione dal basso.
E che cosa è stata la corsa di oggi? Ci siamo fermati un po’ a riflettere: le ultime due ore da farsi venire un colpo. Duecento chilometri in Belgio e al via (quasi) tutti “i meglio fichi del bigoncio mondiale”. O almeno in questo modo li chiamerebbe uno che una volta definì così Van Steenbergen, Coppi, Koblet e Bobet all’inseguimento di Forestier e Scodellier nella Roubaix del 1955. Ma non divaghiamo.
Che cos’è l’E3 Harelbeke, quindi? Così giovane rispetto ad altre corse del Nord ma ormai ambita pietra miliare. Aizza polemiche con locandine il più delle volte da velo pietoso. Cambia nome ad ogni cambio di sponsor come una franchigia del basket. Prima Harelbeke-Anversa-Harelbeke, poi E3 Prijs Vlaanderen, E3 Harelbeke (come ci piace chiamarla ormai: E3 come l’autostrada che si incrocia ai -9 dall’arrivo), poi E3 BinckBank Classic, e poi, infine oggi, E3 Saxo Bank Classic. Qui dove un certo Boonen ha vinto cinque volte e un certo Merckx mai. Dove i belgi, di casa, negli ultimi anni si sono sentiti fuor d’acqua: se è vero che, a scorrere l’albo d’oro, negli ultimi dodici anni hanno messo la bandierina solo due volte.
Qui si danno appuntamento per la prima volta sulle pietre nel 2021 van der Poel e van Aert – mancava Alaphilippe – costretti dalle vicissitudini di corsa persino a fare squadra. E vederli cercarsi con lo sguardo nel finale è stato quasi tenero, lo ammettiamo.
Una corsa dove alla vigilia i corridori della Vini Zabù (unica squadra italiana alla partenza – nessun corridore della squadra di Scinto classificato all’arrivo) si dilettano in un simpatico siparietto, che vi consigliamo di cercare in rete, sulla loro conoscenza dei muri che avrebbero affrontato in gara – spunta persino uno Scintoberg.
Quei muri, così difficili da mandare a memoria che ti serve una guida alla corsa sempre sotto gli occhi per identificare il Taienberg, il Kanarieberg o il tratto chiamato Karnemelkbeekstraat, che vuol dire semplicemente “la strada del burro fuso“. Muri così difficili non solo da memorizzare per noi e da scalare per loro, ma anche da ripetere ad alta voce con il rischio che ti allappi la lingua e ti si secchi la gola.
Che cosa sono dunque tutti quei muri sparsi mica regolarmente per i duecento chilometri di corsa, ma infilati come il ritmo improvviso di una canzone freak-noise? E così via a farci domande su domande.
E le risposte non si fanno attendere. Arrivano da prima del via: fuori la Bora e con loro Politt, qualche chance la nutriva pure lui: Walls è positivo, la squadra resta al palo. Le risposte le troviamo subito alla partenza: vento forte e nuvole minacciose (che rimarranno tali – un velato monito) tra corridori che sbadigliano dalla tensione e un van der Poel che si maschera dietro una bieca indifferenza.
Le risposte le dà subito il gruppetto in fuga, vecchie glorie (Terpstra e Greipel) giovani rampanti con la scorza dura tra cui Jonathan Milan: se qualcuno non se lo fosse ancora segnato il suo nome, si appresti a farlo, in una giornata magrissima di gioie per i colori italiani (un periodo per la verità che dura da diverse settimane), lui splende (l’è un gran Milan verrebbe da dire, scusate non abbiamo resistito) e in futuro (magari già a Tokyo su pista) splenderà. E poi Haller, fra i meno timorosi davanti, che nonostante la fuga da lontano sarà protagonista con un decimo posto finale, eccetera.
E poi ci sarebbe ancora da dire molto, ma la facciamo breve: Simmons che attacca da solo a ottantaquattro chilometri dall’arrivo perché anche lui ha coraggio da vendere e fa sorridere pensare che quando doveva ancora compiere cinque anni, Greipel, oggi in fuga, correva la sua prima E3. Ci sarebbe da dire dell’attacco concertato dai Quick Step sul Taaienberg, detto Boonenberg un tempo, come ci fosse ancora il campione belga. E poi l’attacco di Asgreen a sessantasei dall’arrivo, van der Poel e van Aert che vanno d’amore e d’accordo, ma non serve a nulla, Van Avermaet che fa ostruzionismo e non si capisce ancora dopo tanti anni come voglia correre, e poi gli italiani che scompaiono, Van Baarle che appare, la Quick Step che spaia e vince. Domande tante e le risposte giuste le trova Asgreen, mentre il suo compagno di squadra Sénéchal è secondo a completare la giornata perfetta, van der Poel terzo e van Aert, cotto a puntino nel finale, undicesimo.
Foto: Nico Vereecken/PN/BettiniPhoto©2021