Sogni e bevute in un'imperfetta primavera italiana
Si va all'attacco. Alla follia. Allo sbaraglio. Una tappa che pareva giocata in seconda serata. Buia, coi decadenti tratti di un'imperfetta primavera italiana. Acqua tutto il giorno, la maglia rosa che tira il gruppo, il segnale televisivo che scompare per un po' e rischia di rovinarci una tappa che per ore è un lento attendere il finale, e poi si risolve come fosse lo spettacolare arrivo di una classica, tra strappi inconcepibili, freddo cane e pioggia.
Si risolve con la longilinea fisionomia di Joe Dombrowski, uno ritenuto forte, ma troppo estroso per il ciclismo, amante delle macchine e delle bevute nei boschi con gli amici, che ha prodotto una birra dubbel invecchiata nelle botti di rum e che porta, più o meno, il suo nome: Dombrewski.
Si risolve con la faccia lentigginosa di Alessandro De Marchi che stasera farà volentieri a cambio della sua maglia color vino, con quella più appariscente Rosa. Anche lui produttore, però di vini che portano il marchio “Rosso di Buja”, il suo soprannome.
Si risolve con un Ciccone che va (forte) verso Sestola, dove si fece conoscere; con Landa che attacca e poi si attenua, con Bernal che fa le prove per vedere come stavano gambe e schiena, con un Carthy magro da far paura ma che non soffre il freddo, con le forme perfette in bici di Vlasov, che punti deboli sembra non ne abbia.
Si risolve con la cifra di Yates, oggi accorto, forse troppo: tutti lo pensavano lì davanti e invece cede il passo, seppure in modo quasi impercettibile: d'altra parte 11'', cosa sono? Da dopodomani lo aspettiamo nella versione gemello forte.
C'è la cifra di Evenepoel che è già davanti, mentre il suo compagno di squadra – ancora per poco – Almeida soccombe ai riti che lo vogliono separato in casa. C'è la cifra indecifrabile di Bettiol: mai te lo aspetteresti lì, dopo aver sofferto per tutta la primavera e oggi chiude con i migliori di classifica; o quella di Moscon, forte da non crederci, quasi da lustrarsi gli occhi.
E c'è la cifra di un Giro che regala sogni arditi: ieri a Taco, oggi a Taaramäe, che prova a scacciare gli incubi della Vuelta 2009 quando si piantò in salita dopo essere stato tutto il giorno in fuga (come oggi). Verso Sestola sbaglia i tempi, quella volta sbagliò a montare i rapporti fermandosi in lacrime a bordo strada.
C'è la cifra di Fiorelli che sfiora un sogno a 27” dal vincitore, lui che battagliava il secondo giorno tra i folli delle volate, e oggi arriva dove nessuno se lo sarebbe mai aspettato. C'è quella di Nibali, eterno lì davanti, quelle deludenti di Buchmann e Sivakov, e un po' sottotono di Masnada.
E poi di nuovo ecco la cifra del vincitore, Dombrowski, uno di quei tanti passati professionisti con la fastidiosa nomea del ”predestinato”, tanto che fu il Team Sky a prenderlo. Vinse il Giro dei giovani, conquistò Gavia e Terminillo, e alla prima serata con la squadra inglese non sfuggì al rito di iniziazione: ubriaco, fu costretto a inscenare uno spogliarello. Oggi per lui prima vittoria in carriera lontano dalla sua America.
Alla salute, Giro. Da domani altre storie.
Foto: BettiniPhoto
Tutta la determinazione di Giovanni Aleotti
Se di Ponomar (il più giovane al via del Giro con i suoi 18 anni) ne abbiamo parlato, e Remco Evenepoel lo abbiamo intervistato per #Alvento15, scorrendo i nomi dei (giovani) partecipanti al Giro non si può non far caso a quello di Giovanni Aleotti.
Passato professionista pochi mesi fa in maglia BORA-hansgrohe, il classe '99 di Finale Emilia non spreca tempo e, un po' a sorpresa almeno per chi scrive, pronti-via fa il suo esordio al Giro. Con i suoi 22 anni da compiere nell'ultimo giorno di riposo della corsa rosa 2021, Aleotti è il più giovane italiano in gara.
«A me invece non stupisce vederlo subito al Giro» ci risponde così Renzo Boscolo, uno dei suoi tecnici quando Aleotti correva con la maglia del Cycling Team Friuli, ormai negli ultimi anni fra le più importanti squadre a livello giovanile, e che può contare in gara in questi giorni su altri tre ragazzi usciti da lì: De Marchi, Fabbro e Venchiarutti, in rigoroso ordine anagrafico. «Con noi ha fatto tanta esperienza internazionale in questi anni, e la BORA-hansgrohe ha visto in lui un ragazzo che, seppure passato professionista da poco, si dimostra già affidabile, solido e che si ritaglia il giusto spazio grazie alla sua concretezza».
Parlando con Boscolo di Aleotti ne viene fuori il profilo di un ragazzo tagliato per sfondare nel ciclismo: «Metodico e determinato: lui è unico in questo senso» continua Boscolo. «E la sua capacità di fare gruppo, di mettersi a disposizione ne fa un leader nato». E basta pensare alla tappa di ieri per capirlo: ancora lontani dal traguardo, Aleotti si è speso totalmente per la causa di Peter Sagan, ha tirato il collo al gruppo in salita, lo ha scremato, e con la sua andatura sono saltati diverse ruote veloci. E già nei prossimi giorni la scena si ripeterà quando Aleotti sarà chiamato a fare il ritmo per Buchmann, e chissà, forse anche per Fabbro.
Tra le mani - o davanti agli occhi, dipende dal punto di vista - ci si ritrova così un corridore magari ancora poco conosciuto ma che potrebbe togliersi diverse soddisfazioni in futuro.
Corse a tappe o corse di un giorno? Ancora non lo sappiamo: il suo motore è in evoluzione e lui in passato tra gli Under 23 (secondo al Tour de l'Avenir e quarto al Giro Under 23, ma anche protagonista in diverse corse di un giorno del calendario internazionale) si è dimostrato corridore a tutto tondo: resistente, forte sulle salite brevi e su quelle corte, veloce anche in uno sprint ristretto al termine di gare impegnative. «Per come si gestisce in corsa e allenamento, per la curiosità che ha, la voglia di migliorarsi, di conoscere tutto quello che lo circonda e la testa che si ritrova, lui è il prototipo del corridore moderno» afferma sempre il suo ex diesse.
Studia Scienze Motorie all'Università, e ancora oggi il suo meglio non lo abbiamo visto. Il Giro 2021 è l'occasione giusta da cogliere per mettere il muso fuori dal gruppo; magari provare a vincere una tappa in prima persona è progetto ambizioso, ma d'altra parte se Aleotti è arrivato velocemente sin qui, un motivo ci sarà.
Intanto con la Piacenza-Sestola al via tra poco, si passerà dalle sue zone di origine, e che lui ovviamente conosce molto bene; il ciclismo regala storie che non smettono mai di scriversi da sole, e oggi potrebbe essere uno di quei giorni per un nuovo capitolo da ricordare.
Foto: Luigi Sestili
Il profumo della pioggia nelle Langhe
A Samuele Zoccarato guardarsi intorno interessa quanto basta. Se lo fa è per scegliere la fuga giusta, per attaccare, e per lui la fuga non è solo portare in giro lo sponsor, o farsi bello davanti alle telecamere. No, per lui è istinto, fame, distinzione.
Se Zoccarato si guarda intorno non lo fa per vedere case e monumenti, tifosi bizzarri che giocano a chi fa il più bizzarro; interminabili filari, colline impregnate di alberi, o il vento che si diletta con il verde dei campi dando il via a spettacolari giochi di onde. Zoccarato si guarda intorno per cercare la fuga giusta.
Tempo fa raccontò di sentirsi un guerrafondaio in bicicletta, uno di quelli che se va a picco si rialza: “fare watt” è una frase che usa spesso e quei watt non li usa mai a sproposito.
Al Giro ci sono due dei suoi punti di riferimento: De Gendt e De Marchi. Come loro sceglie la fuga per vivere meglio, che poi sia quella giusta lo imparerà strada facendo, d'altra parte lui è qui per la prima volta, perché solo da pochi mesi pedala nel ciclismo dei grandi.
Stamattina alla partenza era convinto: un po' di tensione prima del via.
Si è scaldato in maniera intensa, la sua azione era tattica concordata sin dalla sera prima.
Stamattina alla partenza piove: scrosci violenti che non lasciano spazio a nessun malinteso ma che via via daranno tregua ai corridori. Zoccarato indossa una giacchetta ciclamino, si lancia in fuga e la alimenta come se le sue gambe fossero la materia prima di cui si compone l'avanguardia.
E si porta dietro un gruppo di guerrafondai come lui. C'è lo svizzero di Colombia Pellaud, che alla fuga dedica la sua vita. C'è il viaggiatore naïf van der Hoorn, che non indossa mai gli occhiali nemmeno sotto la pioggia violenta o con il sole che brucia gli occhi.
C'è il più giovane di tutti, Ponomar, che galleggia, sbaglia curve, poi sarà il primo a staccarsi: fatica che tornerà utile in futuro.
C'è Rivi con il compagno di squadra Albanese, anche loro si dedicano alla fuga, ma con uno scopo ben preciso: la maglia azzurra che Albanese indossa da ieri e che indosserà anche stasera. C'è Van den Berg, chiamato al Giro all'ultimo per sostituire Pinot, e infine Gougeard.
La fuga va, ma sulla carta non fa paura, appare segnata: il gruppo li tiene a tiro con Sagan e i suoi seguaci (ottimo Aleotti) che sgranano il gruppo e rosicchiano secondi su secondi ai battistrada come una goccia provoca uno stillicidio.
Velocisti saltano – Nizzolo, Ewan, Merlier – altri si aggrappano a ogni speranza mentre il cielo resta triste ma non piange e il gruppo si infila nella coreografia della Langhe. Li riprendono? Sì, li riprendono.
Restano in cinque, molla Albanese, poi lascia van der Berg. Restano in tre. Poi salta Zoccarato, mentre da dietro avanzano con uno schioppo Gallopin e Ciccone.
Restano in due: van der Hoorn e Pellaud. Resta da solo van der Hoorn. Non lo riprendono? No dai, lo riprendono sul traguardo.
Lo spingiamo virtualmente: 45'', 30'', 20'' ecco l'ultimo chilometro. Taco è lì, il gruppo lo vede. 15'', 10'' quando mancano duecento metri ormai è fatta. Taco vince, come quando qualche stagione fa batteva van Aert.
A Zoccarato, invece, stasera faranno male le gambe («ho avuto i crampi sull'ultima salita» dirà), resterà sulla sua pelle impresso l'odore delle Langhe. L'umidità, una leggera nebbiolina, e poi si guarderà di nuovo intorno e penserà a domani, a un altro giorno in cui andare in fuga, magari sarà di nuovo quella giusta, magari sarà il suo giorno, come oggi è stato quello di van der Hoorn.
Foto: Luigi Sestili
Il mondo capovolto di Taco van der Hoorn
Chissà se qualcuno se lo ricorda quel 27 agosto del 2018. Schaal Sels, divertente semiclassica estiva belga nei dintorni di Anversa. Vinse un ragazzo di nome Taco van der Hoorn, alla sua prima vittoria, nella sua prima vera e propria stagione tra i professionisti.
Arrivò a braccia alzate con la faccia sporca di fango, dopo aver superato pavé e sterrati, e dopo aver beffato sul traguardo un certo Wout van Aert. Al terzo posto si classificò Tim Merlier in rimonta.
Il mondo si è poi capovolto: Taco ha faticato, è passato nel World Tour senza mai un vero acuto, mentre van Aert diventava van Aert e Merlier quel velocista capace di vincere ieri al Giro.
Il mondo di Taco van der Hoorn è sempre stato capovolto e un po' bizzarro: quest'anno lo vediamo correre senza occhiali, sempre; un paio di anni fa ha girato per un'estate intera con un furgoncino Volkswagen del 1982, battendo le strade delle classiche del Belgio e di quelle italiane. «L'ho fatto per imparare, prendere appunti, più avanti sarò troppo impegnato tra corse e allenamenti», raccontava.
Lo abbiamo visto provarci, quest'anno, con una nuova luce negli occhi. Spesso in fuga, lo abbiamo visto provarci anche alla Sanremo.
Lo abbiamo visto tentare oggi, gestirsi bene mentre i suoi compagni d'avventura si arrabattavano tra scatti e controscatti e traguardi parziali.
Lui ha tenuto duro, se n'è infischiato di maglie azzurre o traguardi estemporanei e li ha staccati - per ultimo Pellaud - ma sembrava segnata la sua fine come quella degli altri sette, col gruppo da dietro che rinveniva e tutti noi a spingerlo idealmente, urlando "Taco", a soffiare sullo schermo, a imparare bene quel suo nome, a ricordarci dove già lo avevamo sentito nominare.
Oggi 10 maggio 2021, quasi quattro anni dopo quel successo vicino Anversa davanti a van Aert e Merlier, Taco ha capovolto il mondo, regalando così la pietra più preziosa alla sua carriera e a quella della sua squadra, che fino a pochi minuti fa non aveva ancora conquistato un successo in stagione. Ogni tanto le fughe possono arrivare e se vince uno come Taco, il ciclismo ci piace ancora di più
Foto Dario Belingheri/BettiniPhoto
Arance ad orologeria
Certo, doveva essere volata: volata è stata. Certo, doveva essere fuga iniziale da lasciare a tiro: non ci si è spostati di un millimetro da questa legge scritta. Una tappa dallo svolgimento arcinoto e lineare come la forma di uno sbadiglio. Fino all'epilogo: veloce, incerto, convulso.
Si parte col cielo grigio: l'oscurità impregna visi e contorni, e le facce dei corridori si distendono, paradossalmente, solo dopo il via. La partenza ha un nome e un numero: Wouter Weylandt – 108. Dieci anni esatti da quel tragico 9 maggio 2011, giusto ricordarlo anche con poche righe. Oggi, idealmente, la mano a formare una “W”, come fece il suo amico fraterno Farrar nella sua unica vittoria al Tour. Era il 2011 e arrivò a due mesi da quella tragedia. Oggi, mentre Wouter non c'è più, Tyler si dedica agli altri come pompiere.
Si parte con uno in meno: Krists Neilands. Ricordate la vittoria di Nibali alla Sanremo? Nibali fu attirato dall'attacco del corridore lettone, che resta impresso nell'immaginario per quel giorno, ma sarebbe ingiusto non rammentarlo anche per altro. Ha vinto poco, ma l'ultima volta, nel 2019 al Gp de Wallonie, fu un colpo superbo; piace Neilands, per la provenienza atipica, la Lettonia, la stessa di Skuijiņš che non perde mai occasione per ricordare come la cioccolata e la birra fatta dalle sue parti sia la più buona del mondo. Piace, Neilands, perché completo. Qui al Giro poteva togliersi il gusto di qualche fuga, magari vincente, e invece entra nei record di questa edizione per essere il primo corridore a lasciare il Giro. Il come poi, bizzarro, quasi irritante: cade rientrando in albergo dopo la cronometro. Fine della storia? No, fine della corsa per lui: portato in ospedale con la clavicola rotta.
Si parte da Stupinigi, nome buffo, e si attraversa uno scenario di vita rurale che poi si susseguirà per tutta la tappa, tra rotonde con gente che banchetta, verde intenso un po' ovunque che si alterna alle risaie; uccelli che volano rasenti al suolo, preti vestiti di rosa, cani che inseguono il gruppo, mucche dipinte, asini mascherati: sembra un felliniano tuffo nel passato, come una pellicola grottesca che ostenta sprazzi di colore alternandolo a immagini in bianco e nero. Da una parte il borghese caos del gruppo, dall'altra la quieta anima contadina tra cortili e aie, trattori e galline.
Si parte, e dopo il ricordo, lo sguardo volge al futuro. La fuga va e nessuno accenna nemmeno ad annusargli la ruota. Albanese, Marengo e Tagliani, protagonisti. Tre corridori, tre maglie, tre storie. Quella di Albanese parla di un ragazzo talentuoso che sembrava potesse diventare qualcosa in più. Vinse tra i professionisti che era ancora dilettante e poi tra i professionisti non ha più vinto. Dice di aver perso quattro anni, e che ora è arrivato il momento di mostrare chi è. Un problema meccanico lo costringe ad abbandonare la fuga prima degli altri.
Tagliani: ieri dilettante, oggi al Giro. Ieri primo a partire e terz'ultimo al traguardo, oggi primo assoluto a muoversi, ultimo a mollare. Quella di Marengo è un'altra storia di corridore che da giovane faceva incetta di traguardi, veloce quanto gli bastava. Oggi si cava il suo spazio in fuga e se non altro le telecamere indugiano sul suo elegante stile di pedalata. Lo scorso anno, in tempo di lockdown, Marengo si è messo ad aiutare gli altri consegnando cibo in bicicletta.
Ma la corsa cresce di interesse e velocità più ci si avvicina al traguardo di Novara: mancano 26 chilometri quando i due superstiti vengono ripresi. Poi tutto esplode come arance ad orologeria: è il caos della volata. Preparazione, treni, pulsazioni elevate. Remco e Ganna sprintano per il traguardo volante: bello e inaspettato. Il finale mescola le squadre come al campetto, soffioni grossi che sembrano borracce volano dappertutto.
Capitani e velocisti, gregari e pesci pilota: si sbanda perché tutti hanno ancora gambe piene e motivazioni al limite. La volata è caos: Molano la combina grossa, stringe il suo capitano alle transenne. Nizzolo prende la ruota giusta, quella di Merlier, ma il belga quando parte lungo è imbattibile. In primavera lo è stato in Belgio, oggi al Giro, e due anni fa era praticamente senza contratto. Al traguardo mette la mano a “W” e in sala stampa i giornalisti belgi urlano come pazzi. Dietro di lui Nizzolo, Viviani, Sagan, Groenewegen. Bravi Moschetti e Fiorelli, sesto e settimo. Doveva essere volata: volata è stata.
Foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021
L'alba, l'iride e il crepuscolo
Torino si leva avvolta da una crepuscolare afa mattutina. I corridori si svegliano, brillano e fibrillano come al loro primo giorno di scuola. Qualcuno al Giro fa il suo esordio, altri hanno la pelle segnata da cicatrici e il motore temprato da pedalate su pedalate che messe in fila li potrebbe forse condurre fino alla luna.
Il Giro non si sposta dalla sfida tra il nuovo e il vecchio tanto in voga di questi tempi. I più giovani scalpitano e se non sarà per oggi ben venga la prossima volta. I meno giovani gestiscono, ma hanno imparato a memoria le regole del gioco. Lo sport è esercizio crudele e prima o poi arriva il crepuscolo.
Scriveva Katherine Dunn: “uno sportivo passa una vita intera a sviluppare doti che si trasformano nella sua identità, ma quando arriva il tempo di smettere quella persona è ancora giovane, e deve diventare qualcun altro”. Non ditelo a chi vede il proprio tempo agonistico scivolare via e magari annaspa nelle zone d'ombra, poiché se è qui lo fa per lasciare il segno. Come Nibali che si difende bene oggi, o Pozzovivo, grande come un pollice, che a conti fatti segna uno dei migliori tempi tra chi vuole far classifica.
La crono è esercizio così crudele da poter strappare via il veleno da un cobra: conta andare più forte del tuo avversario contro cui però non combatti fianco a fianco, e ti devi affidare al tempo, alle lancette: lo chiamano il tic-tac. Ti fai guidare dalle sensazioni, e resisti alle urla dall'ammiraglia e se potessi ti gireresti per mandare tutti al diavolo.
La crono è esercizio speciale, è strumento per specialisti, come specialista è Cavagna. Arriva dall'Alvernia, Francia, Massiccio Centrale. Lui, massiccio, ma meno di tanti altri. Dice di amare la cucina e infatti lo trovi spesso col grembiule a cucinare torte e lasagne, dice di amare il formaggio così diffuso dalle sue parti, ma di doverne fare troppo spesso a meno.
Un velo di nuvole, come la mano affievolita di un gigante, copre il cielo, poi stringe il pugno e all'improvviso torna il sole, mentre si susseguono arrivi e partenze con cadenza musicale. La gente (tanta) in strada è mascherata dietro le transenne, ma non nasconde l'emozione nel veder passare cenobiti con casco e occhiali.
I body dei corridori fanno rabbia per quanto sono perfetti, come i loro quadricipiti scolpiti e le bici che sembrano arrivare da un mondo distopico. Dekker, giovane figlio d'arte, segna il miglior tempo, poi tocca ad altri: Campenaerts, Kluge, Castroviejo, Brändle, Foss, Affini, in una esorbitante litania di nomi e cognomi, di vecchi e giovani, di significati e assonanze.
Quando parte Cavagna, parte uno dei favoriti, ma negli ultimi metri barcolla come ubriaco e straziato dall'agonia: resta dietro Foss. Quando arriva Affini c'è da sgranare gli occhi: per carità, forte è forte, ma oggi lui e la sua Cervélo erano razzo e pilota.
Per Ganna si alza un urlo: in partenza, sul percorso, all'arrivo, quando fa segnare lui in maniera definitiva la migliore prestazione.
Spinge: pare un ossesso dopo ogni curva. Prende rischi che non prende nessun altro, pennella come in uno slalom gigante tra le porte della Gran Risa. Perfetto in quella posizione ineccepibile, dalla punta delle dita fino all'ultima delle pedalate. Cresce di colpi, meraviglioso specialista contro il tempo, quando conta. Come un fuoriclasse, in quella livrea iridata che oggi torna a far scintille dopo un periodo con le polveri un po' spente.
E intanto, mentre l'ultimo arrivato taglia il traguardo, il sole cala, la prima nottola sbatte le ali e Filippo Ganna, oggi ancora più gigante di un gigantista, sale sul palco per festeggiare la sua maglia rosa. La luce assume timidamente i primi contorni del crepuscolo, tempo per parlare di classifica, vincitori e vinti ci sarà. La corsa si erge e poi cala, questa di oggi è solo l'alba, è solo l'inizio del Giro d'Italia.
Il monumentale del Giro 2021
L'attesa è finita: è tempo di Giro d'Italia. Dopo le classiche, a scandire irrimediabilmente il tempo che passa, arriva il momento bramato da noi italiani ciclofili, che quando si parla di Giro alimentiamo il nostro essere strapaesani soffiando sul fuoco della partigianeria.
Esiste ancora, per fortuna, quella razza seppur in via d'estinzione che si prende giorni liberi per seguirlo - limitazioni permettendo - sulle strade; più numerosi, fatto naturale, quelli che lo aspettano sotto casa, “affacciati dalla finestra” come cantavano i Pitura Freska (sic!) in una vecchia sigla del Giro: un ricordo che si perde addietro, a metà degli anni '90, ai giri di Berzin e Pantani, Gotti, Rominger, Tonkov e Zaina.
E allora che importa se invece il ricordo più vicino è legato a pochi mesi fa, a un Giro posticipato in autunno causa pandemia e dai contenuti tecnici smagriti dall'anomalia della stagione 2020, ma arricchiti da quelli legati all'incertezza che lo ha reso vibrante fino alla fine. Con la maglia rosa decisa nella sfida Tao-Jai che tanto sa di lotta marziale, ma che lungo i 15,7 chilometri della crono finale verso il Duomo di Milano appariva già segnata sin dalla notte prima, come un bisticcio tra bimbi, per la superiorità nell'esercizio contro il tempo dell'hipster londinese sull'australiano con un passato ciclistico abruzzese.
E allora che importa se anche quest'anno, per l'ennesima volta, le facce migliori dei Grandi Giri hanno scelto il più ricco, sia a livello di montepremi che di fama, Tour de France - parliamo naturalmente di Pogačar (Pound for Pound il ciclista più forte del mondo, oggi) e Roglič, ma, come quasi sempre accade, mancano pure i mammasantissima delle grandi classiche primaverili.
Checché se ne dica, però, la sfida alla maglia rosa finale del Giro d'Italia 2021 mette in campo una batteria di galli incazzosi da far invidia a un racconto di Gabriel García Márquez. E quindi importa solo che è maggio, che è tempo di Giro d'Italia e francamente frega il giusto di tutto il resto.
Ma bando a inutili orpelli e sofismi, e via con gli aspetti più tecnici di questa corsa che ci terrà compagnia da sabato 8 maggio (partenza da Torino con una cronometro di 8,6 km) fino al 30 dello stesso mese (finale a Milano, sempre a cronometro: stavolta lunga 30,3 km).
LA ROSA DEI FAVORITI
Prendendo in prestito anche i dubbi evidenziati dalle parole di Bernard Hinault è impossibile trovare un favorito assoluto per questo Giro d'Italia, ma ci proviamo lo stesso. Si parte dall'incertezza, parola che sentirete spesso ripetere in questo articolo e probabilmente anche nelle prossime settimane; incertezza non solo legata all'epoca che stiamo vivendo, ma anche ai nomi che citeremo. Su di loro pende come una spada affilata e assetata di duelli un grosso punto di domanda, per un motivo o per l'altro. Sì anche su quello che, per opinione comune, parte come il favorito numero uno della corsa: Simon Yates.
Ci si chiede: non è che si è mostrato troppo in forma al Tour of the Alps? Il suo direttore sportivo lo esclude categoricamente, è preparato a puntino per essere in forma al Giro, dice. E poi Simon è questo, sempre stato, se non fossero identici in quasi tutto ti chiederesti come possa davvero essere gemello di Adam, così diversi nel muoversi in gruppo tanto che da quest'anno le loro strade si sono pure divise: Adam è passato alla INEOS e sarebbe stato un espediente affascinante averli avuti entrambi al via del Giro, ma va così.
Torniamo al punto. Simon è corridore caldo, nonostante la provenienza britannica, attaccante per indole più che per necessità, piccolo, a volte imperturbabile in salita, i suoi scatti febbrili possono far male ma non solo: ha la possibilità di prendere la maglia rosa abbastanza presto (quarta tappa a Sestola, oppure un paio di giorni dopo ad Ascoli Piceno) e magari di non lasciarla più – d'altra parte superato lo scoglio della prima cronometro, avrebbe solo lo spauracchio dell'ultimo giorno. Un Babau di 30 chilometri contro il tempo che, come lo scorso anno, potrebbe ribaltare le sorti della corsa. Anzi potrebbe pure essere ancora più decisivo, visto il chilometraggio, e allora Simon avrà bisogno di arrivare a Milano con più margine possibile.
Dicevamo dello stato di forma di Yates: al Tour of the Alps è apparso brillantissimo, una spanna o qualcosa in più sopra tutti i contendenti, ma la corsa fra Austria e Trentino si è disputata un mese prima quella che sarà l'ultima durissima settimana in programma al Giro, e lui la sfrontatezza, e la condizione arrivata troppo presto, in una grande corsa a tappe l'ha già pagata con gli interessi e sotto le sembianze di un evidente calo di forma nella fatidica terza settimana.
Era l'edizione del 2018 e vestiva la maglia rosa, si consumò con il suo modo di correre spavaldo e baldanzoso, che, per quanto possa avergli assicurato fama e affetto lo ha portato a perdere male. Certo, un grande Froome lo rivoltò come un calzino a tre giorni dalla fine, ma, anche senza l'intuizione britannica sul Colle delle Finestre, le cose per lui sarebbero andate verso un'inevitabile sconfitta: era cotto e aspettava solo il momento per alzare bandiera bianca.
Allo stesso tempo, però, lo Yates di quella volta aveva quasi 26 anni, oggi quasi 29: tre anni sono un'eternità, almeno nel ciclismo.
Tre anni in cui il motore è cresciuto, la tenuta e la brillantezza anche, per non parlare della conoscenza, di sé e dei propri limiti. La squadra è tutta per lui - Tanel Kangert e Mikel Nieve sprizzano esperienza da ogni poro, seppure atleticamente in calo, Nick Schultz è una carta interessante per le tappe mosse, e la batteria di australo-danesi da pianura è di livello. C'è da chiedersi se possano bastare, un Giro logora – fatto evidente – ma soprattutto il Team BikeExchange appare inferiore alle squadre dei suoi rivali più accreditati.
Ed eccoli i suoi avversari, tutti da decifrare, iniziando da Egan Bernal.
Senza i problemi alla schiena che si porta dietro da tempo e che lo hanno frenato anche in questo inizio di stagione si parlerebbe del colombiano come favorito numero uno della corsa, altro che Simon Yates. Invece i dubbi rimangono.
Ci ha illuso a inizio stagione, Bernal, con prove incoraggianti soprattutto nelle corse di un giorno, mentre i problemi fisici che lo affliggono lo hanno portato a fare un passo indietro alla Tirreno-Adriatico – chiusa, nonostante le difficoltà, al quarto posto, ma la classe è classe da quella parti.
Da lì non s'è più visto: se non nell'alimentare lo spirito vouyeristico dell'epoca tramite i suoi allenamenti pubblicati su Strava, setacciati da addetti e appassionati. Il tracciato del Giro gli si addice, non potrebbe essere altrimenti. Altimetricamente probante, strizza l'occhio alle aquile, e poi la crono finale non gli fa paura. I dubbi però espressi sulla sua condizione fisica restano e non sono pochi.
Le alternative non mancano alla multinazionale britannica: ci sarebbe il franco-russo Pavel Sivakov, cadesse di meno. Strano questo suo storico fatto di incidenti, l'ultimo in ordine di tempo al Tour of the Alps, considerando come sia praticamente “nato” in bicicletta, lui che come miglior risultato in un Grande Giro conta il nono posto proprio nella corsa italiana nel 2019. Per uno col suo pedigree, risultato assolutamente migliorabile.
Restando nell'ex Team Sky: il colombiano Daniel Martínez è solido in salita, e se c'è da dare una mano al capitano allora rende ancora più forte il racconto attorno a un possibile strapotere INEOS, mentre appare leggero come alternativa di alta classifica, ma vedremo: è una squadra che ci ha abituati a stupire in tutti i sensi e che in tutti i sensi potrebbe essere l'ago della bilancia della contesa. E non dimentichiamo la presenza di Jhonatan Narvaez, inserito solo nelle ultime ore al posto dell'enigmatico Sosa, Gianni Moscon e Filippo Ganna, a caccia di tappe in ogni dove, partendo, nel caso del colosso piemontese, dalla maglia rosa il primo giorno.
Dal trenino anestetizzante degli anni d'oro (gialli) al Tour, alle tappe vinte a ripetizione al Giro nel 2020 (e anche alla Boucle) attaccando ogni giorno con corridori diversi, fino all'epilogo vincente firmato Geoghegan Hart: un modo differente di lasciare il segno, eventualmente, lo troveranno.
In ordine di fama e alla ricerca della gloria, al terzo posto mettiamo Mikel Landa, al di là delle simpatie che si possono provare per il basco di Murgia el chico de pueblo come lo chiamano in Spagna. Landa, pur senza vincere quest'anno, è piaciuto in salita, suo terreno ideale dove, almeno sulla carta, potrebbe essere anche il numero uno al Giro.
Terzo a Larciano e alla Tirreno, ottavo ai Paesi Baschi in un percorso di avvicinamento al Giro tranquillo e tranquillizzante. È uno degli eterni piazzati - e incompiuti - del ciclismo degli anni 2010 (e ormai 2020), con un solo podio (Giro 2015) e ben tre quarti posti (due al Tour e uno ancora al Giro). Bando al Landismo 'ché c'ha stufato, e chissà che prima o poi la ruota possa girare e fermarsi sul suo numero o su quella faccia da orsacchiotto buono.
La squadra poi appare robusta, dietro i granatieri della INEOS e, al pari della Quick Step, la più solida: Pello Bilbao e Damiano Caruso sono qualcosa in più del solito usato sicuro, Gino Mäder, ennesimo talento svizzero emergente, è una pedina importante in salita, gli sloveni Jan Tratnik e Matej Mohorič possono svariare tra ambizioni personali e la possibilità di giocare un ruolo tatticamente importante.
LE PRINCIPALI ALTERNATIVE
Nominiamo quattro corridori come le più credibili alternative ai tre sopracitati e lo facciamo in rigoroso ordine alfabetico: João Almeida (Deceuninck-Quick Step), Romain Bardet (Team DSM), Hugh Carthy (EF Education-Nippo) e Alexander Vlasov (Astana-ProTech).
João Almeida è, per chi scrive, il nome più affascinante all'interno del lotto allargato dei pretendenti alla vittoria finale. Corridore tenace, non che non lo siano anche gli altri, affamato, dà sempre quella sensazione di grinta, tra smorfie e cadenza di pedalata, che sembra permettergli di superare qualche limite in salita, mentre il suo ex mentore, Axel Merckx, lo dipinge come corridore di grande intelligenza tattica, maniaco nella cura dei dettagli nonostante la giovane età, e con grande capacità di lettura delle situazioni: tutto può tornare utile in una corsa come il Giro, in uno sport dove saper interpretare in maniera diversa le varie situazioni resta un tassello fondamentale nella carriera ad alto livello.
Forte a cronometro, tra i papabili al podio è il più forte contro il tempo, e dunque guai a portarlo in zona primi tre posti l'ultimo giorno; veloce nei finali misti, anche lui tra Sestola, Ascoli e Montalcino mira a prendersi la Rosa e magari provare a emulare l'impresa di pochi mesi fa quando vestì la maglia di leader per ben 15 tappe e chiudendo poi al quarto posto finale: mica male per uno che faceva il suo esordio assoluto in una corsa a tappe di tre settimane. Da valutare la tenuta fisica nella terza settimana che lo scorso anno gli presentò il conto. Il portoghese, però, è solo la punta di una Deceuninck-Quick Step di qualità che mai come quest'anno pare abbia intenzione di vincere il Giro: tre come Fausto Masnada, Remco Evenepoel e James Knox non ce li hanno tutti.
Da quest'anno scordatevelo nel bianco latte macchiato di azzurro e marroncino della AG2R ma cercatelo nella maglia nera DSM: è Romain Bardet a cui si aggrappano le speranze francesi (ci sarebbe pure Rudy Molard, Groupama-FDJ, buono per un piazzamento tra la decima e la quindicesima posizione, con lui in squadra il duo svizzero Badilatti-Reichenbach, mentre l'altra World Tour francese, l'AG2R, affida le speranze di classifica all'ex commesso di Decathlon Geoffrey Bocuhard) e che inevitabilmente si dividerà i compiti in classifica con Hindley - parleremo di lui nel prossimo capitolo.
Insegue un successo di tappa – non ha mai vinto una corsa fuori dalla Francia, che è sempre una notizia – ma il miglior Bardet potrebbe anche lottare per il podio finale. La domanda da farsi però è: quanto è lontano dal miglior Bardet?
Infine, credibili alternative appaiono il pennellone di carta velina Hugh Carthy, tanto magro quanto forte in salita - e in un Giro così la salita farà la differenza - ma allo stesso tempo imprevedibile - terzo all'ultima Vuelta, forse dovrebbe imparare a correre un po' meglio tatticamente, e il russo Aleksandr Vlasov, capitano Astana, che lo scorso anno illuse nella prima parte di stagione, poi si ammalò, e il suo Giro durò il tempo di un caffè al banco.
Ora è atteso a un risultato di rilievo e che riscatti una prima parte di stagione silenziosa, non entusiasmante, ma che a conti fatti lo ha visto chiudere sul podio sia la Parigi-Nizza che il Tour of the Alps. In carriera vanta un successo al Giro Under 23 come credenziale maggiore, ma per vincere un Giro dei grandi serve qualcosa di più.
I nomi di spicco presentati dalla EF Education-Nippo di fianco a Carthy, sono sicuramente Ruben Guerreiro e Alberto Bettiol. Entrambi a caccia di tappe, ma che all'occorrenza saranno imprescindibili per il capitano: il portoghese in salita (lo scorso anno conquistò la tappa di Roccaraso e la maglia azzurra finale) e Bettiol in pianura, ma con la possibilità di dire la sua nella tappa degli sterrati con arrivo a Montalcino: quello sarà inevitabilmente il suo giorno.
Mentre l'Astana non sembra la miglior squadra possibile per supportare Vlasov in salita, almeno sulla carta, ma presenta un gruppo di corridori molto giovani e attesi da tempo: Harold Tejada (per la verità mai brillante in questo inizio 2021) e Vadim Pronskiy che in futuro potranno provare a curare la classifica generale, Matteo Sobrero e Samuele Battistella cavalli rampanti del bistrattato ciclismo italiano, ma ancora alla ricerca di un acuto dopo un anno e mezzo tra i professionisti. A completare la formazione al via tre inossidabili del ciclismo europeo: il solito e solido Luis León Sánchez, buono per qualsiasi tipo di fuga, e i solidi e soliti Gorka Izagirre (il fratello meno forte, se ve lo state chiedendo) e Fabio Felline, buoni per tutte le mansioni.
OUTSIDER
Dalla Nuova Zelanda, George Bennett: occhio a lui. Negli anni in cui nazioni relativamente nuove si inseriscono nella geografia ciclistica, è da tenere in considerazione. In salita va forte, la sua squadra ha un conto in sospeso con il Giro e lui arriva in Italia a fari spenti.
Italia con la quale oltretutto Bennett ha una certa affinità: qualche mese fa è salito sul podio al Lombardia e pochi giorni prima vinceva il Gran Piemonte. Se il meglio possibile la Jumbo-Visma lo ha riservato per il Tour non è detto che Bennett al Giro non possa dare qualche soddisfazione alla sua squadra. Peso leggero, anzi leggerissimo, lo storico nei Grandi Giri non fa di lui un uomo a 5 stelle, 8° al Giro nel 2018 come miglior risultato, ma a dare fastidio ai big, quello sì, ce lo aspettiamo. Tra i gialloneri d'Olanda da tenere d'occhio anche il norvegese Tobias Foss, ultimo vincitore del Tour de l'Avenir e 5° lo scorso anno nel prologo d'apertura in Sicilia.
C'è poi Pello Bilbao, da tanti indicato persino come l'alternativa più credibile a Simon Yates e Bernal, ma che sulla carta partirà per aiutare il suo connazionale e amico Landa. Dal 2019 il Bilbao che conoscevamo è un altro corridore. Spicca nelle doti di fondo e resistenza, intelligente tatticamente, non ha paura di muoversi all'attacco, discretamente veloce anche in uno sprint ristretto soprattutto al termine di corsa dura, bravo in salita e a crono, si è trasformato in corridore vincente e impossibile da sottovalutare: difficile trovare un corridore più completo al Giro. Forse, quello che gli manca, oltre a un podio in una corsa a tappe di tre settimane nel suo score personale, è quel colpo del KO che possa mettere a tappeto la concorrenza, ma si sa che un grande giro lo puoi vincere anche con la regolarità giorno dopo giorno, sfiancando gli avversari assestando colpetti alla figura. Il tridente Bahrain Victorious - Landa, Bilbao, Caruso – sembra davvero l'ideale per conquistare la Cintura.
Se Jai Hindley difficilmente potrà migliorare il risultato dello scorso anno – anche perché significherebbe vittoria finale, e oltretutto appare separato in casa con la DSM (si vocifera di un addio persino prima di fine stagione), ma non parte certo battuto per un piazzamento nei primi cinque, il capitano in casa BORA-hansgrohe, Emanuel Buchmann, lo annoveriamo in quell'insieme di corridori sotto la voce regolaristi senza grandi fiammate.
Si difende ovunque, non eccelle in nulla, ma per lui e per la squadra tedesca un piazzamento a ridosso del podio (ripetendo il sorprendente quarto posto del Tour 2019) sarebbe un risultato con i fiocchi.
Alla voce outsider mettiamo Bauke Mollema, che, viste le condizioni di Nibali e i punti di domanda su un Ciccone (ecco l'incertezza, ci risiamo!) da classifica, sarà il capitano della Trek-Segafredo, ma ci auguriamo che, piuttosto di vederlo lottare per un quinto-ottavo posto che poco darebbe alla sua carriera, possa provare ad aggiungere una tappa al Giro (dopo aver vinto alla Vuelta e al Tour), in un palmarès che conta poche vittorie, ma davvero buone. Scaltro, coraggioso, temibile non appena la strada sale, crediamo che Mollema abbia già cerchiato di rosso tappe di ogni genere sul Garibaldi della Corsa Rosa. Certo è che nessuno gli vieta, vista la malizia nei finali concitati, di provare a vincere qualche tappa, restando comunque aggrappato alla classifica.
Infine Remco Evenepoel: lo abbiamo tenuto per ultimo, perché è già un miracolo che sia qui dopo l'incidente al Lombardia. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché non corre dal pomeriggio del 15 agosto del 2020. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché è al suo esordio in un Grande Giro, ma fa comunque paura. Perché lui è uno di quei talenti à la Pogačar che potrebbe stupire in positivo lo stesso (magari già il primo giorno); potrebbe apparire quando meno ce lo aspettiamo e, se magari dovesse essere fuori dalla lotta per la generale, potrebbe essere anche un fattore determinante nella corsa alla vittoria finale. È capace di tutto, e soprattutto, se trovasse la forma giusta, anche di strapazzare la concorrenza lontano dal traguardo: mai porre limiti a corridori che studiano per diventare dei fenomeni.
ITALIANI
Excursus sulle speranze italiane al Giro, almeno per la classifica generale. Il più accreditato appare Fausto Masnada (Deceuninck-Quick Step), se non fosse che già alla vigilia sappiamo dovrà correre in appoggio totale al capitano Almeida. Masnada pochi giorni fa ha avuto le sue carte e se le è giocate benissimo in un Romandia impegnativo, di buon livello, e battuto dalla pioggia: terzo in classifica dietro Thomas e Porte, gente che ha collezionato successi e podi al Tour de France. Obiettivo concreto per uno dei più duri del gruppo: ripetere la top ten dello scorso anno (fu 9°) che potrebbe significare anche essere il migliore tra “i nostri” a fine Giro. Discorso simile per Damiano Caruso , corridore che non ha mai evidenziato grossi problemi di tenuta e di recupero, anzi, e che nonostante la top ten al Tour 2020, si spenderà, con pochi se e senza ma, in favore di Landa e Bilbao: a oggi il ciclismo italiano senza squadre World Tour vede i migliori interpreti per le corse a tappe lavorare per gli altri.
Davide Formolo (UAE-Team Emirates) si testerà ancora una volta per la classifica generale oppure sarà libero di giocarsi singole chance per provare a vincere qualche tappa? Bella domanda, manca poco per ottenere una risposta. Noi speriamo più nella seconda ipotesi, ma la rinuncia da parte dell'UAE-Team Emirates a McNulty (con l'inserimento di un altro americano, il sempre discontinuo Joe Dombrowski che proverà a fare classifica ma senza grosse velleità, più facile vederlo in fuga con regolarità nella terza settimana) ci fa pensare che il corridore della provincia di Verona possa provare a superare il suo miglior risultato in una corsa a tappe di tre settimane - 9° nel 2016 alla Vuelta. Da non sottovalutare, invece, non solo in termini statistici e di cabala come Formolo non abbia portato a termine gli ultimi tre Grandi Giri che ha disputato, oltre alla classica giornata no che spesso ha avuto in una corsa a tappe di tre settimane. Anche se per lui potrebbe valere il discorso affrontato con altri: con l'età il suo motore e il suo recupero potrebbero essere migliorati.
Poi ci sono Giulio Ciccone e Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo), sui quali la narrazione si fa affrettata e con l'aria pesante e un po' mistificatoria: finendo per creare aspettative a oggi esagerate. Il Ciccone visto di recente è difficile immaginarselo lottare per un piazzamento nelle parti nobili della classifica, quanto invece, come nel caso di Formolo, sarebbe l'ideale vederlo sganciarsi dagli uomini in gara per il Trofeo senza Fine per cercare gloria nelle tappe e magari a inseguire la maglia dei GPM.
Attaccante nato, in salita non molla mai soprattutto quando è in fuga, dotato di spunto veloce: le qualità e le attitudini sono quelle giuste.
Su Nibali grosso interrogativo e non ci dilunghiamo di più: dopo l'infortunio in allenamento di qualche giorno fa è già un miracolo che sia al Giro. Qualsiasi cosa verrà, la prenderemo.
Per chiudere la carrellata ecco tre diverse “generazioni” di corridori che planano sul Giro d'Italia con grandi ambizioni, ma con focus differenti.
C'è un vecchietto, Domenico Pozzovivo (Team Qhubeka-ASSOS), che arriva dalla Basilicata, che è capace ogni volta di risorgere dagli infortuni e di inventarsi qualcosa: non chiedetegli la luna, ma attenzione, ha preparato a puntino la corsa e lui un'altra top ten in un Giro ricco di salite la vorrebbe - e potrebbe - conquistare (sarebbe la settima in carriera).
In mezzo c'è invece un ragazzo che arriva dal Friuli, Matteo Fabbro (BORA-hansgrohe), che cresce di stagione in stagione e forse è arrivato al punto della maturità: nel 2021 buon protagonista alla Tirreno-Adriatico e al Tour of the Alps. Si dice che già lo scorso anno – ricordate quanto andò forte sull'Etna? - se non si fosse messo a disposizione della squadra, avrebbe potuto indirizzarsi verso una buona classifica. Quest'anno sarà impiegato per Buchmann in salita, con un occhio dovrà tenere da conto Peter Sagan, e magari insieme a un altro battitore come Felix Grossschartner, potrebbe puntare a una bella tappa. Scontato dire che l'ideale per lui sarebbe quella “di casa”, con arrivo sullo Zoncolan. Ecco, a differenza di Formolo e Ciccone, che vediamo da subito fuori dal gioco della maglia rosa, lui non ci dispiacerebbe se quest'anno si testasse in ottica classifica per vedere a che livello può arrivare anche in ottica terza settimana e se in chiave futura potrà ambire a un piazzamento nelle parti nobili della generale.
Sempre in casa BORA-hansgrohe spicca il nome di Giovanni Aleotti. Neo professionista, Aleotti è una delle speranze del ciclismo italiano per le corse a tappe. Non finisce di stupire, come stupì i suoi tecnici a livello giovanile – anche lui arriva da quella fucina di talenti che è diventato il Cycling Team Friuli che negli anni ha portato al professionismo tra gli altri: De Marchi, i fratelli Bais, Venchiarutti, lo stesso Fabbro, e di recente Jonathan Milan – quando arrivò secondo in una corsa importante come il Tour de l'Avenir del 2019.
Si difende in salita e si difende a cronometro, ce lo hanno sempre descritto come uno “con la testa da campione”. Certo da qui a immaginarcelo futuro vincitore di un Grande Giro ce ne passa, ma il suo impatto con il mondo dei professionisti è stato già notevole, tanto da convincere i suoi tecnici a portarlo al Giro. Nessuna pressione, nessuna aspettativa, sia chiaro, in una squadra che avrà già il suo da fare per dividersi tra Sagan e Buchmann, ma il nome del classe '98 di Finale Emilia è uno tra quelli che seguiremo più volentieri.
CACCIATORI DI TAPPE, FUGAIOLI, VELOCISTI E ALTRI NOMI DA SEGUIRE
Alcuni li abbiamo infilati qua e là nei vari paragrafi, ma ecco, altri nomi da seguire per il Giro. Intanto, a caccia della prima maglia rosa, fatta eccezione per qualche uomo di classifica ben caldo (Almeida ad esempio) ecco Rémi Cavagna e Ganna in ordine di come, chi scrive, li vede favoriti al momento. Occhio anche a Tratnik, Patrick Bevin, Victor Campenaerts, Evenepoel, e ancora, per l'Italia, Bettiol, Moscon ed Edoardo Affini.
Per le volate sono almeno in sei, se non sette o otto, salvo coloro capaci di inserirsi tra le righe delle convulse volate. Caleb Ewan (Lotto Soudal), che dopo il secondo posto alla Sanremo si è praticamente eclissato, è il capofila dei padroni della velocità, Elia Viviani (Cofidis) che dopo essersi sbloccato finalmente qualche settimana fa – non vinceva dal 2019 - brama un successo al Giro e sarà supportato da una squadra quasi interamente per lui con suo fratello Attilio, Consonni e Sabatini.
Peter Sagan (BORA-hansgrohe) che vuole la ciclamino (è il favorito), oltre alle volate lo vedremo anche nelle tappe miste, Tim Merlier che vuole confermarsi dopo la qualità mostrata in primavera e approfitta del palcoscenico del Giro e del ruolo di capitano nella Alpecin-Fenix.
Ci sarà il campione italiano ed europeo Giacomo Nizzolo (Team Qhubeka-ASSOS), anche lui in arrivo da una bella primavera nella quale è mancato solo il successo di peso, e infine Dylan Groenewegen: la squalifica dopo l'episodio che ha coinvolto lui e Jakobsen al Giro di Polonia, scade proprio alla vigilia del Giro. Anche per lui, come si dice in questi casi: è un successo anche solo essere al via. Con lui occhio al figlio d'arte David Dekker che potrebbe essere la vera punta in volata del Team Jumbo-Visma.
Una menzione per Matteo Moschetti (Trek-Segafredo). Talentuoso quanto sfortunato, lo ammettiamo: un po' per partigianeria, facciamo il tifo per lui, per quei suoi modi sempre gentili, quel sorriso elegante e perché dopo tutta una serie di sfortune e di cadute, meriterebbe davvero qualcosa di importante. Le qualità ci sono tutte.
Fuori da questi nomi Fernando Gaviria che da possibile dominatore si è trasformato in un oggetto del mistero. Vedremo: l'UAE gli mette di fianco Richeze e Molano per farlo sentire a suo agio, a lui il compito di ripagare la fiducia.
Tra quei corridori veloci, e che potranno approfittare anche delle fughe (non hanno problemi a gettarcisi dentro, persino nelle tappe di montagna) o degli arrivi misti, da seguire Andrea Vendrame (AG2R Citroën) e Diego Ulissi (UAE-Team Emirates). Il primo insegue ancora quel successo di peso che ne valorizzi la carriera, mentre il secondo, dopo essere arrivato a tanto così dalla fine precoce della sua attività agonistica, ha mostrato in poco tempo che cos'è il talento. Nonostante lo stop forzato di quest'inverno, appena si è attaccato il numero alla maglia si è già messo in evidenza. Vincere altre due tappe al Giro significherebbe oltretutto raggiungere il pregevole traguardo dei dieci successi nella corsa rosa: mica male.
Tra le Professional italiane interessanti i nomi di Enrico Battaglin , Filippo Zana e Giovanni Visconti per la Bardiani, quello di Natnael Tesfatsion (Androni, che schiera al via il corridore più giovane del Giro, Andrii Ponomar, 18 anni e poco più) e dell'esperto duo Manuel Belletti-Francesco Gavazzi, per la Eolo-Kometa.
La squadra di Basso e Contador insegue ancora il primo successo da quando ha effettuato il salto di categoria e presenta una squadra con altri nomi che proveranno a mettersi in evidenza, come Vincenzo Albanese veloce e coraggioso quanto basta per provare a sbloccarsi nelle tappe vallonate, anni fa sembrava sul punto di diventare corridore di prima fascia, Eddy Ravasi che proverà a tenere duro per la classifica (come Mark Christian) o eventualmente a gettarsi nelle fughe nelle tappe di alta montagna e infine il talentuoso quanto discontinuo Lorenzo Fortunato che di recente si è ben difeso in Spagna alla Vuelta Asturias e cerca, sulle strade italiane, il rilancio, dopo due annate da dimenticare in maglia Neri Sottoli e Vini Zabù.
E a proposito di fughe: c'è il fugaiolo per antonomasia, Thomas De Gendt. In squadra con lui (Lotto Soudal) l'interessante Kobe Goossens, corridore con caratteristiche simili e con un nome che è una delle crasi più geniali del mondo dello sport. Ci sono Samuele Rivi (Eolo-Kometa) e Simon Pellaud (Androni), poi ci sarà sicuramente chi, una volta uscito di classifica, potrà trasformare la strada in un rodeo nel quale sbizzarrirsi. Quei nomi chiaramente li scopriremo cammino facendo. Tornando al Belgio c'è curiosità su Gianni Vermeersch, Alpecin-Fenix, ciclocrossista in grande evidenza questa primavera nelle classiche del nord. Libero da compiti di gregariato - corre con van der Poel - qui al Giro è pronto per giocarsi le sue carte.
Occhio anche a Samuele Zoccarato, marcantonio della Bardiani tra i migliori della sua squadra in questo inizio di stagione che può provare a sognare di vincere una tappa se nella giornata giusta. E poi Alessandro De Marchi, già più volte ribattezzato il De Gendt friulano e con il quale potrà anche dare il via a una bella sfida a colpi di chilometri in fuga e con lui da seguire anche i suoi compagni di squadra, il lettone Krists Neilands, corridore poco pubblicizzato, ma capace di tirare fuori la prestazione importante un po' su tutti i terreni, Patrick Bevin, tra i più in forma dell'ultimo periodo, forte a cronometro e abbastanza veloce, e Alex Dowsett, corridore da seguire anche su Twitter per le sue uscite non convenzionali e capace di conquistare una tappa al Giro nel 2020.
Simone Petilli sarà invece l'uomo per la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux ed è chiamato a dare segnali in salita: possibilmente in fuga e con lui l'estone Rein Taaramäe, vincitore di una tappa al Giro nel 2016. Petilli ha già puntato l'arrivo del penultimo giorno di Giro: si passerà vicino casa sua. Nella squadra belga, unica World Tour ancora a secco di vittorie in questo scorcio di stagione, al via Andrea Pasqualon veloce per arrivi più complicati, Riccardo Minali, nome di seconda fascia per le volate di gruppo, Jan Hirt per un piazzamento a ridosso dei dieci in classifica generale e Quinten Hermans, corridore in crescita e che potrebbe lasciare il segno nelle tappe mosse dei primi dieci giorni di corsa.
E la meglio gioventù? Alcuni li abbiamo citati, se pensate che la sfida alla Maglia Bianca potrebbe vedere diversi corridori in lizza per il successo finale (Bernal, Almeida, Vlasov ad esempio) altri meritano una menzione come Alessandro Covi (UAE-Team Emirates) e Clément Champoussin (AG2R Citroën Team). Uno veloce, ma abile anche sui percorsi misti, l'altro forte in salita. Per entrambi sarà il primo Grande Giro, ma potranno agire abbastanza liberi da compiti di squadra. Discorso simile per Stefano Oldani, uno di quelli che hanno corso di più a inizio stagione. Il corridore della Lotto Soudal punta a una tappa, magari andando in fuga e sfruttando discrete doti veloci.
Meritano un discorso a parte, infine, Daniel Martin (Israel Start-Up), Marc Soler (MovistarTeam ), Harm Vanhoucke (Lotto Soudal) e Jefferson Cepeda (Androni). Sono quattro corridori che se trovano le tre settimane giuste, potrebbero persino ambire a un buon piazzamento in classifica, altrimenti è plausibile trovarli, giorno dopo giorno, soprattutto nella seconda parte di Giro, in fuga per inseguire un successo in alta montagna o magari lottare per la maglia dei GPM.
Dan Martin: lo scorso anno alla Vuelta ha sfiorato il podio, quarto e suo miglior risultato in carriera in un Grande Giro, ma conta pure tre top ten al Tour. Corridore imprevedibile ma che con la luna giusta può davvero puntare a qualcosa di importante. A differenza di altri però, il suo feeling con il Giro d'Italia non è mai nato: nel 2014 si ritirò subito alla prima tappa a causa di una caduta (uno dei suoi limiti più evidenti) mentre nel 2010 finì lontano in classifica senza mai lasciare il segno.
Marc Soler è il cavallo pazzo del ciclismo contemporaneo: capace di tutto e di più. Come lo ha definito di recente un blog spagnolo: “Marc Soler è un corridore con il pregio di non lasciare nessuno indifferente”. La sua storia è fatta di picchi come il successo al Tour de l'Avenir del 2015 o la vittoria alla Parigi-Nizza del 2018, ma anche di storie controverse per un carattere bizzoso e particolare. Pochi giorni fa però al Romandia ha dato segno del suo (enorme) talento vincendo l'arrivo di Estavayer ed esultando in maniera polemica (contro chi non si è capito). Al Giro sarà il capitano della Movistar, ma con che ambizioni? Dipenderà molto da come si sveglierà al mattino. Einer Rubio, Antonio Pedrero, Dario Cataldo e Davide Villella rappresentano la batteria da salita per la storica squadra spagnola un po' ridimensionata in quest'ultimo periodo, mentre Matteo Jorgenson è un giovane da seguire con molta attenzione. Corridore completo potrà tornare utile alla causa della squadra su ogni terreno, ma anche cercare gloria personale in fuga.
Infine due giovani: Harm Vanhoucke e Jefferson Cepeda. Il primo, forte scalatore belga, anche se non appare a livello di altri giovani connazionali rampanti (non solo Evenepoel, ma anche Vansevenant e Van Wilder, qui assenti) lo scorso anno ha vestito la maglia bianca di miglior giovane per qualche giorno (anche se il titolare era Almeida, in rosa): proverà a tenere duro fin che può per la classifica altrimenti via in fuga come da DNA della sua squadra.
Il secondo, scalatore ecuadoriano con margini tutti da scoprire, di resistenza e di recupero. Al Tour of the Alps ha sorpreso tutti arrivando quarto in classifica generale e restando quasi sempre in scia o assieme a corridori che partono verso questo Giro d'Italia per vincerlo. La squadra di Savio potrebbe aver trovato un altro ragazzo da lanciare nell'élite del ciclismo mondiale. E per chiudere, restando in casa Androni, una menzione per l'argentino Eduardo Sepúlveda che potrebbe lottare per un piazzamento nei primi venti in classifica generale: sarebbe un ottimo risultato per una squadra che solo un mese fa risultava esclusa dal Giro d'Italia.
IL PERCORSO
"L’Unità d’Italia, Dante Alighieri, il 90° compleanno della Maglia Rosa (indossata per la prima volta nel 1931 – prima tappa vinta da Learco Guerra e Giro vinto da Francesco Camusso)" citando la presentazione del sito ufficiale. 21 tappe in 23 giorni. Due giorni di riposo (quest'anno di martedì, saranno contenti i barbieri, finalmente), prima e ultima tappa a cronometro, una a Torino e l'altra a Milano e in mezzo un disegno vario, duro e spettacolare forse uno dei più interessanti degli ultimi anni.
È vero che quando mancano Mortirolo e Stelvio qualcuno storce il naso, è vero che lo Zoncolan ci sarà, ma dal versante meno duro (nel senso che l'altro versante è durissimo che di più non si potrebbe, ma occhio che questo potrebbe persino fare più selezione). Ma è vero anche che ci sarà da divertirsi e ce ne sarà per tutti i gusti.
Trabocchetti: tanti, e senza contare il possibile effetto del meteo. A partire dalla prima settimana o meglio nei primi dieci giorni: oltre alla crono iniziale, alla quarta e alla sesta tappa ci sarà già modo di vedere la classifica ribaltata con gli arrivi in salita di Sestola e di Ascoli Piceno. Poi l'ottavo giorno RCS creò la Foggia-Guardia Sanframondi e il giorno successivo l'arrivo di Campo Felice, forse prima del riposo la frazione più interessante in assoluto. Oltre a essere il punto più a sud di questo Giro 2021, presenta quattro GPM, l'arrivo in salita, un tratto sterrato, ma soprattutto nemmeno un metro di pianura. Ci sarà la possibilità di vedere scremata in maniera netta la lotta per la classifica generale. Con la L'Aquila-Foligno di lunedì 17 maggio si chiuderà la prima parte di Giro che vedrà a conti fatti una crono, quattro tappe che muoveranno la classifica e cinque probabili, possibili, arrivi per velocisti.
La seconda settimana di Giro si apre, mercoledì 19, con una delle tre tappe chiave di questo Giro: la Perugia-Montalcino di 162 km è frazione già destinata a entrare nella storia, sin dalla sua presentazione. Sconquassi anche per il fatto di arrivare dopo il riposo, e in caso di maltempo molti malediranno quel giorno. La tappa successiva non concede respiro: l'arrivo a Bagno di Romagna infatti è la classica frazione appenninica per imboscate e dove tutto potrebbe succedere. Tappa adattissima alle fughe, è vero, dipenderà dal disegno che avrà preso la classifica, ma attenzione: arriverà dopo i possibili sconvolgimenti della tappa di Montalcino e con una cinquantina di chilometri di salite e quasi 4.000 metri di dislivello non si scherza.
E dopo una frazione relativamente tranquilla (la numero 13) pensavate di annoiarvi ancora? Niente di tutto questo: nella tappa numero 14 si arriva sullo Zoncolan - anche se dall'altro versante, e non c'è bisogno di presentazioni. Il giorno dopo finale a Gorizia con un circuito insidioso, ma adatto alle fughe e ai colpi di mano; soprattutto i corridori da classifica si terranno ben tranquilli in attesa di quello che sarà il giorno cruciale del Giro 2021 con la Sacile-Cortina D'Ampezzo. 221 km, quattro salite tra l'impegnativo, il duro e il mitico. Si scaleranno Crosetta, poi Marmolada (per chi scrive la salita più bella d'Europa), Pordoi (Cima Coppi 2021), Giau e infine discesa fino a Cortina: ci sarà da divertirsi.
Riposo e poi ultime cinque tappe, quattro delle quali risulteranno decisive ai fini della classifica generale. La tappa di mercoledì 26 è il terzo punto chiave del Giro dopo Montalcino e Cortina, la salita finale che porta a Sega di Ala, 11,5 chilometri al 9,6 per cento di pendenza media, una delle più dure in assoluto di questa edizione. Dopo aver rifiatato il giorno dopo con un probabile arrivo a ranghi compatti, venerdì e sabato la due giorni finale alpina con altri due arrivi in salita impegnativi: Alpe di Mera e infine Alpe Motta, una frazione con 4.200 metri di dislivello, circa, con la lunga - da sembrare infinita - scalata verso il Passo San Bernardino. Ultimo giorno con 30,3 km a cronometro fino a Milano che dopo tutto il ben di dio proposto, potrebbe ulteriormente cambiare il volto alla classifica. La speranza è che un Giro così duro non costringa gli attori principali ad aspettare sempre il giorno successivo per paura di saltare in aria. Film già visto, ma quello che parte domani è un film nuovo.
DOVE SEGUIRE IL GIRO 2021
Quest'anno ci sarà modo di non perdere nemmeno un secondo di corsa - interventi da studio permettendo, sigle e pubblicità, e cambi di canali che ci coglieranno verso le 14, tra Raisport e Rai2. Per la prima volta nella storia infatti il Giro offrirà la diretta integrale di ogni tappa. Oltre alla Rai potrete seguire il Giro d'Italia 2021 tutti i giorni anche su Eurosport e per chi non fosse sempre incollato al televisore consigliamo l'ascolto su RadioRai: la squadra radiofonica con Martinello, Ghirotto e soci riesce a trasmettere emozioni ed è un valore aggiunto sorprendente alla narrazione del Giro d'Italia.
E ovviamente anche noi di Alvento non vi faremo mancare nulla, con i contributi dei nostri inviati e i racconti della corsa giorno dopo giorno sul nostro sito e sui nostri canali social.
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA ROSA
⭐⭐⭐⭐⭐ S.Yates
⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐Landa, Almeida
⭐⭐ Vlasov, Carthy, Bardet, Sivakov, Bilbao, Hindley
⭐ Evenepoel, G.Bennett, Masnada, Martínez, Buchmann, Mollema, Soler, D.Martin
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA CICLAMINO
⭐⭐⭐⭐⭐P. Sagan
⭐⭐⭐⭐ Ewan
⭐⭐⭐ Almeida, Ulissi
⭐⭐ Viviani, Nizzolo, Merlier, Bevin
⭐ S.Yates, Moscon, Vendrame, Gaviria, Bilbao
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA AZZURRA
⭐⭐⭐⭐⭐ De Gendt
⭐⭐⭐⭐ Guerreiro, M.Soler
⭐⭐⭐Ciccone, Cepeda, Caceido
⭐⭐S.Yates, Bernal, Landa, Champoussin
⭐ Formolo, Bouchard, Mollema, Fabbro, Knox, Grossschartner
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐ Vlasov
⭐⭐Hindley, Sivakov
⭐ Evenepoel
Foto copertina: Luigi Sestili
Freddo ad aprile
Riprendiamo il filo dall'inizio, da marzo. Strade Bianche: corsa piuttosto divertente. Si era già in mezzo a una primavera che poi in realtà ha faticato ad arrivare. Si era a bocca aperta quel giorno, maschere di sabbia come un carnevale nel deserto, come quelli che se la sono giocata fino alla fine: van der Poel, Alaphilippe, Bernal, van Aert, Pidcock, Pogačar. Il meglio - o quasi - del ciclismo formato (inizio) 2021.
Si è passati dalla Milano-Sanremo e alla sua imprevedibile linearità. Corsa poco tirata, dove a stare in gruppo stai come in taxi, giustificata nella sua epica e pathos dal crescendo rossiniano da tappa pianeggiante di un Grande Giro e dal paradigma de "la tradizione non si tradisce" e con quel passaggio finale adrenalinico Poggio-su-e-Poggio-giù che tende un po' a viziare e ribaltare il giudizio. Chi scrive auspicherebbe se non altro un tentativo di rendere la corsa più varia. Lo fanno diverse grandi corse, motivi economici o meno, perché la Sanremo no?
Poi c'è stato il Nord: quello fatto di pietre del Belgio. Purtroppo niente Francia, anche questa fredda primavera ci ha scippato la Roubaix. Abbiamo sognato alla Gand con tre italiani in lotta, ma abbiamo ugualmente gioito per la vittoria di van Aert.
Abbiamo assistito alle cavalcate di van Baarle (Dwars door Vlaanderen) e di Asgreen (Harelbeke). Ci siamo stupiti nel vedere van der Poel perdere il Fiandre proprio dal danese, e poi nel vedere Pidcock fare un boccone di van Aert al Brabante. Sembra una filastrocca.
E visto che gira e rigira i protagonisti poi sono sempre quelli: all'Amstel avremmo dato comodamente la vittoria a entrambi gli ultimi due citati, mentre alla Freccia Vallone Alaphilippe si riprendeva ciò che è suo in una primavera dove ha vinto sì, ma è apparso agonisticamente tiepido.
E ora? E ora siamo arrivati al termine di questo lungo, freddo, viaggio verso il Nord, verso fine aprile. Dalle pietre alle Ardenne, dal pavè alle côte. Con il cuore diviso a metà: si spezza all'idea che un'altra primavera (ciclistica, quella "reale" non parliamone nemmeno) è passata, si esalta all'idea che fra due settimane ci sarà il Giro.
Intanto Liegi-Bastogne-Liegi: la decana. Ci si immagina una sfida franco-slovena: Alaphilippe, Gaudu, soprattutto, Cosnefroy (non al meglio per la verità), Barguil, G.Martin, da una parte (quanta abbondanza la Francia sulle Ardenne, in pochi anni). E dall'altra Roglič - campione uscente e Pogačar (mettiamoci dentro anche Mohorič) pochi ma buoni capaci entrambi di vincere, di inventare ed esaltare.
Poi sia chiaro: il nuovo percorso, aperto a diverse soluzioni, è decisamente più spettacolare di quello col finale verso Ans che rimescolava le carte e rendeva spesso una lunga attesa verso lo strappo finale, e apre un ventaglio di possibilità di successo ai corridori più in forma più che a qualche outsider: l'eterno Valverde, il duro Schachmann, l'atteso Hirschi, il rampante Vansevenant, il gemello Yates, il mezzofondista Woods, il levriero Mollema, l'ingobbito Carapaz.
Per l'Italia, se proprio dobbiamo tirare dentro qualche nome, l'unico fattibile è Formolo.
Ma oggi ancora è meglio non parlarne, va così: aspettiamo tempi migliori, vacche grasse o talenti (ce ne sono) che diventano campioni. L'ultima “Doyenne” vinta risale ormai al 2007. A oggi ci tocca osservare, da posizione privilegiata, per passione, ma con la bocca sempre di traverso in una smorfia, osservando poi gli ordini d'arrivo con la bandiera tricolore parecchio indietro.
PERCORSO
Poco meno di 260 chilometri da Place Saint-Lambert, passando ovviamente per Bastogne fino a dove la strada è più clemente rispetto al ritorno verso Liegi. Dal 2019 non si arriva più (finalmente) ad Ans, anche se i punti chiave rimangono più o meno i medesimi. Intanto non c'è mai un metro di pianura, anche se i GPM segnati sono alla fine 11, in realtà se ne potrebbero contare in tutto il doppio. Dal km 164 (Cote de Mont-le-Soie) al km 245 con la Roche-aux-Faucons, quasi 80 km in cui non si respira con Wanne, Stockeu, Haute-Levée, Rosier, Desnié, Redoute e Forges. Dalla “Rocca dei Falchi” 13,4 km fino a Liegi.
I FAVORITI DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐⭐ Alaphilippe, Pogačar
⭐⭐⭐ Gaudu, Valverde, Schachmann, Vansevenant
⭐⭐ Carapaz, Barguil, Cosnefreoy, Hirschi, Woods, Mollema, Wellens, Teuns, Chaves, Benoot, A.Yates
⭐ G.Martin, Formolo, Tulett, Vingegaard, Schelling, Konrad, Poels, Q. Hermans, Leknessund, Fabbro, Almeida, Konrad
Foto: A.S.O./Gautier Demouveaux
Su e giù per le strade olandesi
Più che “la corsa della birra”, l'Amstel Gold Race sembra il nevrotico alter ego di Woody Allen in uno dei suoi film. Un Harry fatto a pezzi fra quelle stradine dove limare è complicato come andare in salita, che se non sei abile a guidare e rilanciare, quando arrivi nella fase decisiva le energie ti hanno già fatto ciao con la manina e sono montate su un treno o, visto che siamo in Olanda, su una bici da città destinazione casa/albergo e magari mentre tu le stai cercando loro sono già sotto la doccia.
Quando nacque la corsa, nel 1966, su intuizione di Herman Krott e Toni Vissers, furono problemi. Intanto il percorso appariva complesso nel suo disegno – la planimetria da videogioco Nokia anni 2000 ricca di trabocchetti è una delle caratteristiche predominanti – e ingombrante nella sua lunghezza effettiva e poi c'era preoccupazione in quanto si respiravano i primi fumi rivoluzionari dei Provos e dei movimenti delle biciclette bianche – rivelatisi poi anni dopo fondamentali per radicalizzare l'uso quotidiano della bicicletta in Olanda.
In qualche maniera la corsa quel 30 aprile (nel Koninginnedag - ovvero il Giorno della Regina, festa nazionale) si fece lo stesso nonostante i cambi di percorso, e vinse Jean Stablinski, francese, che oggi dà il nome al velodromo di Roubaix. "Sono l'unico uomo al mondo che è passato sotto le gallerie che tagliano la Foresta di Arenberg e che poi c'ha pedalato sopra" – raccontava Stablinski, minatore prima che ciclista, cresciuto a Wallers, da dove transita proprio la regina delle classiche. Dopo di lui solo un altro transalpino scrisse il suo nome nell'albo d'oro: Bernard Hinault. Fra poche ore ci prova Alaphilippe.
Gli italiani ci hanno messo decenni a vincere su in Olanda - Zanini, pioniere, nel 1996 - per poi trovarsi quasi a dominare nei primi anni 2000 con i successi di Bartoli, Rebellin, Di Luca, Cunego, il meglio - o quasi, manca almeno un successo di Bettini - del ciclismo italiano all'epoca per le corse di un giorno.
Gasparotto è stato l'ultimo italiano a vincere (2016), unico italiano a conquistarla due volte (2012, la prima) ed è anche l'ultimo italiano sul podio (terzo nel 2018). Gasparotto pochi mesi fa ha appeso la bici al chiodo e domani si fa fatica a trovare un successore: forse Trentin? Chissà, prima o poi una vittoria la meriterebbe. Diciamo che se elencassimo venti nomi favoriti metteremmo solo lui tra gli “azzurri”, allargassimo a venticinque, trenta appoggeremmo lì di striscio anche il nome di Colbrelli che da quelle parti ha fatto bene ma la corsa seguiva un altro disegno. Questo passa il convento attualmente: che siano pietre, corse a tappe oppure Ardenne, non è il miglior momento per noi.
Se si parla di successi: Jan Raas ha vinto cinque volte, irascibile sceriffo occhialuto a cui mancavano solo distintivo e pistole. Quando correva tra quelle strade si trasformava in un brutalizzatore.
Gilbert l'ha vinta quattro volte, con un'altra narrazione intorno a lui soprattutto in Italia: amatissimo a differenza di Jan Raas. I van der Poel, padre e figlio, una volta a testa – mica male.
Nel 2019, ultima volta dell'Amstel, il capolavoro firmata da Mathieu che fece innamorare pure gli insensibili dal cuore amaro. Prima l'attacco ai 43 dall'arrivo sul Gulpenberg, poi ripreso, poi autore di una furibonda rimonta su Alaphilippe e Fuglsang che si guardavano perdendosi fra dispetti e gambe ormai sgonfie. Quella specie di volata infinita, poi l'urlo e la mano sul casco: arrivo da vedere, rivedere e lasciare in ricordo ai nipotini - che chissà, capace saranno ancora più forti di lui.
Van der Poel però non ci sarà, van Aert sì e pare abbia chiesto a gran voce Roglič (ci sarà anche Vingegaard) perché gli dia una mano: la squadra in questa lunga campagna del nord si è rivelata troppo debole per sopportare il forte belga. Il gruppo dei favoriti attorno al van superstite dalla dura primavera è nutrito, gli scenari sono molti ma il percorso e la stagione vista sin qui fa pensare a gara selettiva.
PERCORSO
Tracciato nervoso e incazzoso, come da tradizione, per una corsa a lungo considerata “la sesta Monumento” e che dà il via al trittico delle Ardenne. Disegno inedito nel suo sviluppo “pandemic edition”. Un circuito, vietato al pubblico, di 16,9 chilometri da ripetere dodici volte con al suo interno da scalare Geulhemmerberg, Bemelemberg e Cauberg. Al tredicesimo e ultimo giro, invece, dopo il Bemeleberg deviazione per evitare il Cauberg e via verso il traguardo di Berg en Terblijt: 219,7 chilometri, ben 46 in meno rispetto l'ultima edizione. Un'ora in meno di corsa che farà tutta la differenza del mondo.
I FAVORITI DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐Pidcock, Roglič, Alaphilippe
⭐⭐⭐Mollema, Trentin, Schachmann
⭐⭐ Aranburu, Hirschi, Gaudu, Matthews, Valverde, Higuita, Vingegaard, Teuns
⭐ Stannard, Kragh Andersen, Benoot, Barguil, Vansevenant, Madouas, Molard, van Baarle, Wellens, Mohorič, Colbrelli
Foto: Dion Kerckhoffs/CV/BettiniPhoto©2019
I quattrocento calci
A guardarlo quando non è in bici faresti fatica a immaginartelo come uno scalatore duro, vero, di quelli che, quando pedali in gruppo con lui speri sempre di trovartelo in cattiva giornata, altrimenti, forte com'è, capace che fa saltare il banco, che ti fa saltare per aria. Intanto lui è lì, piccolino sul manubrio ma forzuto, a mulinare sui pedali, a scartare da una parte all'altra della careggiata nei tratti più duri, a guardare in faccia uno per uno gli avversari, a staccare tutti.
Occhialuto, faccia tra l'intellettuale e l'impiegato, David Gaudu non è per nulla il nome nuovo del ciclismo francese - né mondiale - perché talento e carisma lo aveva già mostrato anni fa quando era ragazzino e quando, per forza di cose, eravamo tutti più ingenui. Negli ultimi mesi, però, qualcosa è scattato, e anche lui strada facendo, con gambe sempre più veloci, si è unito a quel gruppetto di corridori che hanno preso di petto il ciclismo e lo stanno rivoltando.
Arriva dal Finistère, terra alla fine del mondo e di ciclisti a tutto tondo, persino di scalatori, nonostante le cime più alte pare non arrivino nemmeno a quattrocento metri, e hanno un nome così difficile da ricordare e da pronunciare: Roc’h Trevezel e Roc'h Ruz. Genitori descritti come di una disarmante normalità e che nulla hanno a che vedere con le due ruote agonistiche: papà artigiano piastrellista, che lo ha messo in bici per passione, mamma ragioniera contabile: quell'aria impiegatizia che trasmette per forza l'ha ereditata da loro. Storie anche di animali la sua: Pierre Carrey, su Libération, un paio di anni fa alla vigilia del Tour, per raccontarlo scrisse un incipit ricco di ritmo e assonanze:
"Quand les coureurs cyclistes se vivent en objets fragiles enveloppés dans du papier bulle, levés avec le coq, endormis avec les poules, David Gaudu, 22 ans, s'est choisi une autre voie: sa chienne".
E se parliamo di assonanze ci verrebbe da dire come oggi abbiamo finito di aspettare Gaudu, ma lo evitiamo. Ci verrebbe da dire che Gaudu quando vuole in salita è uno di quelli che può inserirsi tra gli sloveni e dare filo da torcere ai colombiani, come ha già fatto per altro: nel 2016 vinse il Tour de l'Avenir dove al quarto posto arrivò proprio Bernal. Lo scorso anno vinse due arrivi in salita alla Vuelta, nel 2019 al Romandia tra i battuti Roglič.
Diciamo anche che, più che inseguire il Tour - come ogni francese lo sente sulla pelle - David Gaudu potrebbe lasciare il segno alla Freccia Vallone o alla Liegi-Bastogne-Liegi. Sulle strade delle Ardenne c'ha già provato: alla Freccia fu nono da neo professionista, di più: fu il primo a rompere gli indugi nella caotica volata, oltre il 20%, sul Muro di Huy, mentre alla Liegi (6° nel 2019) sulla Redoute prima ancora di lui il protagonista è stato il suo cane.
Gaudu ha un husky: Houna si chiama. Sono inseparabili come dimostrano le foto che il corridore pubblica sui Social o come raccontano i suoi compagni di squadra. Madouas, amico, coetaneo, anche lui bretone e suo compagno di stanza, raccontava tempo fa sempre sulle pagine di Libération: «Ogni sera David ci mostra una foto del suo cane. Se viene a trovarlo all'inizio di una gara, ce lo dice il giorno prima. È pazzo. Non so se lei lo calma o se gli dà la forza per fare il suo lavoro, ma il suo cane occupa un posto essenziale nella sua vita». Mentre Pinot, suo capitano in Groupama (ancora non per molto visto la parabole delle loro carriere) puntualizza: «Se io sono un animale da fattoria, Gaudu è un cane».
Lo stesso Gaudu racconta di come la sua vita giri intorno a Houna, come un personaggio a metà tra un romanzo di Guillermo Arriaga e un racconto di Jack London: «Siamo fatti l'uno per l'altro. Mi segue ovunque e in inverno mi alleno a piedi correndo assieme a lei nei boschi. Sta sempre al mio fianco. Nella mia borsa c'è la sua ciotola insieme ad acqua e cibo. È un cane robusto e potente, ma c'è una cosa bizzarra però che non mi torna: in salita non va troppo forte. Se io sono uno scalatore allora lei è una velocista».
Ma torniamo a quella Liegi Bastogne Liegi: sempre Carrey sul quotidiano francese descrive il passaggio sulla Redoute di Gaudu, racconta di un trambusto inizialmente non identificato tra la folla. Poi a un certo punto si vede un cane tirare come un forsennato al guinzaglio: è Houna “che salta come una cavalletta quando David le passa sotto il naso”. Storia di cani ma anche di gatti: un giorno un gatto gli attraversa la strada durante una corsa tra gli juniores gli si infila tra i raggi e Gaudu cade.
Pochi giorni fa ai Paesi Baschi è rimasto solo con Primož Roglič, mentre Tadej Pogačar si affidava a più miti consigli lasciando perdere qualsiasi rischio in discesa. Vince Gaudu dopo aver battuto il pugno in segno di intesa a Roglič il quale evita la volata che sarebbe stata vincente sì, ma esiziale per il prosieguo della stagione. Dopo gli ostaggi fatti alla Parigi-Nizza è arrivato tempo di farsi qualche amico in più in gruppo, avrà pensato lo sloveno. L’idea di tenersi stretto Gaudu non ci pare così campata per aria. Già sulle Ardenne vedremo che effetto farà e poi al Tour magari la prova del nove.
Foto: ©PHOTOGOMEZSPORT2020