Diciotto anni compiuti da poco, e non lo diresti: avete mai provato a scambiarci due chiacchiere o a leggere (o ad ascoltare) una sua intervista? Determinato, ambizioso, Samuele Privitera ha idee chiare su quello che è il suo futuro e persino su quello che è il sistema del ciclismo italiano Under 23, argomento sempre caldo da diverse stagioni. Idee chiare e pochi fronzoli. Allo stesso tempo piedi saldi per terra.
Classe 2005, da Soldano, in Liguria, paesino nell’entroterra ligure, a pochi chilometri da Bordighera, ed è proprio con la squadra di ciclismo del comune in provincia di Imperia, con quelle montagne a picco sul mare, le viste da lasciarti senza fiato, noto per le sue numerose bellezze architettoniche, che ha mosso i suoi primi passi nel ciclismo.
Salito in bici a sette anni, e da quel momento, ci tiene a specificare, non è più sceso da un mezzo che si caratterizza per essere gioia e dolore di praticanti, professionisti o aspiranti tali, come lo è il giovane corridore passato tra gli juniores con il Team F.lli Giorgi, dove cresce, come persona, come corridore, e di cui avrà sempre un bel ricordo. Salito in bicicletta nel modo più classico: una passione trasmessa dal nonno e dal papà, ciclisti amatori. Ciclistica Bordighera fino agli allievi, Team F.lli Giorgi tra gli juniores prima di cambiare completamente dal prossimo anno: correrà tra gli Under 23 con la Hagens Berman Axeon di Axel Merckx, squadra da cui sono passati diversi talenti che si stanno imponendo nella massima categoria. Volete qualche nome? Eccoli: Philipsen, Almeida, Powless, Geoghegan Hart, Guerreiro, Dunbar, Neilands, i fratelli Oliveira, Narvaez, Bjerg e tanti altri, in attesa dei vari Leo Hayter o Rafferty, di Herzog o Andersen, di Romeo, De Pooter o Shmidt.
La tua presenza nella squadra di Merckx rappresenta una novità assoluta per il ciclismo italiano: insieme a Mattia Sambinello sarete i primi corridori di casa nostra a vestire la maglia del team di affiliazione americana. Perché questa scelta? Da parte loro, da parte tua.
I primi contatti sono avvenuti al termine della scorsa stagione; a febbraio di quest’anno, invece, ho fatto una stage con ritiro e sono rimasti impressionati dalla mia voglia di fare e da quanto andavo forte. E sono rimasto colpito anche io dal loro modo di lavorare. Perché fanno le cose bene, ma senza essere tutto estremizzato. Perché c’è poca pressione, poco stress, ma allo stesso tempo un approccio scientifico, professionale. A metà stagione ero già tentato di firmare con loro, ma altre squadre mi hanno cercato. Poi, però, quando è arrivata la notizia della collaborazione dal 2024, come Team Devo della Jayco AlUla, insieme al mio procuratore, Alessandro Mazzurana, abbiamo pensato fosse la scelta migliore da fare.
Sei rimasto colpito, ma da cosa?
Hanno una filosofia che io reputo quella giusta. Per come ragionano, come lavorano: pensavo fosse la squadra perfetta per me, e per come stiamo lavorando in questo inizio 2024 sono convinto lo sia. Il fatto, poi, che diventeremo squadra sviluppo della Jayco, andrà a colmare anche alcune lacune che magari poteva avere la squadra in precedenza: per esempio abbiamo iniziato a lavorare con lo staff del team World Tour, nutrizionisti, preparatori, eccetera. Hagens Berman resta la squadra vera e propria, ma in fin dei conti saremo un vero e proprio Team Development. Prima forse mancava qualcosina per essere una squadra di livello top per la categoria, ma ora quello step è stato fatto.
Torniamo alle tue origini ciclistiche. Si stato ispirato da tuo padre e tuo nonno, ma di sicuro avrai avuto degli idoli da bambino.
Più che idoli dei punti di riferimento. Ho sempre avuto questa passione per gli scalatori spagnoli: Contador, Purito Rodriguez e Valverde su tutti. Ecco Valverde è il mio riferimento attuale: ha corso tantissimo, per tantissimi anni, ha smesso in là con gli anni, ha vinto un mondiale a quasi 40 anni e ora che ne ha 43 lo vedi ancora che pedala, che fa gare Gravel. Corridore incredibile.
E oltre alla bici?
Poco altro, ma perché non ho tempo di fare altro. La mia vita è scuola e allenamenti. Però ho una grande passione: seguo tantissimo il tennis e in questi giorni è andata bene perché c’è stato anche da festeggiare.
Quali sono le tue caratteristiche?
Scalatore, resistente, con tanta durability. È che non potevo essere altro perché in volata sono piantato, ma per fortuna ho un buon motore.
Margini?
Mentalmente mi manca quella cattiveria per vincere, però ad esempio sono uno che si mette molto a disposizione della squadra.
Scalatore, dotato di fondo: sei il prototipo del corridore da grandi giri.
Esatto, sono sicuro che se in questi anni crescerò anche a livello di cattiveria mentale e a livello di motore continuerò a crescere in questa maniera, posso diventare un corridore un po’ à la Kuss. Un corridore forte, che fa la differenza in salita per i suoi compagni, ma che come abbiamo visto sa ritagliarsi anche il suo spazio.
Quindi, da regolarista, forse ti manca l’esplosività?
In realtà no. O meglio, mi spiego: sono piantato dai cinque ai quindici secondi e quindi in volata non posso fare molto. Ma ora sto lavorando tanto sugli sprint sui trenta secondi e sto migliorando questo aspetto. Su sforzi dai trenta secondi ai due minuti vado forte. Di sicuro mi manca quel picco di watt che nelle categorie giovanili mi sarebbe servito per vincere di più.
Nei due anni da junior, tuttavia, sei andato sempre molto forte, il primo anno tanti piazzamenti, quest’anno un paio di vittorie alla Coppa 1° Maggio e al Memorial Antonio Colo.
Però soprattutto il primo anno avrei potuto vincere diverse gare, ma da una parte ho sbagliato alcune cose dal punto di vista tattico, dall’altra io mi sono sempre messo a disposizione della squadra, senza che questo mi pesasse, chiaramente. Quest’anno, però, nelle gare che contavano ho dimostrato di avere motore. In Italia corriamo tanto, troppo, e le corse che contano veramente saranno un terzo di quelle che facciamo, quindi in tante giornate di gara mi sono messo a disposizione della squadra perché è un aspetto determinante, che ti fa crescere e maturare, impari a conoscere tutte le sfaccettature di questo mestiere. Poi nel resto delle gare magari non ho vinto, ma in tante corse importanti ho fatto bene.
Torniamo alla tua scelta di andare a correre all’estero, per parlare di questa tendenza che coinvolge il ciclismo giovanile italiano.
Intanto voglio togliermi un sassolino dalla scarpa: leggo commenti, riferiti anche ad alcune altre mie interviste, in cui gente, tifosi, lettori, ci dicono che dobbiamo restare in Italia, che sono andato via dall’Italia perché non volevo studiare o l’ho fatto solo per soldi. Quando ho firmato per la squadra di Merckx non pensavo nemmeno di prendere una lira; io sono voluto andare all’estero perché i numeri parlano chiaro. E per numeri parlo di risultati, crescita; le corse più importanti quest’anno le hanno vinte quasi tutte i corridori delle Devo o comunque di squadre straniere. Il Giro Next Gen: Staune-Mittet (JUmbo Visma Devo) su Rafferty (Hagens) e Wilksch (Tudor U23); il Val d’Aosta? Rafferty; a San Daniele tripletta Jumbo; il Recioto lo ha vinto Graat (sempre Jumbo Devo), il Piccolo Lombardia Lecerf (Soudal Devo) su Ryan (Jumbo Devo). All’estero qualcosa di giusto lo fanno, che dici?
E il campione italiano è Busatto, che correva con il team di sviluppo della Intermarché e che l’anno prossimo correrà nel World Tour con la squadra belga.
E la corsa l’hanno fatta lui, Belletta e Mattio (Jumbo). È un dato di fatto che all’estero si corra meglio. La crescita a livello di performance dei ragazzi andati all’estero è palese anche solo alla vista. E poi c’è il calendario. Io senza aver iniziato a correre ho già visto come sarà impostato il mio 2024 ed è totalmente diverso da quello di una Continental italiana. Siamo nel 2024 e bisogna iniziare a ragionare in maniera differente, però attenzione, io non me la prendo con le Continental italiane, ma semmai è colpa del sistema in cui devono correre.
Zeppo di storture.
Ti faccio un esempio: ti pare mai possibile che una squadra un fine settimana si divida per fare tre corse diverse, e tutte e tre gare regionali? Per cosa? Per vincere 40/45 gare all’anno, e finire sul giornale perché hanno vinto 40/45 gare in un anno così lo sponsor è contento. E in Italia i dirigenti lo sanno che per preparare i ragazzi questa non è la via, ma il problema è che lo sponsor vuole visibilità.
Tu hai colto l’occasione, ma perché ti sei cercato questa occasione.
Se io posso finire a correre per una Devo di una squadra World Tour, di avere la possibilità di migliorare come persona, imparare l’inglese, non capisco perché io debba restare in Italia.
Cosa ti aspetti da questa stagione in arrivo.
Migliorare mentalmente e come motore. Lo dico sempre: uno dei motivi che mi ha spinto ad andare all’estero è la voglia che ho di imparare a fare il corridore, intendo il corridore vero. Voglio fare la vita da atleta e per me l’unico modo per farlo è prendere schiaffi a livello sportivo, fare gare di qualità con gente che ha più motore di me, che in salita mi apra in faccia in modo che io capisca che ho ancora tanto da lavorare.
E a livello di risultati?
Nessun obiettivo vero e proprio, mettiamola così. Fare bene nelle corse in Italia, correre il Giro Next Gen con un ruolo importante all’interno della corsa, per me stesso o per la squadra, così come disputare le internazionali dure, il Val d’Aosta. Però ribadisco: prendere più batoste possibili per imparare a gestirle quando le prenderò più avanti, perché è inevitabile che quelle le prenderai sempre. Poi dal secondo anno, quando avrò imparato a fare il corridore, ci risentiamo e ti dirò quali corse posso provare a vincere. E poi voglio imparare a essere un uomo squadra perché devi sapere anche fare il gregario.
Andando ancora a scuola come coniughi la tua routine giornaliera tra scuola e allenamento?
La scuola in questo mi sta aiutando parecchio perché due giorni alla settimana esco un’ora prima degli altri e questo mi permette di fare più volume.
Che tipo di allenamento stai facendo ora?
Perlopiù volume. In queste prime quattro settimane ne ho fatte tre di volume/adattamento a circa 24/26 ore a settimana, e poi la settimana appena passata ho fatto i primi quattro giorni di scarico e poi dal giovedì ho ricominciato a fare volume inserendo intensità, facendo blocchi in zona 3, medio lunghi e poi sessioni di sprint. Anche se queste in realtà le ho inserite sin dall’inizio: due sessioni alla settimana circa di sprint, facendo sprint brevi di dieci secondi e soprattutto massimali da trenta secondi. Diciamo che ora le mie sessioni settimanali sono: due di sprint, due, tre di intensità media e treshold e il restante volume in z2. Ora sto girando sempre sulle 24/27 ore a settimana e faccio anche due, tre sessioni di palestra a settimana dove faccio forza massima ed esplosività.
Queste sono tabelle specifiche personalizzate o sono lavori che vi stanno facendo fare a tutti in squadra.
Tabelle personali: noi in squadra possiamo avere il nostro preparatore personale, io sono seguito da Gaffuri e Pinotti, quest’ultimo è comunque uno dei preparatori della squadra World Tour. Però tutte queste tabelle, se arrivano da preparatori esterni, passano tutte sotto gli occhi del nostro Head Coach e vengono approvate da lui. Credo, tuttavia, che i miei compagni lavorino su questa falsariga. Certo, considerando che molti vivono al Nord Europa, non credo riescano a fare il volume che faccio io, ma per dire, anche già solo Sambinello che abita a Varese non riesce a fare lo stesso mio volume. Abitando in Riviera, per dire, oggi sono andato a fare 3 ore, ho scollinato oltre i 1000 e c’erano 14 gradi lassù. 14 gradi al nord Italia se li sognano. Su questo sono avvantaggiato.
Corsa dei sogni?
Sogno di partecipare alla Sanremo, perché la guardo da quando ho 2 anni, ma sogno di vincere il Tour.
Il tuo anno, il 2005, e il 2006, sono annate piene di talento. Tra i corridori contro cui hai corso chi ti ha impressionato maggiormente?
Jarno Widar. Motore pazzesco, corridore esplosivo. Si mette davanti tutta la gara e tira. Ho fatto lo stage con lui in Hagens Berman Axeon, eravamo compagni di stanza, poi lui ha fatto altre scelte (correrà con la Lotto Devo). Per farti capire che tipo è: dopo che ha perso il Lunigiana – in discesa – è tornato a casa, è uscito, ha aperto sulla Redoute e ha preso il KOM a Evenepoel. In Italia mi hanno impressionato Finn e Giaimi. “Lollo Finn” ha gran motore, deve solo migliorare nel correre, ma quest’anno ha scelto la squadra giusta per farlo.
All’estero con l’Auto Eder, squadra affiliata alla BORA-hansgrohe.
Lui, lì, può diventare davvero forte.
Al Lunigiana si è fatto sorprendere nelle prime tappe, restando un po’ dietro nelle fasi cruciali.
Sì, esatto, lui ha un po’ questa caratteristica di correre in fondo, e questo lo penalizza, ma quando la strada sale va forte. E poi c’è Giami, io lo definisco “un treno”.
Giami, Finn, Privitera, tre liguri: cosa sta succedendo dalle vostre parti?
Solo motori sulla costa! Con Giaimi ci alleniamo assieme ancora adesso quando siamo a casa ed uno spettacolo uscire assieme a lui. Ci mettiamo lì, z2 a 37/38 all’ora e via sulla costa. Il problema è quando dice “facciamo una volata?”. Quasi 1800 watt di picco fanno un po’ paura… gran corridore. Ecco lui anche a correre in gruppo ha qualche problema, ma ha una mentalità che definirei “folle”. Se qualcuno gli dice qualcosa, gli scatta qualcosa in testa e magari il giorno dopo ti fa 80 km di fuga. Un po’ altalenante magari a livello mentale, ma il suo motore sui 4 minuti ce l’hanno in pochi, e lo dimostra il record del mondo di categoria nell’inseguimento su pista.
Abbiamo un bel biennio in Italia tra 2005 e 2006.
Ti posso fare altri nomi che quest’anno sono andati veramente forte: Sierra, Gualdi, i Sambinello, Mottes, Negrente, altri. Quello che la gente deve accettare è che noi facciamo la scelta di andare a correre all’estero. Quello che bisogna capire a livello di sistema è che il problema non è tra i giovanissimi, allievi, juniores, ma tutto quello che arriva dopo. Perché non è possibile che si arrivi dagli Under 23 e si inizi a fare fatica a esprimere il talento. Tutti lo devono capire, non solo le squadre, ma tutti i dirigenti. Devono capire che se noi in Italia facciamo in un modo, ma all’estero fanno in un altro bisogna fare anche noi come si fa all’estero. Prima passava un corridore all’anno in squadre straniere, ora sta diventando una tendenza diffusa, due, tre, cinque, sette. Ma in Italia nulla cambia e ci si ostina a fare in un certo modo.
Una mentalità, per i motivi che hai anche spiegato prima, difficile da cambiare.
E io ti faccio un esempio sulla mentalità da grande squadra. Prendi la Tudor, esiste da un paio di anni e guarda che squadra hanno messo su, fanno tanti punti per il ranking e puntano a entrare nel World Tour. Ma al di là dei punti è una squadra che ha dimostrato di lavorare bene, basta guardare anche la campagna acquisti fatta.
Hanno un budget importante, ma lo sanno usare bene. Quando prendi corridori di spicco come Dainese e Trentin, vuol dire che punti in alto.
Esatto, non è solo una questione di budget, ma di come lo si usa. Loro devono essere un esempio. Ci sono riusciti loro, dobbiamo provarci anche noi. E poi potrei fartene altri di esempi, ma ti porto solo quello della Hagens Berman Axeon: in otto anni hanno portato tra i professionisti una cinquantina di corridori, va bene che prendono quasi sempre solo corridori con motore, però se è uscito un numero del genere, vuol dire che almeno più della metà delle cose che fanno, la fanno giusta. Perché non riusciamo a farlo anche in Italia? Se loro corrono poco, ma corrono bene, perché non lo facciamo anche noi? E poi prima dell’arrivo di Jayco non erano di certo la squadra più ricca, ma guarda cosa facevano, mica correvano tutti i week end? Ma un calendario specifico che aiutava a crescere i corridori misurandosi spesso con i professionisti. A fare quello che dicevo prima: prendere schiaffi per crescere. Tornavano dopo aver corso per qualche settimana o per mesi con i professionisti per vincere le gare Under 23. Quello che voglio dire è che i soldi che una squadra spende per fare 6 gare regionali, li spendono in una gara e poi si raccolgono i frutti. Si fa motore, si impara a correre, il ragazzo cresce e diventa corridore. Ma il problema non è chi prende decisioni su come investire il budget, ma è proprio il sistema che è sbagliato. Queste squadre, se l’anno dopo vogliono avere i fondi dagli sponsor, devono vincere la corsetta regionale per avere visibilità.
Foto in evidenza: Rodella, per gentile concessione del Team F.lli Giorgi
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