C’era un ragazzino, a Parigi, il 20 settembre. C’era anche l’ultima tappa del Tour de France, a Parigi, il 20 settembre. Quel ragazzino era accanto a delle transenne, più alte di lui, poste a protezione della bolla del gruppo, alla partenza. Quel ragazzino era lì per vedere. Per questo avvicinava gli occhi- chissà di che colore li aveva gli occhi- ad ogni fessura della transenna e provava a vedere oltre. Non crediamo abbia visto molto ma siamo certi che qualunque cosa vedesse gli bastasse, per restare lì tutto quel tempo. C’era silenzio, a Parigi, il 20 settembre e si sentiva tutto.

C’era Tao Gheoghegan Hart, a Milano, il 25 ottobre. C’era anche l’ultima tappa del Giro d’Italia, a Milano, il 25 ottobre. Tao Gheoghegan Hart aveva appena vinto il Giro d’Italia, dopo una cronometro corsa sul filo dei secondi. C’era una ragazza, Hannah Barnes, che gli correva incontro in una piazza Duomo deserta, avvolta nella nebbia. Anche Hannah è una ciclista. C’era Tao che le scostava la mascherina dal viso con una delicatezza indescrivibile, quasi a dire: «Fammi vedere ancora una volta quanto sei bella..». Poi c’era Tao Gheoghegan Hart che baciava Hannah Barnes. C’era silenzio a Milano, il 25 ottobre e si sentiva tutto.
C’erano Chris Froome e Rui Oliveira, a Madrid, l’8 novembre. C’era anche l’ultima tappa della Vuelta, a Madrid, l’8 novembre. Froome e Oliveira che si incontrano da qualche parte dopo l’arrivo, ancora in sella alle loro biciclette. Chris Froome che ha già vinto tutto ciò che si poteva vincere, Rui Oliveira che è al primo anno tra i professionisti. I due si erano fatti una promessa, chissà dove, chissà quando. Il loro è un appuntamento, in realtà, Froome toglie dalla tasca il suo numero e lo dona a Oliveira. Oliveira ringrazia, con un candore raro. C’era silenzio, a Madrid, l’8 novembre e si sentiva tutto.

Quel silenzio non lo avrebbe voluto nessuno. Quel silenzio non lo vorrebbe più nessuno. Perché è un silenzio surreale, perché è un silenzio che vorremmo fosse altrove. Ma quel silenzio c’è e, temiamo, ci sarà ancora per diverso tempo. Noi di quel silenzio vi abbiamo raccontato tre storie per raccontarvi una scelta. Si può vivere il silenzio come vuoto asfissiante e angosciante, come privazione immanente, oppure si può dargli la possibilità di essere altro. Di essere, per esempio, la capacità di cogliere ciò che nel rumore, nel caos, ci sfugge. Perché ritorneremo ad essere come eravamo un tempo. Prima o poi accadrà. E quando accadrà, forse, sapremo non farci travolgere dalla confusione e dalla folla, come viandanti distratti. Sapremo ascoltare ogni minima particella di caos e riconoscerne il valore. Sapremo vedere e raccontare più storie perché saremo meno distratti. Più felici, certo, ma soprattutto più attenti. E questo è ancora più importante.

Foto: Alessandro Trovati/Pentaphoto