La lunga strada, a tratti sterrata, che porta da Marrakech a Agadir, poco più di 850 chilometri e 13000 metri di dislivello, a tratti assume contorni alienanti e pare perdersi nel deserto roccioso che non si capisce dove inizi e dove finisca, mentre la destinazione resta sullo sfondo, quasi irraggiungibile. Il repentino cambio di paesaggio umbro è ormai troppo lontano. Qui il sole è bianco e pare quello anche il colore della solitudine dei ciclisti, mentre si incontrano davvero poche persone in bicicletta, talvolta qualche compagnia di ragazzini. In Italia, l’autunno sfuma nell’inverno, Lorenzo Sensi e i suoi amici, Alberto, Mattia, Andrea e Massimo, infatti, sono partiti tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, ma in Marocco le temperature ricordano un tiepido maggio. Il viaggio è un’abitudine per loro, appena il lavoro molla la presa: almeno una volta all’anno partono assieme, cercano mete adrenaliniche, non usuali, le inventano, oppure le percorrono «al modo della tribù», ma a questo arriveremo presto.
Nell’autunno 2023 era il Rwanda, l’anno scorso il Marocco, sulla via dell’Atlas Mountain Race. «I quarant’anni hanno cambiato qualcosa. Hanno acceso il desiderio di sfruttare questo tempo perché, per quanto sembri lunghissimo, ma è limitato, come le esperienze che ciascuno può fare. Siamo dei “cani sciolti”, senza bici all’ultimo grido, senza un fotografo professionista che ci segua, senza abbigliamento top di gamma e anche senza strutture prenotate. L’attitudine è questa ed è l’attitudine a lasciare una traccia in chi incontri. Così le persone si sentono accolte, al sicuro, e si uniscono a questo entusiasmo. Augh, in fondo, è nato in questo modo: due giorni immersi nella natura dell’Appennino Umbro, per pedalare su una traccia off-road, raggiungere il villaggio, piazzare la tenda, nutrirsi con buon cibo e fare festa». Ed ecco la tribù, non solo quella di Augh, ma quella di tutti coloro che si riconoscono in questa filosofia e montano in sella. Magari cercano su Komoot le tracce gratuite, caricate da questi amici, progettano un viaggio e partono insieme. Il Marocco, alla fine, è una possibilità da raccontare anche per questo.
Allora torniamo sulla strada e torniamo alla solitudine, lenita da pochi ma significativi incontri. L’arrivo a Marrakech avviene di notte: il tempo di montare le biciclette, a letto alle quattro, sveglia alle sette e via a pedalare, verso Taddart. C’è un signore, avvisato del loro arrivo, ad aspettarli sulla strada, ma dovrà attenderli circa due ore, perché il viaggio sarà più lungo di quanto programmato. «Ahmed, così si chiamava, si sarà chiesto dove eravamo finiti, ma al nostro arrivo non ci ha detto nulla. Era solo preoccupato per noi, ci ha preparato la cena e accolti in un piccolo albergo» . Qualche tempo dopo sarà un altro Ahmed a farli sentire a casa, a Tiouadou. Un ragazzo di soli ventotto anni, seduto con loro accanto al fuoco: era partito per studiare inglese all’università, a Casablanca e chissà quanto avrebbe potuto viaggiare quel ragazzo, quanti sogni avrebbe potuto realizzare, eppure è tornato al borgo. Suo zio era un importante politico locale, che ha molto aiutato l’economia della zona, mancato in un tragico incidente in moto e Ahmed ha sentito di dover tornare per continuare a realizzare quel progetto, per gestire la struttura ricettiva avviata, assieme al fratello. «Mentre il fuoco crepitava, lui ci insegnava a giocare a carte e anche qualche parola di arabo. Stavamo bene, eravamo felici e bastava questo incontro a farci sorridere». E ancora quel signore alle Oasi Aguinane che non parlava inglese e nemmeno italiano, ma aveva un figlio a Modena: così gli ha telefonato e la cena l’hanno ordinata al telefono, con una traduzione istantanea.
Nel ricordo di Taznakht sempre più vicino al deserto e lontano dai classici luoghi turistici, e la strada coloniale che dalle Oasi Aguinane, in discesa, si tuffa in un tramonto stupendo: solo cinque amici, una strada carrareccia, le rocce e uno strano senso di libertà. Sulla pelle il caldo, sino ai 35 gradi, e il lungo mare che accoglie la fine di questa avventura ad Agadir: «Avrebbe potuto essere Rimini, con qualche turista in infradito e un locale sul mare: abbiamo bevuto un boccale di birra fresca e brindato ad un’esperienza rara. E, dico la verità, mentre ne parlo penso a cosa potremmo organizzare il prossimo autunno».
Così il gruppetto di questi amici storici è tornato a casa, dopo giorni e giorni a progettare, organizzare la sera quel che avrebbe fatto il giorno successivo, dividendosi i compiti, in modo che ciascuno potesse fare quel che gli riusciva meglio, quello in cui più si sentiva a proprio agio, aiutandosi e sostenendosi. «Ero già stato in Marocco- spiega Lorenzo- ma alla velocità sbagliata, la bicicletta mi ha permesso di ritrovare il ritmo giusto per guardarmi attorno e per gustare ogni chilometro in più fatto perché frutto della nostra fatica, del nostro sacrificio. Il sapore viene anche da lì. Se, negli ultimi anni, ad Augh arrivano quattrocento iscrizioni in poche ore, crediamo sia anche per questo, per un reciproco riconoscersi in avventure che certamente non sono banali, ma nemmeno impossibili, però serve un poco di allenamento e tanta fantasia. Quelle avventure che, quando ci ripensi, ti dici: quanto bello è stato? E sorridi».
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