I Mondiali di mountain bike in Val di Sole sono stati tante cose: le vittorie di due “grandi vecchi” come Schurter e Minnaar, le consacrazioni di Evie Richards e Christopher Blevins, la stupenda quasi-medaglia di Marika Tovo. Da giornate così frenetiche è difficile ricavare certezze; una forse: una rassegna iridata è di chi la vive. Queste cinque cose sì che me le ricorderò:
1. Due chiacchiere con Faranak Partoazar. È l’unica ciclista iraniana della manifestazione, nessuna federazione l’ha sostenuta nella trasferta e non ha alcuna carta di credito con sé. La incontro mentre sta lavando, asciugando e ingrassando la propria bici. Di meccanici neanche l’ombra, ma dal tendone di una famosa marca di lubrificanti per catena esce Robin, un californiano di origine iraniana. I due iniziano a parlare in persiano: è la prima volta per entrambi che possono ricordare la loro terra in un contesto del genere.
2. I colori. Daolasa è stata invasa da persone provenienti da tutto il mondo, con tante maglie diverse (la maglia della nazionale lituana di downhill sembra fatta con le bombolette da graffiti) e acconciature pazze (un rider neozelandese: chioma bionda e una cresta blu di dubbio gusto). Miglior abbinamento divisa-bici: l’azzurro e il bianco della casacca israeliana di Eitan Levi, che saltava le rocce sulla sua Trek rosa.
3. La professionalizzazione del downhill. Disciplina a sé stante, ad alto tasso di adrenalina e palesemente pericolosa, il downhill non consiste più nel lanciarsi alla cieca giù da una montagna pieni di birra, come poteva essere fino a vent’anni fa. Ora gli atleti sono seguiti da professionisti fin dall’adolescenza, si allenano di più e meglio, prendono sul serio quello che fanno. Queste cose le sostengono tanti atleti, ma anche due tecnici della Nazionale italiana, che – coi suoi tempi – ha dato più attenzioni al downhill. Sulla Black Snake, una di queste due persone chiede all’altra come sono andati alcuni atleti nelle prove. Sapendo di dover fornire un’analisi tecnica, la risposta è stata: «una scopa nel culo».
4. Al risparmio. È l’unico modo in cui tantissime persone possono permettersi di essere qui. Solo nei trecento metri che separano il parcheggio riservato ai media e il paddock, si vedono tende da campeggio, camper, famiglie intere che al mattino si lavano i denti nelle fontanelle pubbliche. È la vita che fanno anche atleti stessi: Izabela Jankova, vincitrice del titolo mondiale di downhill tra le juniores, si diceva pronta a fare la sua parte per guidare le sedici ore necessarie per tornare in Bulgaria. Lei farà il primo turno, così riuscirà a dormire la notte, mentre guida il padre. Svegliarsi un minimo riposata è necessario: il giorno dopo ci si deve allenare.
5. I tifosi. Tantissime persone hanno sostenuto gli atleti a fianco delle piste della Val di Sole. Facendosi a piedi la Black Snake, si può incontrare per esempio la famiglia di Giacomo. È un amante del downhill di oltre quarant’anni, che partecipa a varie competizioni riservate ai master, con la sua squadra, il Team Reunion. Si chiamano così perché si radunavano spesso assieme, ma – e questa è la storia più assurda che sentirete quest’anno – «un nostro compagno di squadra ci è andato veramente, a una gara di downhill all’isola Reunion. Ha detto che è semplice: si parte dalla cima di un vulcano e si arriva al mare. Non ha figli, può permettersi un viaggio del genere, non è sposato ed è matto come un caco: sai cosa ti dico? Ha fatto bene ad andarci».
Foto: Giacomo Podetti