La facilità con la quale Arnaud De Lie ha vinto ieri la prima frazione dell’Étoile de Bessèges, classico appuntamento di inizio stagione in Francia, ha ricordato la medesima inclinazione di un certo Peter Sagan per quel tipo di arrivi: pochi minuti in cui sprigionare potenza e saltare gli avversari in vista del traguardo.

E per certi versi simile – anche se al momento giocano su terreni differenti di coinvolgimento – è quella sorta di spavalderia genuina che esprimono nel godersi una vittoria. Ieri niente segno delle corna, lui è “Il Toro di Lescheret”, ma si guarda indietro, scruta i corridori dribblati e che affannosamente tagliano la linea del traguardo alle sue spalle, e si esibisce in un gesto quasi di liberazione per la fatica fatta sulla rampa finale.

La crescita di Arnaud De Lie appare netta, anzi lo è, così come il modo con cui sconfigge gli altri corridori su terreni che si assomigliano: vincere su uno strappetto che taglia le gambe sembra diventare un marchio di fabbrica.

Sale di livello lo scontro, e il classe 2002 belga cresce a sua volta. Ieri a Bellegarde ha messo la sua squadra davanti a metà gara, spezzando il gruppo ed esasperando la fatica dei suoi, sportivamente parlando, nemici. Poi sullo strappo che portava al traguardo, dopo il lavoro di un altro suo compagno di squadra, ha lasciato sfogare Mads Pedersen nel tratto più impegnativo prima del plateau finale dove, dopo aver stretto i denti, ancora pieno di energie bruciava un corridore come il danese, che lo scorso anno, su quello stesso arrivo vinse con (estrema) facilità: un momento che fu prodromo della sua miglior stagione in carriera, almeno in fatto di continuità.

Cresce, esplode De Lie, che solo un anno fa si presentava raccontando della sua vita a Vaux-sur-Sûre, della fattoria e di come, la mattina prima del suo successo più importante tra gli Under 23, si alzò presto, come ogni giorno da quando era bambino, per mungere le vacche. Poi salì in macchina, raggiunse Grotenberge, preparò bici e vestiti e andò a vincere in volata la Omloop Het Nieuwsblad di categoria. Disse di aver sentito la fatica di quella levataccia, in gara. Almeno fu sincero.

Impressionante è la facilità con la quale in questi primi 13 mesi di professionismo De Lie abbia alzato le marce della competitività: passando dall’essere un ottimo prospetto a dare nemmeno troppi ambigui segni di predestinazione. È sicuramente presto (ma nemmeno troppo), pensare fin dove potrà abusare della pazienza dei suoi avversari, maltrattandoli su arrivi dove in passato hanno vinto o dominato, avendo pur sempre solo 20 anni.

L’idea di vederlo prima o poi (più prima che poi) scontrarsi con i più grandi del ciclismo di oggi, e su traguardi via via più prestigiosi, ci sta facendo venire l’acquolina in bocca.