Il viaggio di Noemi Giraudo, in bicicletta, verso l’oceano, ha a che vedere col tempo. Il tempo che sentiva di sprecare, che sentiva non appartenerle più. «Passavo le mie giornate chiusa in quattro mura a lavorare, guardavo il cielo fuori dalla finestra e non capivo cosa stessi facendo. Dopo tanto tempo ho lasciato un lavoro in cui non mi ritrovavo più, una decisione difficile, sofferta, sentivo il bisogno di andare via. Negli ultimi tempi facevo fatica anche ad alzare la cornetta del telefono per prendere un appuntamento». Quando ha scelto di caricare le sue borse su una bicicletta e partire verso Arcachon, verso le Dune du Pilat, si è chiesta da cosa stesse scappando. Non ha detto nulla a nessuno, tranne che ai familiari più stretti perché temeva di non arrivare; tutti sapevano che stava partendo, quasi nessuno che pensava all’oceano. «A ventisette anni non avevo mai trovato il tempo per vedere l’oceano e mi sembrava uno spreco. È stato bello sedersi alla scrivania e programmare questo viaggio. Mi è tornato in mente il primo viaggio in bicicletta che avevo fatto anni fa in Sardegna. Ero tornata piena di autostima e mi ero promessa che avrei fatto viaggi simili almeno una volta all’anno. Sono passati cinque anni e nessun viaggio. Fa riflettere».

Quattordici giorni, circa 1.100 chilometri, da Boves, in Piemonte, attraverso la Francia, da sola, con una tenda e diverse borse. Qualche timore solo la notte prima di partire, poi tutto è stato naturale. «Molti mi hanno fermato per strada e quando ho spiegato dove stavo andando mi hanno chiesto se non avessi paura, da sola, essendo donna. Mi sono arrabbiata più volte perché le donne hanno paura quanto gli uomini, sanno stare da sole e fare fatica. Io non avevo paura». Nemmeno il quarto giorno quando, vicino a Valence, il vento era così forte che la bicicletta non voleva proprio andare avanti. «Papà al telefono mi ha suggerito di prendere un treno e avvicinarmi così all’oceano. Non ci ho pensato nemmeno un minuto. Mi serviva quella fatica». La fatica, in questo viaggio in bicicletta, era leggera, non pesava. Nonostante l’autunno, gli abiti pesanti e il rischio di trovare brutto tempo, prima sulle Alpi e poi a plateau de l’Aubrac. Proprio qui, mentre la salita finisce e la strada spiana, Noemi vive uno dei momenti più belli: «Un’aquila ha volato per un attimo sopra la mia testa. In quel momento ho pensato a cosa sia la bicicletta. Questo mezzo che ti permette di viaggiare a piedi sollevati da terra».

L’oceano è la destinazione finale, ma Noemi non ci pensa molto durante il viaggio. «Volevo stare in quei luoghi e in quel tempo. Sono convinta che crescendo abbiamo perso la capacità di vivere ciò che ci accade. Ci proiettiamo avanti o indietro e non vediamo ciò che ci passa sotto il naso». Questo è un problema, anche se ciò che abbiamo davanti è noioso. In questo viaggio, la noia è arrivata nelle lande: 129 chilometri di rettilinei, tra i pini marittimi. Devi cercare un punto e focalizzarti su quello, altrimenti non pedali più.
Passano i campeggi, le tende e anche qualche casa. Warmshowers, un’applicazione attraverso cui viaggiatori mettono a disposizione la propria casa per altri viaggiatori, le fa conoscere una famiglia francese che la ospita una sera. «A cena a parlare dei loro viaggi, delle nostre lingue e di dove stessi andando. Ero a casa loro ma mi hanno fatto sentire a casa mia». Come quella serata trascorsa con ragazzi che stavano percorrendo la parte francese del cammino di Santiago, mentre fuori c’erano meno sei gradi e un tempo da lupi. «Ho scoperto Le Puy en Velay, ma soprattutto ho capito l’enorme potere che abbiamo nelle mani: far sentire qualcuno a casa, l’ospitalità».

E ancora i saluti «perché anche la vecchietta che sta chiudendo la porta di casa ti saluta quando ti vede» e le strade di campagna. «Avrò percorso due chilometri con un’auto alle mie spalle, una stradina strettissima dove era impossibile superarmi. Temevo mi suonasse il clacson. Invece no, ha atteso, senza fretta. La Francia è piena di ciclabili, le strade sono vissute in funzione della bicicletta, gli automobilisti mettono la freccia a destra per segnalare il ciclista».

Infine gli ultimi sessantacinque chilometri fatti tutti d’un fiato e l’uscita dalla foresta. «L’oceano appare all’ultimo e il vento oceanico è talmente forte da spingerti indietro». Noemi sale su quella duna, guarda l’acqua e telefona a sua madre. Quello che ha pensato davanti all’Oceano è difficile da raccontare perché, in fondo, appartiene solo a lei. Qualcosa da dire, però, c’è. Per esempio, dell’autostima che torna quando ti accorgi che andare via non vuol sempre dire scappare, vuol dire solo trovare un nuovo modo di vivere le cose. Quello che abbiamo il dovere di fare tutti quando la vita ci scappa dalle mani. «Potrei dire che un viaggio così lo consiglio a tutti. In realtà dico di pensarci perché ti mette alla prova, resti solo e rischi di stare peggio. A me la solitudine fa bene, non so ad altri. Quello che consiglio a tutti è di ritrovare il tempo per se stessi».