Carlotta Borello, BTC City Ljubljana Zhiraf Ambedo, sostiene che, spesso, il sacrificio sia inquadrato in maniera errata in quanto si tende a concepirlo come rinuncia, ma per un’atleta agonista quale è lei il sacrificio è solamente un ponte tra ciò che desidera e ciò che è disposta a fare per ottenerlo. Allora il sacrificio non è più rinuncia, ma scelta che contiene diversi ingredienti. Borello ritiene che racconti «una storia di amore, passione e dedizione, non un peso bensì una modalità per raggiungere la miglior versione dell’atleta che sono». Classe 2002, ammette che il suo inizio di stagione nel ciclocross, nel 2024, non se lo aspettava praticamente nessuno: ad aggiungere un ulteriore sprone il cambio di casacca e di preparatore atletico, alla ricerca di una crescita continua, gara dopo gara, per migliorare anche su percorsi più impegnativi. Un ruolino di marcia che, a ben vedere, mette in fila una serie notevole di primi posti tra cui la vittoria a Brugherio, una gara internazionale in cui era spesso arrivata vicino al podio, la più grande soddisfazione di sempre, a suo avviso. Nel fango si ispira a Fem van Empel e Puck Pieterse, sue coetanee che abbinano il talento nel cross a quello su strada, riuscendo anche, talvolta, a togliersi la soddisfazione di superare atlete maggiori di età ed esperienza. Per provare ad assomigliare ai suoi modelli, ha già posto un focus su quel che vorrebbe cambiare, sottolineato da un predicato verbale che ne mette in risalto la volontà: «Devo assolutamente migliorare ed essere più convinta nei tratti più difficili del percorso: penso al salto dei fossi, ad esempio, oppure ad affinare la tecnica nel fango, come nei percorsi meno nelle mie corde». Idee chiare, insomma. Se possibile rafforzate da alcune delusioni che non dimentica, su tutte il Campionato Italiano di ciclocross perso da junior secondo anno. Un’amarezza ancor più forte perché arrivata dopo aver conquistato buona parte delle gare stagionali, non riuscendo poi a ben figurare in uno degli appuntamenti più importanti dell’annata. Ma Carlotta Borello non fugge e guarda in faccia il valore della sconfitta: «Credo che le sconfitte ci offrano l’opportunità di restare umili, con i piedi per terra. Bisogna essere forti, perché fanno male: sono lezioni, nulla più. In veste di atleti siamo chiamati a trasformare il fallimento in motivazione per migliorare».
In questo modo, pochi giorni fa, dopo tanto desiderare, è riuscita a conquistare quella maglia tricolore al Campionato Italiano di cross che inseguiva da anni, dopo una gara vissuta da professionista, con l’accelerazione decisiva piazzata già al secondo giro. Nulla ha potuto fare Rebecca Gariboldi, pur impegnata in un bellissimo inseguimento, più lontana Letizia Borghesi.
La prima bicicletta di Carlotta Borello è stata una Colnago «vecchiotta» tutta in alluminio, «molto pesante, con il cambio al telaio», aveva dieci anni e suo fratello, più piccolo di due anni, aveva scelto di provare con il ciclismo. Pochi allenamenti e se ne era appassionato, finendo per parlare spesso di ciclismo alla sorella, sino a convincerla a provare. Carlotta praticava ginnastica artistica, fino ai dodici anni, anche conciliandola con le due ruote e andava a cavallo, cimentandosi nel salto ostacoli: «Dopo il diploma al liceo linguistico, mi sono iscritta a Scienze Motorie all’Università per conciliare al meglio lo studio con l’attività in sella. Ho fatto la scelta migliore che potessi fare, perché lo sport mi piace tutto e, dirò di più, provo molta soddisfazione nell’insegnare ai bambini in palestra. Tornerò anche a fare equitazione: il cavallo è un animale molto comunicativo che utilizza ogni parte del corpo per relazionarsi con noi umani». La bicicletta coincide ed ha sempre coinciso con l’unico momento della giornata in cui è possibile liberare la testa, una valvola di sfogo dallo studio e dagli esami universitari, tuttavia dopo il diploma è diventata qualcosa in più, come sono aumentate le ore da dedicarle. «Le mie caratteristiche su strada mi rendono una ciclista versatile e combattiva. Le salite non troppo lunghe esaltano la mia capacità di gestione dello sforzo, mentre nelle gare selettive posso sfruttare la mia resistenza e lucidità tattica per emergere nei momenti decisivi» Ha conquistato in questo modo la sua prima vittoria ad una gara da allieva secondo anno, vincendo la volata del gruppo, tuttavia residua in lei qualche attimo di paura del gruppo, soprattutto nei finali in volata quando il plotone procede compatto a tutta velocità e sta lavorando per cambiare approccio. Il ciclocross è arrivato dopo vari anni di ciclismo su strada, nella categoria allieve, una sfida «nuova, dinamica e tecnica, perfetta per mantenere alta la motivazione durante la stagione invernale» pur nelle difficoltà di un cambiamento che l’ha portata dal perfetto controllo della bicicletta su strada, alla gestione della stessa nel fango, nella sabbia oppure sull’erba.
«Ho dovuto imparare subito a scendere e salire dalla bici, a correre con la bici in spalla nei tratti più difficili e a guidare su terreni sterrati con una pressione degli pneumatici inferiore rispetto a quelle da strada. Un errore da evitare è farsi prendere dalla foga nelle partenze esplosive perché si rischia di andare in crisi troppo presto. Le gare vengono svolte su terreni e percorsi differenti: la tempistica nel ciclocross è di massimo sessanta minuti con un’intensità maggiore, ricca di sforzi più esplosivi e continui cambi di ritmo. Il ciclocross prevede anche momenti di discesa e risalita sul mezzo, ostacoli e percorsi molto tecnici e impegnativi, le condizioni atmosferiche sono più estreme: pioggia, neve e freddo». Parole decise e ben scandite, a definirne la determinazione, la principale qualità che si riconosce e che la porta a mettersi costantemente in discussione ed alla prova. Vuole vincere, questo è il suo imperativo e il Campionato Italiano ha riscattato quell’antica ferita. Non ha timore dei sogni grandi: «Ho ventidue anni, voglio arrivare a competere ai massimi livelli mondiali, vincere una competizione prestigiosa, un Campionato del Mondo, ed essere riconosciuta come una delle migliori atlete nella mia disciplina». Definisce Marianne Vos “donna multidisciplina” e proprio sulla multidisciplina si sofferma «perché è veramente importante, soprattutto in questi ultimi anni, in quanto variare l’attività ciclistica la rende molto più proficua e meno monotona». Da un paio d’anni, il fratello ha smesso di correre in bicicletta dedicandosi ad un altro sport, e Carlotta Borello è l’unica a portare avanti quella passione che in famiglia ha trovato applicazione proprio con i due figli: i genitori l’accompagnano spesso alle gare e i suoi amici sono altri atleti, che vivono la stessa quotidianità. Ha intrapreso la magistrale di Scienze delle attività motorie preventive ed adattate e, nel tempo, ha trovato la giusta ricetta per coniugare ciclismo e studio.
Continua ad insegnare ginnastica artistica, legge, legge molto ed il suo libro preferito è “Cose che nessuno sa” di Alessandro D’Avenia, forse quella frase sul timore come momento in cui si inizia davvero a familiarizzare con la vita la tocca particolarmente. In squadra è capace di motivare le compagne, di spronarle, è estroversa, ama parlare, raccontare e, scherzando, dice che in corsa è un grosso difetto perché rischia di deconcentrare e di distrarre. Attraverso il ciclismo ha compreso che i momenti no arrivano, esattamente come quelli positivi ed esattamente come questi vanno affrontati, aumentando la fatica, se necessario, e mettendo in strada il meglio che quel giorno o quel momento consentono. Questo è uno dei significati dell’essere ciclista.
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