Tre momenti per raccontare Jasper Philipsen. Tre storie che raccontano il passaggio del ragazzo di Ham, dieci chilometri a sud di Mol, Belgio, da contenitore pieno di speranze per le corse di un giorno, attirato dentro al mondo belga come erede della tradizione degli uomini da pavé, a contenuto fatto a potenza capace di scontrarsi con Jakobsen, Ewan, Groenewegen o van Aert per capire chi è il più rapido al mondo quando si tratta di bicicletta, e quando quella bicicletta viaggia su strada, e possibilmente si arriva in volata.
𝗟𝗮 𝗳𝗼𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗧𝗼𝗺 𝗕𝗼𝗼𝗻𝗲𝗻
C’è stato un momento in cui Philipsen era considerato a tutti gli effetti l’erede di Boonen. Ed era lo stesso Boonen che alimentava quest’idea, parlandone sui giornali e nei programmi televisivi, allenandosi con lui, raccontandolo sui social. Nello sport, la così detta legacy è qualcosa con cui prima o poi nella vita, in molti fra quelli dotati di talento, ci si devono scontrare. Ci sarà sempre un nuovo Jordan, un nuovo Maradona, un nuovo Merckx. Se nasci a Mol, come Jasper Philipsen nel 1998, come Tom Boonen diciotto anni prima, e metti in campo caratteristiche di quel tipo – veloce, adatto alle pietre, un classicomane in soldoni – non puoi che essere considerato colui che proseguirà la tradizione. Conserva a casa, Jasper Philipsen, una foto scattata nel 2006: lui e suo fratello con in mezzo Tom Boonen, che in quella foto ha in mano una bicchiere di birra bevuto a metà. I due giovani Philipsen indossano la maglia di campione del mondo, omaggio al loro idolo, e Jasper solo da poco aveva iniziato a pedalare. «Preferivo il calcio, ma non sopportavo di stare in panchina». Poi Boonen lo battezza: prevede per Philipsen un futuro da cacciatore di classiche. E noi con lui.
𝗣𝗿𝗶𝗺𝗮 𝘀𝗯𝗼𝗰𝗰𝗶𝗮, 𝗽𝗼𝗶 𝗹𝗲 𝗹𝗮𝗰𝗿𝗶𝗺𝗲 𝗮𝗹 𝗧𝗼𝘂𝗿
Il suo approccio con i professionisti non è stato del tutto puntuale come quello impostato sulla sveglia. Lo si pensava da subito vincente e per certi versi fu così. Volata in Australia al Tour Down Under, quinto giorno di gara della corsa per lui, in maglia UAE (voluto fortemente da Matxin che disse: «Philipsen è un predestinato per le corse di un giorno»), vince per declassamento di Caleb Ewan. Per vincere davvero bisogna invece aspettare un anno e sette mesi, per vincere ancora più seriamente altre sette settimane: eccolo che sboccia alla Vuelta, conquistando davanti ad Ackermann la quindicesima tappa. Sarà al Tour de France del 2021, però, che sembrò arrivare il suo momento. Sei “podi” di tappa, scritto così, con la consapevolezza che nel ciclismo il podio di tappa esiste solo per parlarne tra amici, per riempire le pagine o a fini statistici. Per un velocista contano solo due cose ed entrambe iniziano con la lettera v: velocità e vittoria. Quelle con la lettera p, piazzamento e podio, non devono far parte del loro vocabolario. Tre terzi e tre secondi posti di tappa e l’ultimo, il più pesante, sugli Champs-Élysées. E ci sono lacrime e quella foto che farà il giro del mondo: lui seduto sul marciapiede, consolato, ma inconsolabile, con un calice di champagne in mano che non riesce a mandare giù perché la gola e gonfia dal dolore per aver perso un’altra tappa, quella che lui sognava di vincere da ragazzino.
𝗟𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗰𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲
Saltiamo a piedi pari tutto quello che c’è stato dai Campi Elisi 2021, facendo finta che Jasper Philipsen sia cresciuto in maniera netta e conclamata conquistando, da agosto 2021 a giugno 2022, ben 10 corse, ma nonostante ciò ancora alla scoperta del suo mondo, alla ricerca di quella burrascosa pace che i velocisti ritrovano solo dopo aver tagliato un traguardo. E così arriva il Tour, pieno di storie e scorie, pieno di watt e velocità, pieno di prodezze e prodigi e lui ci si infila egregiamente, vincendo non una, ma due volte e prendendosi di potenza l’arrivo di Parigi, diciotto anni dopo Tom Boonen su quello stesso traguardo.
«Ho realizzato un sogno d’infanzia, il sogno di qualsiasi corridore. Non voglio parlare di rivincita rispetto alla passata stagione, ma vincere qui mi rimarrà per sempre e quel contrasto fa la differenza: un anno fa piangevo a fine tappa, oggi sono il più felice del mondo». A Parigi, Philipsen si beve un calice di champagne a Parigi per Philipsen si è chiuso un cerchio.