«Sentivo il fuoco dentro, non mi era mai successo. Non così, almeno. Quando mancavano trentadue chilometri all’arrivo, sono scattata e per la prima volta in tante gare, ho pensato: “Io vado, ci rivediamo a Roubaix. Ci rivediamo al velodromo”. Non so cosa mi sia accaduto». Durante l’ultima sera sulle pendici del Teide, si finisce a parlare di Parigi-Roubaix ed Elisa Longo Borghini è davvero una delle persone più adatte per parlarne, lei che, l’anno scorso, ha vinto la seconda edizione nella storia della Roubaix femminile. Il sole, intanto, sta calando fuori dall’albergo e Longo Borghini confessa che, a casa, dei cieli di queste sere in alta montagna sentirà la mancanza. Ci dice che non crede molto a quella cosa della malinconia della sera, non ci ha mai creduto e, anzi, di fronte alla sera, ha sempre pensato al giorno dopo, alla possibilità di progettare. Ma quella volta, a Roubaix, non c’erano progetti nell’aria. Anzi, a Roubaix, Elisa Longo Borghini non avrebbe neppure voluto andarci.

Dopo l’inverno, era ormai diverso tempo che la tormentava una sinusite che rendeva tutto più difficile: in gara e fuori gara. Ad un certo punto, stanca, aveva detto a tutti che avrebbe staccato per un periodo dalle corse, che sarebbe tornata in primavera inoltrata, guardando all’estate, intanto avrebbe pensato a curarsi e a risolvere definitivamente il problema: «Dico spesso che, in quei momenti, ho fatto “la matta”, ma proprio non volevo correre». Sono trascorsi molti giorni e la convinzione è sempre stata la stessa: non era il momento giusto per partecipare alle gare. Fino a una telefonata di Luca Guercilena, direttore generale di Trek-Segafredo. Una telefonata che la spiazza.

«Elisa, il tuo programma lo stabilisco io. Sarà una stagione intensa: a settembre c’è il mondiale, a luglio il Tour de France e, poco prima, il Giro d’Italia. Non possiamo permetterci di farci trovare impreparati. All’Amstel Gold Race non partecipi, alla Parigi Roubaix, invece, devi andare. Senza pressioni, ma il numero sulla schiena, quel giorno, dovrai attaccarlo». Immaginate un telefono: da una parte queste parole, dall’altra Longo Borghini che non dice no, ma resta dubbiosa. Di lì a poco telefona al suo compagno, a Jacopo Mosca, racconta la telefonata avuta con Guercilena e aggiunge «dovrò fare la Roubaix, ma non mi sento pronta. Non so come andrà». Mosca l’ascolta e risponde con poche parole: «Segui l’istinto e, se ne hai voglia, fai “la matta” verso Roubaix». Ancora silenzio.

Tutto riprende proprio il giorno della Parigi Roubaix, il 16 aprile 2022. Per spiegare quanto tutto fosse inaspettato, Longo Borghini parla della pressione prima delle gare e del modo in cui, grazie a Elisabetta Borgia, psicologa clinica e dello sport, abbia imparato a gestirla in vari modi: dalle tecniche di respirazione alla visualizzazione del luogo sicuro. La sera prima della Roubaix, però, c’è tranquillità. Ciò che accadrà non è nemmeno nei pensieri.
Poi lo scatto e l’arrivederci a Roubaix. «Sentivo le persone gridare, sentivo tutti scandire il mio nome e, se da un lato mi faceva piacere, dall’altro mi imbarazzava. Sì, stavo vincendo la Parigi Roubaix, ma ero sempre Elisa da Ornavasso. Lo sono ancora. Ho pedalato e ho vinto, ho pedalato più forte delle altre, però non sono e non sarò mai abituata a quell’attenzione. Forse non la merito neppure». Giro di pedali dopo giro di pedali, il velodromo si avvicina e lei vorrebbe fosse sempre più vicino, vorrebbe che la Roubaix fosse già finita, vorrebbe essere sdraiata a terra, a piangere, a ridere. Lo vorrebbe soprattutto per incontrare lo staff della squadra: «Penso, ad esempio, alle nostre massaggiatrici. Loro i massaggi ce li fanno ogni giorno. La Roubaix c’è una volta all’anno, quante volte può capitarti di vincerla? Loro ci sono anche se non la vinci, anche quando sei così delusa che fatichi a parlare. In quelle occasioni penso che dovremmo dirci più spesso che, alla fine, si tratta solo di una gara di biciclette, che, comunque vada, non stiamo salvando il mondo».

Torna proprio in quel velodromo un telefono, un cellulare. È Paolo Barbieri, addetto stampa di Trek Segafredo, a fare il numero di Jacopo Mosca e a passare il cellulare ad Elisa: «Hai visto? Hai fatto la matta e ce l’hai fatta. Ce l’abbiamo fatta un’altra volta». Sebbene Longo Borghini non riveda spesso le gare a cui partecipa, la Roubaix l’ha rivista e le è sembrato strano: «Ho notato che si ha più paura quando ci si riguarda, anche una sbandata sembra più difficile da gestire. In parte mi sono anche vergognata. Sì, avevo terra ovunque e questo potevo anche immaginarlo. Non pensavo, tuttavia, di averla anche fra i denti. Avevo anche i denti pieni di terra». Tra le telefonate, anche quella con i suoi genitori: «Così porti a casa un altro bel pezzo di marmo. Non ti pare che ne abbiamo già abbastanza?». E giù a ridere perché i suoi genitori sono marmisti.
In realtà, quella pietra di Roubaix è ancora a casa dei genitori, custodita attentamente. Ad un certo punto, racconta Elisa, quel trofeo è entrato anche a far parte del presepe: «Sono le stranezze di casa Longo Borghini, rappresentava una piccola montagna». In tutto questo c’è la fatica, della Roubaix e del ciclismo in generale. C’è il dolore ai muscoli che la fatica porta, una sensazione «che accetti il giorno in cui decidi di diventare ciclista. Sai che, da quel momento, non ti lascerà più. Diventa parte di te, qualcosa che conosci alla perfezione. Diverso è il dolore delle cadute, quello fa paura. Una paura che è necessario continuare ad affiancare al coraggio per fare il mestiere del ciclista».

La caduta più brutta per Longo Borghini risale al 2013, al campionato nazionale, in discesa, contro un guard rail, con una ferita molto profonda all’addome, a sfiorare il peritoneo. Da quel giorno ha una certezza: «Dicono che il dolore si dimentichi, che la mente lo cancelli, in qualche modo. Non è così, per me, almeno, non è certamente così. Ho ben chiaro quel dolore lancinante del guard rail sull’addome e, solo a ripensarci, mi sembra di risentirlo. Non a caso, anche quando sono arrivata al Teide, ho guardato i guard rail da queste parti. Mi capita spesso. Si va oltre il dolore causato dalle cadute. Non si dimentica quasi mai».

Poche altre parole e si torna in camera a preparare i bagagli. Oggi si riparte, verso casa.