Josip Rumac, Androni Giocattoli-Sidermec, è tornato a casa in questi giorni, ad Opatija, in Croazia, vicino a Rijeka, per noi Fiume. Ormai erano più di due mesi che era lontano dalla sua città, tra ritiri, corse e allenamenti. «Stamattina, dopo l’allenamento, ho preso la macchina e ho guidato verso la casa di mia madre. Sono tornato a sera e mi sono stupito ancora una volta vedendo il monte Učka dietro casa mia. Per noi è una specie di protettore della città e, ogni volta che viene scalato al Giro di Croazia, essere lì davanti vuol dire molto». In realtà, Rumac ha un legame particolarmente stretto con la sua terra. «Giro il mondo e ti assicuro che non vorrei fare altro, ma ogni volta che torno qui e rivedo questi viali, lunghi, ampi, affacciati sul mare ed il riflesso del monte nell’acqua, mi dico che nessun posto è come questo».
Da ragazzo quelle acque le ha anche solcate perché, prima di essere ciclista, Rumac andava in barca a vela. Racconta che gli piaceva e che anche oggi farebbe volentieri un giro in barca, anche se la sua idea è sempre stata un’altra. «Io ho sempre voluto diventare un ciclista professionista, anche nel periodo in cui giocavo a pallavolo. Sembra strano anche a me perché la Croazia non è una nazione particolarmente legata al ciclismo. Da noi ci sono tanti amatori, pochi professionisti. Le bellezze naturali hanno permesso di sviluppare il cicloturismo che è un modo di pensare alla bici bellissimo ma diverso». Così Josip, all’uscita da scuola, prendeva la sua bicicletta, montava in sella, e andava, prima nel cortile e poi lungo il mare. Fino a quando è arrivato il tempo delle gare, la prima vittoria a nove anni, in mountain bike.
«Se c’è una costante nel mio carattere è proprio il fatto di provare sempre, ogni cosa. Sin da bambino ero così. Se decidevo di fare qualcosa, mi ci mettevo ed insistevo fino a che non ci riuscivo. Personalmente credo molto nel fatto che si impari più dagli errori che dai successi. I successi fanno piacere, ma gli errori insegnano. Così ogni volta in cui sbagli puoi ritentare e ritentare meglio. Alla fine, noi impariamo dai tentativi». La bicicletta è il mezzo ideale per imparare perché consente a Rumac di apprendere nella tranquillità. «Quando pedalo sono sereno e motivato, così ho modo di reagire alle difficoltà. Ognuno di noi trova motivazione in qualcosa di diverso, io la trovo nella possibilità di continuare a fare ciò che avrei sempre voluto fare. Mi dico che è sempre stato il mio sogno e che devo reagire. Da quando ho finito le scuole, il ciclismo è sempre stato il mio lavoro. Questo è il mio orgoglio». In Androni, poi, c’è qualcosa in più. «Ognuno di noi sa che le cose si fanno assieme, che si cresce o si cambia assieme. Per un atleta è molto importante non sentirsi solo nelle difficoltà, è un aspetto che può fare la differenza».
Sotto la voce “grinta”, nel vocabolario di Josip Rumac, ci sono due nomi: l’ex ciclocrossista francese Julien Absalon ed il “pistolero” Alberto Contador perché «non conta solo vincere, ma anche il modo in cui vinci e le loro vittorie si fanno ricordare». Lui vorrebbe farsi ricordare alla Strade Bianche e alla Milano-Sanremo. La corsa dei suoi sogni, però, resta il Giro d’Italia, la gara a cui ha sempre pensato quando pensava al ciclismo ed a cui ha partecipato per la prima volta lo scorso anno. Sotto la voce bellezza, invece, l’Italia, un paese che sta iniziando a conoscere. «L’Italia è incredibile. Puoi capitare ovunque, in una grande città o in un piccolo borgo dimenticato, e stai certo che troverai qualcosa di bello, qualcosa in grado di sorprenderti. A me è sempre successo così».
Foto: Luigi Sestili