La Sanremo è passata e così tutti gli strascichi, le idee e le analisi attorno a lei. Una corsa che è cortocircuito perché è sia fine che inizio. Si è discusso molto, nelle ore successive, su chi abbia fatto bene cosa, su chi abbia fatto bene quando e i suoi contrari. Se l’UAE Team Emirates si è comportata in maniera coerente e dignitosa (dal punto di vista sportivo) oppure no sulla Cipressa, ma i diretti interessati hanno spiegato più o meno tutto. Si è parlato di Pogačar e dei limiti tattici che ha ancora (e sempre li avrà?) e di come spesso la sua straripante superiorità lo porti a vincere semplicemente le corse un po’ più dure del normale. Perché è il più forte. E se il ciclismo fosse una partita a scacchi e di nervi troverebbe forse qualcuno più forte di lui, sostiene qualcuno e se io avessi due ruote e due pedali sarei un uomo bicicletta. Ne sono convinto.
Siamo ai limiti estremi, perché stiamo facendo le pulci a uno dei corridori più forti, completi e vincenti della storia del ciclismo. Per Pogačar rimarrà un tabù la Sanremo, come altri grandi corridori prima di lui? Forse, pazienza, perché i suoi avversari, anzi, il suo Avversario finché vorrà sarà lì a sbarrargli la strada. Ma magari non diventerà un’ossessione come per altri – viene in mente Sagan – anche se l’altro giorno a fine corsa aveva una faccia…
Si è parlato dell’istinto killer di van der Poel, uno che fino a qualche stagione fa straripava (anche lui) fisicamente ma commetteva tragici sbagli sportivi, tatticamente. Appena il suo cervello da cane da caccia (sì, è un complimento) ha assorbito le nozioni necessarie a dividere gli sbagli dalle verità, ha imparato a gestire a suo piacimento e vincere.
Su Ganna c’è poco, ancora, da aggiungere. Adesso arrivano nuove belle corse dove dovrà sfidare gli altri: con questa gambe e queste intenzioni ci divertiremo. Il numero uno in Italia per distacco. Si è parlato, poi, di acme e di come la Sanremo sia una corsa spettacolare: sarebbe meglio dire come lo siano questi corridori più che la corsa in sé che ci ha mostrato decenni di poco e niente alimentati nel finale soltanto dall’importanza della posta in palio.
Non c’è nessuna paura del vuoto perché questa è la settimana che porta definitivamente alle corse del pavé più note in quel crescendo che solo questo periodo ci sa regalare: Harelbeke oggi (per chi legge venerdì 27 marzo), Gent-Wevelgem domenica, poi Dwaars door Vlaanderen, Ronde e infine Roubaix. A Fiandre e Roubaix vedremo la sfida lanciata da Pogačar a van der Poel (e van Aert? che van Aert sarà? tanti dubbi… sembra una pecorella smarrita). Ci ritroveremo qui fra qualche giorno a tirare le somme.
Chiudo con l’uomo copertina, anzi il ragazzo. Il rocket man inglese che in un paio di stagioni è passato da ottimo e completo corridore tra gli juniores a bastonatore di corridori navigati tra i professionisti e su diversi terreni. Nel prologo della stagione vince due gare .2, ma fino a lì tutto ok, mostra la sua classe davanti ai coetanei. Poi arriva primo al Gp Denain, corsa da bucanieri, dove è attento sulle pietre (della Roubaix e simil Roubaix), è lesto a beccare l’azione giusta lontano dal traguardo giustiziando corridori di spessore.
Il numero di maggior prestigio, però, gli riesce nella prima tappa del Catalunya. Giornata fredda in cui si staccano velocisti e scalatori. Lui resiste davanti anche in salita e sempre nelle prime posizioni. Poi nel finale, mentre Tibor Del Grosso (arriveremo a parlare a breve anche di lui) sfiora il colpaccio partendo in discesa in maniche corte, nonostante il freddo e la pioggia, Brennan rimonta senza mai farsi nemmeno affiancare da un certo Kaden Groves che finisce secondo. Prima vittoria nel WT a 19 anni e poco più. Più avanti scopriremo i limiti di un corridore in queste settimane paragonato a tre fra i più grandi cacciatori di classiche degli ultimi dieci anni: Sagan, van Aert e van der Poel. Scegliete voi, a me inizia a sembrare sempre più, semplicemente a Matthew Brennan, il razzo inglese.