Comunque vadano le cose tra oggi e domani, il Giro fra poco più di ventiquattro ore sarà terminato. Spiace perché, alla fine, al Giro vanno tutti appena se ne presenta l’occasione, perché nel Giro si ritrovano tutti pur non conoscendosi e magari non condividendo nulla fino all’istante prima. Forse intendeva questo chi disse che ad una corsa ciclistica puoi anche andare da solo, ma, in fondo, non sarai comunque solo.
Noi, però, oggi vogliamo parlarvi delle persone a cui forse spiace di più. Vogliamo parlarvene perché ieri, a Scopello, osservavamo spensierati il fatto che tre settimane siano passate in fretta, quando un signore, guardandoci, ci ha detto: «Forse voi non vi rendete conto di cosa significa tutto questo. Forse non capite quanto sia importante per molte persone». Effettivamente non abbiamo capito subito quello che intendeva, ma sono bastate poche parole perché tutto fosse chiaro. «A me il Giro ha sempre fatto questo effetto, mi ha sempre fatto dimenticare tutto ciò che non andava. Forse devo sottopormi ad un’operazione, nulla di particolarmente grave, ma pensarci è inevitabile. Fino ad adesso ho avuto la certezza che per qualche ora al pomeriggio ho potuto far finta di niente. Da lunedì non più. Quando me lo hanno detto, ho pensato: “Vedremo dopo il Giro!”. Ora che il Giro è passato dovrò pensarci seriamente. Non potrò nemmeno più dire: “Lasciami finire di vedere la tappa e poi ne parliamo”. Sì, forse non avete la percezione di quanto sia importante per tante persone».
Chissà, forse davvero non lo avevamo capito, oppure, semplicemente non lo avevamo mai visto così chiaramente perché nessuno ce lo aveva parato davanti agli occhi con tanta lucidità. Ma, in effetti, è proprio così. Il Giro, per molti, è solo l’occasione buona per dimenticare qualcosa, per non pensarci per qualche istante o semplicemente per una boccata d’aria fresca. Già, perché poi gli esempi sono tanti e tutti diversi, ma in queste tre settimane di storie così ne abbiamo incrociate molte.
Pietro Algeri, giusto qualche giorno fa, ci diceva che la cosa che più lo sorprende, anche dopo quaranta Giri d’Italia resta la pazienza della gente che aspetta ore per vedere qualche secondo. E quell’attesa, ci ha spiegato Algeri, è, in realtà, la cosa che più piace del ciclismo perché non possono essere solo quei dieci secondi a rendere felici tante persone, deve essere quello stato di euforia che le butta giù dal letto di prima mattina il giorno in cui passa il Giro, anche se mancano ancora ore e potrebbero continuare a riposare. Lo fanno perché stanno aspettando qualcosa che arriverà e questo le rende così serene da essere in grado di lasciare da parte i problemi fino a che quella scia non sia passata.
Perché sai che il tuo bar, dopo tanti mesi di chiusura, tornerà a essere come una volta, come quando «di lavoro se ne aveva anche troppo».
Perché l’infermiera dell’ospedale ti ha accompagnato in sala dove tutti stanno guardando la corsa ed a te è sembrato di essere ancora a casa. Perché col passare degli anni tutte le case si svuotano un poco e bastano quelle voci in televisione per tornare a immaginarle piene, con i bambini che giocano nel prato. Perché maggio è sempre stato così, sin da quando andavi a scuola e rimandavi lo studio della storia o della geografia al termine della tappa e poi finivi a studiare di notte.
Sono loro le persone a cui pensiamo stamani, quelle che temono la fine del Giro perché non gli è rimasto più nulla da aspettare. Perché aver qualcosa da aspettare può davvero aiutarti. Che sia un’altra tappa o un altro Giro.

Foto: Luigi Sestili