Il futuro del ciclismo, spesso, passa da queste terre, la Lunigiana, spesso è proprio da questa corsa, il Giro della Lunigiana, da cui puoi trarre interessanti conclusioni su cosa aspettarti dal ciclismo a venire, quali corridori cercare in gruppo, su chi puntare. Hanno messo la bandierina sulla corsa a tappe ligure, arrivata nel 2023 alla sua quarantasettesima edizione, corridori che poi una volta “passati di là”, come si dice in gergo, anche se non è la migliore delle espressioni, ma si fa capire, hanno lasciato il segno. Vi facciamo qualche nome: tra i vincitori del “Lunigiana” troviamo ben sei vincitori di (almeno) un Giro d’Italia dei grandi: Franco Chioccioli, Gilberto Simoni (quest’ultimo è l’unico corridore ad aver conquistato Lunigiana, Giro Under, Val d’Aosta e Giro d’Italia), Danilo Di Luca, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali, Tao Geoghegan Hart; qui al Lunigiana quattro delle ultime sette edizioni le hanno vinte corridori come Pogačar, Evenepoel, Lenny Martinez e Morgado… scusate se è poco.
Dello spirito di questa corsa, della sua importanza nel calendario giovanile, ma anche o soprattutto nel dettaglio di come si è sviluppata questa ultima e spettacolare edizione, abbiamo parlato con Valerio Bianco, ufficio stampa del Giro della Lunigiana dal 2019.
Raccontaci un po’ questo Lunigiana, Valerio, qual è la forza di una corsa che da anni è un riferimento anche a livello internazionale per la categoria juniores.
La forza principale è il confronto tra selezioni internazionali, con le nazionali e tutte le selezioni regionali italiane. Normalmente è prima del Mondiale, quest’anno prima dei campionati europei, e quindi spesso è un banco di prova tra i migliori corridori della categoria, tra le varie squadre che dovranno scegliere i capitani. Tra le squadre italiane c’è tanta competizione: vengono portati i migliori corridori e quindi il livello è alto. Il Lunigiana, poi, è una vetrina importante anche in chiave futura per quelli che vogliono continuare a correre. Rispetto al primo anno in cui l’ho fatto è cresciuta proprio la qualità della corsa, il modo di interpretarla tatticamente. Il primo anno per esempio ricordo attacchi e contrattacchi fratricidi: ricordo la Germania che perse il Giro con Brenner perché fu attaccato dai compagni di nazionale, mentre ora trovi squadre che corrono già compatte, corridori già pronti, la Francia da questo punto di vista è stata impressionante, come la Norvegia. Il livello è stato davvero alto. E poi c’è una bella atmosfera, sono dei giorni intensi, ma che valgono la pena di essere vissuti.
Potresti indicarci i maggiori aspetti positivi di questa corsa, soprattutto a livello organizzativo.
Il primo grande successo è aver portato per il secondo anno di fila la corsa a Portofino. La Portofino-Chiavari ha significato per la corsa sconfinare nel Tigullio: vuol dire che c’è grande interesse anche al di fuori delle zone normalmente battute. Lo scorso anno per esempio siamo partiti da Portofino, sì, ma poi siamo tornati subito in Lunigiana e invece quest’anno abbiamo fatto un’intera tappa “all’estero”. Il secondo successo: nonostante un’organizzazione fatta perlopiù da volontari, non è facile, siamo riusciti a fare ben due tappe per il Giro della Lunigiana femminile. Lo scorso anno era una soltanto e ora abbiamo raddoppiato e speriamo che nei prossimi anni si possa aumentare ancora.
Qual è stata la risposta del pubblico sulle strade.
Ottima cornice di pubblico sin dalla vigilia a Lerici quando abbiamo aperto con un dibattito sul ciclismo giovanile al quale erano presenti Bugno, Podenzana, Fondriest. Martedì e mercoledì, poi, nonostante il tempo fosse brutto, c’era tanta gente e alcuni arrivi come Bolano, soprattutto, erano scenograficamente davvero belli, intensi, perché pieni di gente, ma in generale ottima risposta in ogni tappa.
Voi fate un lavoro a livello di comunicazione soprattutto sui social, a livello di una corsa World Tour, quale riscontri avuto avuto con i media?
Sui social abbiamo avuto tante visualizzazioni, abbiamo avuto buoni ascolti nella differita andata in onda sulla Rai, eravamo fissi sui giornali della zona, Tirreno, La Nazione, Il Secolo XIX, articoli pure su L’Eco di Bergamo e in Emilia Romagna e hanno parlato di noi tanti siti internazionali, in Polonia i siti specializzati erano sul pezzo, DirectVelo in Francia, hanno parlato della corsa in Belgio, su Ciclismo Internacional in Colombia nonostante la Colombia non avesse una squadra di grande livello.
Parliamo della corsa: iniziando da un disegno del tracciato selettivo.
Quest’anno abbiamo tolto la tappa di volata disegnando solo tappe adatte alla selezione, anche perché poi queste sono strade che si sposano con percorsi del genere, mossi, vallonati. E poi anche perché visti i comuni interessati era più semplice avere un percorso che esaltasse le qualità di un altro tipo di corridori. Però c’è anche da dire che pure gli anni scorsi, a parte una tappa, il tracciato è sempre stato su questa falsariga. 4 tappe mosse o dure e 1 volata, quest’anno cinque selettive.
Che corsa è stata?
Incerta fino alla fine: i primi tre giorni è cambiato tre volte il leader della classifica, spesso per vicissitudini legate a cadute, mentre negli ultimi due anni Martinez e Morgado, favoriti alla vigilia, si sono imposti praticamente sin dall’avvio, indirizzando la corsa sui loro binari. Invece quest’anno la Portofino-Chiavari, con il suo attacco all’inizio da parte di quasi tutti i nomi più importanti e le squadre più forti, ha cambiato gli equilibri, ed è un peccato non ci fosse la diretta, perché è stata una tappa bellissima.
Quella dove Widar si è staccato nelle discesa del Portello…
Esatto. Sin dall’inizio ci sono stati attacchi, sin dalla prima salita dove è andato via un gruppetto con Mottes, Finn, Guszczurny, Ingegbritsen, e altri, e su di loro è rientrato Bisiaux (il vincitore finale NdA) da solo con un’azione importante. Poi in discesa è rientrato Nordhagen, anche lui da solo, perché Widar che era con lui si è staccato. Una giornata ricca di storie di corsa: tattiche quasi da professionisti con Norvegia e Francia coperte con la fuga, Widar in difficoltà perché con Francia e Norvegia ben rappresentate davanti si è dovuto muovere in prima persona.
E poi il giorno dopo si è decisa la corsa.
Con la caduta di Nordhagen. Io ho parlato con Mottes e Finn riguardo alla caduta ma non è molto chiara la dinamica perché era una discesa molto semplice e forse ha toccato la ruota di un corridore che gli era davanti.
Veniamo ai ragazzi, tu eri a stretto contatto con loro e allora vogliamo capire un po’ intanto chi è il vincitore, uno dei corridori più attesi di tutta la stagione su strada, lui che è stato dominatore della categoria jr nel CX: chi è Leo Bisiaux, corridore di cui sicuramente avremo modo di parlare negli anni perché questo è un grande talento, in una Francia che ne sforna per ogni classe, questo sembra avere qualcosa in più.
La Francia ha corso compatta al suo fianco. Era il capitano designato e così hanno corso, a parte nella prima semitappa dove erano tutti per Grysel. Hanno corso come squadra di club, nelle prime fasi di corsa Fabrie a fare il ritmo, e nel finale a muoversi solitamente Decomble (che ha vinto una tappa e ha chiuso 8° in classifica generale Nda) e Sanchez (9°). Bisiaux è stato da subito uno dei più attivi: a Bolano, seconda semitappa, ha attaccato per primo rimbalzando nel finale e perdendo qualche secondo nel finale. È un corridore secondo me molto più adatto alle salite lunghe che a quelle brevi, si è visto anche sul Portello: lui è rientrato da solo sui sedici corridori davanti.
Poi quest’anno è stato fermo per un po’ per problemi di salute e aveva fatto del Lunigiana il suo grande obiettivo della seconda parte di stagione. Ma se dovessimo paragonarlo a un corridore che già conosciamo tra i professionisti?
Il cittì della Francia mi ha detto che come caratteristiche gli ricorda molto Lenny Martinez. Io lo trovo anche uno molto bravo nel leggere la corsa e anche altruista: nella tappa vinta da Decomble, nonostante fosse in lizza per la maglia di leader, ha attaccato anticipando nel finale e quando è stato ripreso da Nordhagen è partito Decomble che ha vinto.
Parliamo degli altri due big: Jorgen Nordhagen e Jarno Widar. Quest’ultimo corridore per il quale stravedo, in passato il suo allenatore lo ha paragonato – esagerando sia chiaro – a una via di mezzo tra Paolo Bettini e Lucien Van Impe, in effetti per certi versi al Grillo assomiglia davvero anche fisicamente. Poi ha una faccia incredibile, che a me fa impazzire.
Sono praticamente già due professionisti. Nordhagen corre già con la bici della Jumbo, casco con livrea Jumbo, sembra fatto con lo stampino a immagine e somiglianza di Staune-Mittet, i due si conoscono bene, oltretutto, provengono dalla stessa zona, hanno fatto sci di fondo (sci di fondo che Nordhagen ancora pratica ad alto livello e che per il momento in accordo con il suo team – la Jumbo Visma con la quale ha firmato fino al 2027 – continuerà a praticare NdA). Ha avuto sfortuna perché una caduta ha precluso la possibilità di vincere la maglia verde (quella del leader della classifica generale NdA): è stato molto continuo sin dalle prime due semitappe dove ha ottenuto due piazzamenti alle spalle di Widar. In questi giorni scherzavamo sul fatto che la Norvegia non vincesse una tappa da quarant’anni e alla fine su cinque tappe hanno fatto 4 secondi posti.
E di Widar che mi dici?
Si è lamentato molto per la discesa il secondo giorno, ma la strada era perfetta e non ci sono state cadute.
Mi piace sempre di più, un corridore polemico è quello di cui abbiamo bisogno. E poi ha vinto le prime due semitappe dominando nettamente, la seconda con uno scatto bruciante, potentissimo, suo marchio di fabbrica.
Se vedi anche nella sintesi se la prende a un certo punto con il cameraman che lo riprendeva invece di stare sul gruppo davanti. Lui a me ricorda Cian Uijtdebroeks, come si muove, come corre, sembra quasi un po’ gobbo. Nella seconda delle due semitappe, vinte entrambe da lui, è stato devastante. Dopo l’arrivo erano tutti mezzi morti e lui sembrava che ne avesse ancora e ha vinto con distacco. Nel Belgio segnalerei anche Donie che è andato molto forte.
Veniamo all’Italia, iniziando da uno dei più attesi, Lorenzo Finn, che arrivava da un periodo molto brillante e si è dimostrato al livello di alcuni fra i corridori più interessanti in assoluto della categoria, alcuni di loro già secondo anno tra gli juniores e che passeranno con squadre Devo del WT e un futuro praticamente assicurato per diversi anni. Bel corridore…
Gran bel prospetto. Io l’ho conosciuto quando aveva 14 anni ad Adelboden che avevamo fatto un ritiro con la Corratec, lui doveva venire a correre con gli allievi della Ballerini. È un ragazzo che ha una calma incredibile, molto posato e tranquillo.
Tranquillità che poi in bici si trasforma in agonismo.
Ha corso con grande coraggio: sia nella seconda che nella terza tappa è stato lui ad accendere la miccia. Mentre ha pagato un po’ di secondi (alla fine chiuderà il Lunigiana al 2° posto a 12” da Bisiaux NdA) nelle prime due semitappe secondo me a causa del posizionamento in gruppo nell’approccio al finale di tappa. Ed era il corridore più giovane in gara: è nato a dicembre del 2006.
Un mese ed era ancora allievo.
Sì, è un corridore veramente, veramente interessante. Oltretutto la Liguria, per la quale correva Finn, non andava sul podio da quasi vent’anni – e questa corsa non l’ha mai vinta. E hanno anche perso Privitera, uno dei pezzi da novanta della squadra.
Se da Finn ci aspettavamo un buon Lunigiana, Mottes è stata la grande sorpresa. 3° sul podio, vincitore di tappa…
Veniva da un buon periodo e infatti lo avevo evidenziato fra quelli da seguire, ma nessuno si aspettava andasse così forte e ha preso anche il premio della combattività oltre ad aver una bellissima volata a Terre di Luni grazie alla quale ha conquistato la tappa. Ovviamente è un corridore tutto da scoprire e da formare, ma mi sembra uno da salite brevi più che da salite lunghe, ha spunto veloce, è uno esplosivo, può diventare corridore da Ardenne, se proprio vogliamo sbilanciarci. Aggiungo anche che la sua squadra, Trento, ha corso molto bene, una delle più attive e compatte.
Simone Gualdi, invece?
C’era attesa su di lui, è il campione italiano, lo scorso anno è stato il miglior italiano in classifica e anche il miglior giovane in assoluto, però è arrivato al Lunigiana purtroppo dopo una brutta caduta rimediata qualche giorno prima e questo ha condizionato la sua corsa. E dopo essere rimasto tagliato fuori dall’azione che ha disegnato la classifica finale, era anche demoralizzato.
Bisiaux ha vinto la corsa di pochi secondi, qual è stato il momento chiave che ha deciso questo Lunigiana?
Il tratto di salita tra Caprile e Portello ha indirizzato la corsa, ma i momenti chiave sono state le due discese: nella seconda tappa, quella del Portello dove Widar non è riuscito a seguire i nove che poi hanno fatto la differenza in classifica generale, e poi nella terza tappa quando è caduto Nordhagen.
Parlando di ciclismo giovanile italiano, senza nulla togliere ovviamente ai ragazzi passati di categoria negli ultimi anni, la mia impressione è che il biennio 2005, 2006 sia davvero molto valido. Secondo te da cosa è dovuto? Il caso, come spesso accade, di avere annate buone e meno buone, è cambiato qualcosa nella preparazione dei ragazzi, sempre di più vengono seguiti da preparatori anche di spicco, la presenza influente di un certo Dino Salvoldi come CT, un cambio radicale di mentalità, c’è dell’altro? Che idea ti sei fatto?
Mi sembra che tutto venga fatto in maniera molto meno, passami il termine, artigianale, alla bell’e meglio, come si faceva prima. Ora vengono seguiti maggiormente anche nei pre gara: sembrano ormai degli under 23 più che degli juniores. Poi è notevole la presenza di preparatori e procuratori, gli staff in ogni squadra è aumentato: questa categoria ormai è diventata quasi quella di passaggio al professionismo. Li vedo maturi e formati come fossero under 23.
Ultima domanda. Visto che segui molto da vicino il ciclismo giovanile. È una domanda a cui, ammetto, è difficile trovare una risposta, una domanda a cui io non so mai rispondere. Spesso ci ritroviamo, non dico a dominare, ma a ottenere risultati di peso tra juniores e under 23, ci esaltiamo per i talenti che poi una volta passati fanno fatica, spesso prendendole, passami il termine, da corridori che magari venivano regolarmente battuti nelle categorie giovanili. Perché?
Qualcuno è stato sicuramente sfortunato, Baroncini, Battistella, Tiberi. Io non vorrei fare il discorso che fanno tutti che manca una World Tour italiana, ma sostengo l’importanza di una squadra che dia la chance a questi corridori di correre in prima persona. Aleotti, quando ha avuto la possibilità, ha corso il Sibiu da capitano e l‘ha vinto. Green Project sta facendo un ottimo lavoro con i suoi ragazzi e i risultati si iniziano a vedere, vedi Zana prima e ora Pellizzari che hanno la possibilità di giocarsi le proprie carte. Invece spesso questi ragazzi forti, passano in squadre straniere che hanno grande profondità di rosa e gli tocca fare da gregario e qualcuno magari si siede sugli allori. Mentre in una squadra in cui puoi e devi giocarti le tue carte hai delle responsabilità diverse e cambia la mentalità. Io sono curioso di vedere per esempio Busatto che in una squadra come la Intermarché avrà il suo spazio, però se passi in UAE o Ineos o Jumbo è difficile avere la possibilità di provare a giocarti le tue chance in prima persona. Prendi Tiberi: va in Bahrain, ma alla Vuelta ha Buitrago, Caruso, Landa, Poels ed è difficile imporsi. E poi ci sono pochi soldi nelle professional italiane: non è facile nemmeno riuscire a prendere il corridore di talento, ma devi sgrezzarlo.
Per chi volesse passare un’intera e interessante ora con le immagini salienti del lunigiana, questo è il link giusto:
Foto: Michele Bertoloni per gentile concessione del Giro della Lunigiana
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