Sofia Bertizzolo non ha peli sulla lingua, lo sanno tutti, e, quando parla, quando risponde alle domande, va dritta al punto, anche se la realtà è cruda e fa male. Accade, per esempio, quando, ad inizio telefonata le chiediamo cosa trattenga del 2024, quali consapevolezze e quali certezze: «Che anche i muscoli si possono rompere e non basta stare fermi finché non si sistemano perché, lo dico, non si riparano. Questo, basta. Ero a pezzi quando ho ricevuto la diagnosi: l’osso si era rotto, ma il discorso muscolare è sempre più complesso. Non ho mai avuto una data sotto mano: dopo i quindici giorni di tutore, nessuno si esponeva perché non poteva esporsi. Un continuo aspettare e posticipare, uno stop completo chiedendosi se e quando si riprenderà. Alla fine, sono tornata in sella e ad ogni salita dovevo salire in macchina perché non potevo fare alcuno sforzo. Solo far girare le gambe. È stato un anno negativo, punto e basta». L’atleta ventisettenne di Bassano del Grappa, dal 2022 in maglia UAE Adq, si riferisce ai postumi della brutta caduta che l’ha coinvolta il 16 maggio del 2024, assieme ad Elisa Balsamo, nel finale della seconda frazione della Vuelta a Burgos. «Sia chiaro, non mi piango addosso e non lo farò mai, ci sono mali ben peggiori nella vita, però vorrei tornare indietro di 365 giorni e sentire nello stomaco la sensazione che avevo in Australia, ad inizio stagione, e quella sensazione può dartela solo il risultato. Sono partita dalla stessa terra, il 17 gennaio, cercando di riportare i miei pensieri a quello stato mentale». Bertizzolo fa una pausa, poi riprende, approfondendo il discorso.
«Sono un corridore vecchio stampo. Dire che “vincere aiuta a vincere” sembra una banalità, eppure è esattamente così. Il corpo e la mente si fidano molto più delle sensazioni che dei dati che oggi compulsiamo tutti freneticamente. Un risultato restituisce ad un atleta una consapevolezza che nessun numero può dare. Se arriva il risultato pieno, il giorno dopo hai qualcosa in più, nel corpo e nella mente, e puoi anche metterla a disposizione delle compagne di squadra, per aiutarle: è tutto più facile. Prendete lo sprint che è, per eccellenza, un insieme di vari componenti eppure, spesso, quando si vince il giorno prima, si vince anche il giorno seguente. Qualcosa vorrà pur dire, no? Ma ripeto: sono vecchia come mentalità, il ciclismo sta andando altrove». L’amarezza trova presto una spiegazione in un inciso disarmante: «Mi sento morire dentro quando vedo atlete che non “si conoscono”. Non serve un allenatore per capire se il carico è troppo intenso, il tuo fisico te lo dice». Bertizzolo torna indietro negli anni, ai suoi inizi, ora che, dice lei stessa, «non sono anziana, ma nemmeno così giovane»: ha vissuto il momento del passaggio dalle sensazioni al potenziometro, da quando la forma si capiva ripetendo più volte la stessa salita e confrontando le varie scalate, a quando erano i numeri a raccontare lo stato del fisico. «Sì, sono infastidita e vivo con pesantezza questa situazione perché non si capisce quanto sia importante riconoscere i sintomi della fatica sul proprio corpo. Mi pare distruttivo questo approccio. Tuttavia ormai so che è un ciclo: anni fa si parlava di “low carb” e dieta chetogenica. Ora siamo tornati al punto di partenza: succede sempre così e questo mi conferma che era corretto il primo approccio, che nulla dice più di come un ciclista si sente».
La ferita maggiore, probabilmente, l’impossibilità di essere presente all’Olimpiade a Parigi, opportunità che, afferma Bertizzolo, prima dell’infortunio era molto alta. Dice che sarebbe stato il coronamento di un percorso e non sa se ricapiterà perché l’Olimpiade, nel ciclismo, si disputa ogni quattro anni ma, per ogni singolo atleta, può passare anche più di quel tempo, considerando problematiche personali e differenti tipologie di tracciato, non sempre adatte alle caratteristiche tecniche di ogni ciclista: «La gara olimpica non è una gara di spicco nel ciclismo: abbiamo sessanta corridori in corsa e una gara ciclistica non è così, ha molti più ciclisti e diverse tattiche. Una classica o un Campionato del Mondo hanno ben altro rilievo, però l’Olimpiade è l’evento sportivo più importante al mondo, multidisciplinare, in cui sono coinvolti tutti gli sport. Ricordo l’atmosfera ai Giochi del Mediterraneo, già molto bella, pensate a cosa possono essere i Giochi Olimpici. Peccato». Sofia Bertizzolo è appassionata di ginnastica artistica, una disciplina rigida, elegante, e si è emozionata vedendo i risultati delle azzurre, ma c’è qualcosa in più se pensa alle Olimpiadi, qualcosa che lei stessa ammette «non ti racconterò del tutto, perché è una cosa a cui sono affezionata e voglio custodirla, tenerla per me». Noi siamo d’accordo, in fondo, è anche più bello così. «In occasione della Festa della Polizia, sono passata dalla mia cameretta per recuperare l’abbigliamento per andare a Roma. Per caso, ho trovato una foto di Valentina Vezzali, distesa a terra ad un’Olimpiade, dopo una stoccata vincente e al momento non ci ho fatto neppure molto caso, se non per chiedermi il motivo per cui fosse lì. Bene, alla Festa della Polizia c’era anche lei ed ha tenuto un discorso: ho capito ascoltandola perché l’avessi scelta e perché quella foto era rimasta lì. Avevo scelto bene, avevo avuto ragione».
Sofia Bertizzolo è una ciclista professionista ed è questa parola a pesare più di tutto il resto quando parla del suo ciclismo che, a marzo, avrà per la prima volta la Milano-Sanremo femminile: «Oggi siamo atlete professioniste, facciamo questo e altro non possiamo fare. Siamo retribuite per correre in bicicletta e corriamo per noi stesse e anche per il pubblico che viene a vederci, per i bambini che aspettano di osservare la magia della maglia iridata o della maglia gialla. Noi possiamo continuare a lavorare per migliorarci e per migliorare il nostro ambiente. Una volta non era così, non esisteva nemmeno il ruolo della gregaria e, se non eccellevi in nessun terreno, ti toccava andare a lavare i piatti la sera per mantenerti e non sto esagerando». Pensa alla gente ed ai tifosi al Monte Grappa al Giro d’Italia e chiosa: «Siamo sempre bravi a criticare il Giro ed esaltare il Tour, dovremmo lodare i nostri tifosi, era uno spettacolo». Dall’infortunio si è rialzata soprattutto grazie al sostegno della squadra, alla pazienza e a quella carta bianca lasciata proprio nel momento più difficile, che le ha permesso di lavorare con tranquillità ed era l’unica possibilità: l’agonismo è rimasto intatto, come la fame di vincere che riesce a coesistere con il desiderio di aiutare le compagne, pur tenendo strette le possibilità di fare bene, ogni qualvolta se ne presenti l’opportunità. «L’anno scorso abbiamo lavorato molto bene come squadra, ma, forse, non abbiamo mai avuto la possibilità di brillare fino in fondo, cogliendo il risultato pieno, talvolta a causa di individualità che ci hanno superato, altre perché in gara può succedere di tutto e altre ancora perché, a mio avviso, avevamo magari tre buone idee tuttavia, al momento della concretizzazione, non riuscivamo a portarne a termine alcuna». Alla partenza di Chiara Consonni, spiega Bertizzolo, si è fatto fronte con due velociste molto forti e un buon lavoro sul lead out, in squadra, inoltre, è arrivata Elisa Longo Borghini, il vero colpo del ciclomercato.
«Con Elisa ho lavorato già in nazionale e con le Fiamme Oro: mi piace dire che è un capitano facile da gestire, perché sa quello che vuole. Una pedina forte come Elisa alleggerisce la squadra, anche se l’impegno dovrà essere importante per accompagnarla verso la finalizzazione che vorrà dare al nostro lavoro. Il focus sarà chiaro e questo semplifica di molto le cose». Se si parla di ciò che c’è da cambiare nel ciclismo, Sofia Bertizzolo pensa al tema sicurezza: «Si parla molto e giustamente della sicurezza sulle nostre strade. Parliamone sempre di più e agiamo di conseguenza. Io, però, vorrei portare l’attenzione sulla sicurezza in gara, dove si tende ad andare sempre più veloce. Chiediamo e abbiamo chiesto più volte di ridurre le difficoltà del percorso, non dal punto di vista di altimetrie, ma con riguardo a dossi, rientranze, muretti e all’attenzione che ogni vettura in corsa deve prestare, perché se cadiamo, cadiamo a sessanta all’ora». Precisa, dritta al punto, schietta, l’avevamo detto: Sofia Bertizzolo è così.
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