Qualche tempo fa, Mads Pedersen spiegò: «Quando ero ragazzo conoscevo solo un modo di correre: mettermi davanti, fare selezione e poi battere tutti in volata». Non erano nemmeno tantissimi anni fa quando Pedersen correva in quel modo, perché, pur essendo professionista da qualche stagione, sembra abbia ancora margini da scoprire e confini poco marcati rispetto a tanti della sua generazione di corridori, o forse sarà quel titolo mondiale vinto quando doveva ancora compiere 24 anni – il più giovane dai tempi di Freire – che ci ha lasciato di lui un’impronta di eterno ragazzo.
Da junior, era il 2013, vinse la Paris-Roubaix: è vero, nulla a che vedere con quella dei grandi – basta vedere il terzo posto di Geoghegan Hart- , ma fa capire quanta tempra e quali desideri si manifestino nella mente del corridore nato 26 anni fa a Tølløse, Danimarca.
Mostrò da subito la stoffa del duro da corse dure. Più una gara ti macerava dentro e più lui spiccava. Non sono un caso quei pochi giorni nel 2018 tra Dwars door Vlaanderen e la successiva Ronde. Alla Dwars arrivò quinto, giornata ghiacciata, giornata di pioggia, chiuse stremato in fondo al gruppetto che vide la vittoria di Lampaert non senza aver provato a mettersi davanti nel finale “per fare la selezione e battere tutti in volata”.
Al Giro delle Fiandre fu secondo alle spalle di Terpstra che tutto solo si involava verso Oudenaarde. Pedersen andò in fuga da lontano per fungere d’appoggio ai suoi capitani, Degenkolb e Stuyven, ma, sorpresa delle sorprese, staccò i suoi compagni d’avventura e fu l’ultimo a resistere a un irresistibile Terpstra. «Il Fiandre è una corsa di sopravvivenza – disse a fine gara – e non importa come ti chiami o quanto forte tu sia».
Lo dimenticammo. Per un po’. Un anno e mezzo dopo Mads Pedersen divenne famoso, pure in Italia e ci giuriamo anche a casa Trentin, per la vittoria nel Mondiale di Harrogate. Una corsa durissima, di quelle che piacciono a lui. Bagnata, di quelle che lui adora, con un gruppetto che (quasi) congelato arrivò a giocarsi la maglia iridata dopo aver lasciato per strada il grande favorito del giorno, Mathieu van der Poel che, sei anni prima, nel Mondiale categoria juniores disputato a Firenze, arrivò primo proprio davanti al danese.
Lo conoscemmo bene ad Harrogate. Lo approfondimmo. Ci fece un po’ arrabbiare, per partigianeria – sfidiamo chiunque a sostenere di non aver provato tantissima amarezza quel giorno – , ma lo perdonammo. Per quel suo viso pacioccone che ispira simpatia, per quel suo modo discreto di apparire – come ieri – fortissimo, o scomparire – come spesso nel 2021 – mesto, appesantito e in fondo al gruppo.
Vestito con la maglia iridata fece un po’ di fatica, lui che, spunto veloce, quasi velocissimo, vinse una spettacolare edizione della Gand-Wevelgem nel 2020, la vittoria più importante conquistata da campione mondiale in carica.
Ieri, mentre il gruppo si lanciava a tutta verso il traguardo di Dun-le-Palestel, alla Parigi-Nizza, Pedersen, che lo puoi riconoscere facilmente dalle bandine iridate sui bordi della sua divisa, è partito lungo per il suo sprint battendo un gruppo che ancora portava le cicatrici dei ventagli del giorno precedente.
Partito lungo, con quel miscuglio di potenza e sfrontatezza che spesso ci chiediamo come mai spicchi solo a intermittenza, come la luce difettosa in una sala. «È stata una giornata abbastanza buona, oggi». Semplici parole, mentre le gote rosse pulsavano e a malapena riusciva a nascondere l’entusiasmo.
Ha aggiunto che salterà la Milano-Sanremo perché quella è la corsa di Stuyven, capitano, suo capitano, vincitore uscente della Classicissima e ieri artefice in buona parte della vittoria del compagno danese con una trenata che fa suonare un campanello d’allarme nella testa degli avversari che vorranno provare a vincere la grande classica ligure.
Pedersen, invece, una giornata ancora migliore la cercherà nella corsa dei suoi sogni, la Roubaix, quella per uomini duri come lui. «Se dovesse piovere alla Roubaix? Sarebbe meglio per gli spettatori, sarebbe meglio per i giornalisti, sarebbe meglio anche per me». Raccontava, quando ancora la stagione doveva aprire i battenti.