Articolo e foto di Federico Guido
“Eccola qui la tua Roubaix”. Spesso, quando approccio una delle tante vie in pavé sparse per Milano, mi viene in mente questa frase che mio padre pronunciò, andando a memoria, quando avevo 13 anni. Quella volta, una soleggiata giornata di fine maggio, insieme decidemmo di prendere le bici per andare ad ammirare il colorato gruppo del Giro d’Italia che arrivava a Milano. Con la mia maglia ciclamino indosso e la mia Specialized rosso e argento percorsi al suo fianco gli ampi vialoni che da casa conducono in centro città finché non arrivammo in Corso Magenta, decumano della città noto per ospitare la sede del Cenacolo Vinciano e l’omonimo frequentatissimo bar.
Ai tempi, la via non era ancora stata oggetto dei tanti lavori di manutenzione che l’hanno portata ad avere l’aspetto attuale ma presentava un’omogenea copertura in masselli di pietra, quelli che ancora oggi a tratti si possono notare ai lati delle rotaie del tram. Nella fantasia di un tredicenne appassionato, percorrere quel duro mosaico marrone sulla propria esile bicicletta da corsa poteva davvero assumere i contorni di una volata sulla foresta di Arenberg, scenario che, puntualmente, mio padre con la sua esclamazione riuscì a farmi figurare davanti agli occhi. Le sue parole scatenarono immediatamente il mio spirito d’emulazione e, in breve, iniziai a pigiare forte sui pedali immaginando di essere il Tom Boonen o il Fabian Cancellara della situazione.
Quell’espressione ebbe fin da subito così tanta presa su di me che anche al ritorno, appena la mia ruota toccò i primi metri del Corso, cominciai a mulinare a tutta. Lì però la foga e l’inesperienza ebbero la meglio sulla lucidità e quasi all’altezza del Teatro Litta finii lungo per terra. In un istante, senza quasi il tempo di rendermene conto, persi il controllo della bici e saggiai quanto dure fossero le pietre di quella strada, ma per fortuna non mi feci granché. Più tardi, capii che anch’io, come altri prima di me, avevo avuto il battesimo del pavé milanese, forse il nemico più insidioso per i ciclisti meneghini nella triade completata da buche e rotaie.
Coi tre, negli anni, ho avuto modo di approfondire il rapporto, diventando più esperto e apprendendo le giuste nozioni per provare a neutralizzarli. Il processo, ovviamente, ha richiesto tempo e diverse centinaia di chilometri percorsi durante i quali, come sono cambiato io, è cambiata anche la città attorno a me. Anche il pavé in un certo senso, finito nelle mani di operai e a volte addirittura sostituito dall’asfalto, ha cambiato volto. La frase di mio padre invece, quella frase pronunciata in quella piacevole giornata di fine maggio, è rimasta dov’era, ancorata solidamente in un angolo della memoria e pronta a riaffiorare alla prima vibrazione prodotta dall’incedere della mia bici sulle pietre.
Ancora oggi mi capita spesso, specialmente laddove i sobbalzi in sella sono più violenti, di sentirla risuonare nei meandri della mia testa e di alzare l’andatura facendo di via Ausonio il mio Carrefour de l’Arbre, di via Mazzini il mio Mons-en-Pévèle e di Corso di Porta Romana il mio personale Camphin-en-Pévèle. Proprio come se fosse un incantesimo, al riecheggiare di quelle parole il contesto della Roubaix riesce per magia a prendere forma sotto i miei tubolari, stuzzicando la mia fantasia e facendomi immaginare come possa essere (e che tragitto possa avere) un eventuale Inferno del Nord “alla milanese”.
Anche se questo rimarrà un semplice sogno, nella realtà a ben vedere non mancano le assonanze e i punti in comune tra quello che ad aprile i corridori professionisti fronteggiano in Francia e ciò che i ciclisti milanesi, con le debite proporzioni, affrontano tutti i giorni lungo le strade della città. Senza fare uno sforzo eccessivo, si può riconoscere con facilità come entrambi abbiano a che fare con lastricati imperfetti, superfici insidiose, punti critici e, addirittura, la presenza o meno di (apprezzati) cordoli lato strada. Questi elementi contribuiscono tutti assieme, nel caso della Roubaix, a classificare i vari settori in base al loro grado di difficoltà, una pratica in cui, magari inconsciamente, anche qualcuno che ha solcato a lungo le vie in pavé di Milano si è cimentato.
Proprio con l’idea di stilare una classifica delle strade in lastricato più ostiche del capoluogo lombardo e avvicinare così la città che ha partorito il Giro d’Italia a quella sita nella regione dell’Hauts-de-France, nei mesi scorsi abbiamo provato a ripercorrere, a mo’ di ricognizione, tutti i tratti in masselli e sampietrini presenti all’interno di quello che, una volta, era il percorso delle mura spagnole di Milano.
La zona delimitata nasconde la stragrande maggioranza delle strade in pavé della città del Manzoni, un luogo dove i problemi creati dal lastricato oggi sono proporzionali tanto ai dibattiti suscitati tra i cittadini quanto al fascino conferito da esso a diversi angoli della metropoli. Il pavé, infatti, ha accompagnato l’evolversi di Milano nell’ultimo secolo diventandone sotto molti aspetti un elemento rappresentativo, un immobile serpente dalle squame di porfido che ha visto scorrere eventi e cambiamenti e che, se seguito nella sua interezza, sa ancora regalare una panoramica completa sulla varie anime di una città in costante movimento.
Al nostro passo (e con un occhio sempre rivolto alla strada), tra un’annotazione e l’altra, abbiamo provato ad apprezzarle tutte scoprendo o riscoprendo strade poco battute e, soprattutto, tratti più o meno sconnessi che, dopo aver valutato lo stato d’indolenzimento delle nostre braccia, ci hanno portato a stilare la graduatoria che potete leggere tra poco. Tale suddivisione, volendo restare assolutamente soggettiva, si presta ovviamente ad essere rigirata a piacimento e a divenire, si spera, spunto per possibili dialoghi e confronti costruttivi su un tema sempre attuale come quello delle condizioni delle strade milanesi.
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Via Torino-Carrobbio-Via Cesare Correnti (1000m): Settore tra i peggiori e più pericolosi della città. Alla difficoltà data dalla lunghezza si aggiungono quelle di un traffico piuttosto sostenuto e di un cordolo non praticabile. Obbligatorio, se si vuole stare in strada, percorrere la schiena d’asino al centro delle rotaie. Al Carrobbio, c’è la possibilità di tornare sulle corsie esterne ma per poco visto che, anche in via Correnti, si è costretti al centro dove il pavé procura qualche sobbalzo in più rispetto a quello di Via Torino.
Via Santa Margherita-Piazza Duomo-Via Mazzini-Corso Italia (1500m): Si parte con un pavé semplice e scorrevole passando da Piazza Duomo. Entrando in via Mazzini la musica cambia visto che si ripresentano due leggere schiene d’asino. Il cordolo affianco alle rotaie è per funamboli, la via più sicura è quella tra le rotaie dove ci si può risparmiare la difficoltà di dribblare spuntoni di pietre molto acuminati. Verso Piazza Missouri la strada si allarga e il pavé si ricompatta. In Corso Italia si ripresenta la situazione vista in via Mazzini ma il pavé è tenuto un filo meglio e consente (anche grazie alla leggera discesa fino a Piazza Sant’Eufemia) un’andatura spedita. Finale leggermente in salita e un pelo più scomodo quello che conduce allo “scollinamento” di via Santa Sofia. Da lì si prosegue in leggera discesa ma la sensazione di scomodità, anche a causa dei metri già percorsi, resta. Sempre nella corsia centrale, a zone irregolari, capita di fare qualche sobbalzo più importante degli altri. In corrispondenza di via Burgozzo una striscia laterale in asfalto consente di mettere fine a questo settore decisamente lungo.
Corso di Porta Romana (1400m): Tratto infinito. Dopo pochi metri da Piazza Missori, tolto l’impiccio delle rotaie, inizia un pavé che sostanzialmente è uguale per quasi l’intero settore e vede la presenza di lastre larghe, compatte ma per nulla levigate. A tutto ciò si aggiunge, nella parte iniziale, una leggera pendenza fino ad incrociare via Sforza, scollinata la quale lo spazio sulle corsie esterne consente di pedalare abbastanza tranquilli. A Crocetta si attraversano nuovamente le rotaie e da qui inizia l’ultima sezione, decisamente complicata. Finché si può stare sulle corsie esterne, la marcia, seppur con qualche sussulto, procede di buon passo. Con la comparsa dei parcheggi laterali (in corrispondenza della scuola Bertarelli-Ferraris) e il restringimento delle corsie esterne è obbligatorio passare al centro dove le cose sono terrificanti. A tratti si compiono dei veri e propri voli che ti spezzano le gambe. Negli ultimi (o nei primi, in senso inverso) 200-300 metri la carreggiata si allarga nuovamente e si può riprendere la corsia laterale.
Altri: Via Meravigli, Via San Giovanni sul Muro, Piazza Resistenza Partigiana-Corso Genova.
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Via dell’Orso-Via Monte di Pietà (600m): Settore a senso unico diviso in due dall’incrocio con via Verdi. Nel primo pezzo non c’è scampo: la vicinanza dei parcheggi obbliga a preferire la corsia centrale tra le rotaie dove il pavé è tutto sommato in discrete condizioni. Tutto cambia dopo via Verdi: la strada si allarga, le rotaie scompaiono ma il pavé diventa molto più sconnesso e i sobbalzi si susseguono con continuità. Il settore termina (per fortuna) all’incrocio con via Chiesa Rossa.
Via Manzoni-Via Santa Margherita (950m): Cardo del centro di Milano dove il pavé non lascia respiro. L’inizio è accettabile, poi verso l’Hotel Armani le condizioni peggiorano con sobbalzi continui e pietre piuttosto sconnesse. Si continua così fino a Via Romagnosi, nei pressi della Scala, dove gli evidenti lavori di manutenzione rivelano un pavé più compatto fino all’incrocio con Via San Protaso. Lungo e sfiancante. Le rotaie almeno non infastidiscono particolarmente.
Via Ausonio (350m): Settore non troppo lungo ma terribilmente sconnesso. Da leggere continuamente. Nelle prime decine di metri sei costretto a giocare con le rotaie inutilizzate: sulla destra lo spazio non manca ma la presenza dei parcheggi consiglia una via più sicura a centro strada. Qui le imbarcate non si contano e la mal disposizione delle pietre (molto evidente) ti obbliga a cambiare continuamente traiettoria per evitare il peggio. All’incrocio con via Carroccio le rotaie lasciano tregua per qualche decina di metri (tornano in fondo) ma la marcia resta complicata.
Altri: Porta Ticinese-Carrobbio, Via San Vittore, Via San Maurilio, Via Cappuccio-Via Luini, Via Broletto.
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Piazza Repubblica-Via Turati-Piazza Cavour (650m): Tratto con masselli larghi, molto compatto e ben tenuto dove i sobbalzi sono minimi e la scorrevolezza è eccellente. Tre stelle perché mediamente lungo e perché il passaggio nei pressi di Radio 105 comporta l’attraversamento delle rotaie.
Corso di Porta Vigentina (450m): Tratto a lastre larghe piuttosto irregolari, specie vicino alla circonvallazione interna. In quel pezzo si affrontano balzi piuttosto accentuati, per il resto il settore è abbastanza scorrevole e in leggera salita verso Crocetta (al contrario dal lato opposto). Per chi non vuole cimentarsi nello zig-zag tra le rotaie è preferibile imboccare e tenere in entrambi i sensi di marcia la corsia centrale.
Altri: Corso Magenta (fino ad angolo Via Carducci), Via Vico-Olivetani, Via Olivetani- Via San Vittore, Moneta-Ambrosiana-Sepolcro-Bollo, Via Santa Marta, Foro Bonaparte, Via Mercato-Via Ponte Vetero, Via Cusani, Via San Marco ang. Castelfidardo-Via Solferino, Via Battisti-Largo Augusto, Via Lamarmora, Via Armorari-Via Spadari.
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Corso Magenta (fino a via San Giovanni sul Muro), Cordusio-Via Orefici, Piazza S. Ambrogio (lato questura)-Via S. Valeria, Via Circo-Via San Sisto, Piazza San Marco-Corso Garibaldi, Via De Amicis-Corso Genova, Via Carroccio, Via Cesare da Sesto, Via Castelfidardo-Via San Marco, Via Olmetto, Via Cordusio, Via Bocchetto.
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Piazza S. Ambrogio (lato case), Via Dante, Via Sacchi, Via Brera, Via San Protaso, Via Porrone, Via San Marco-immissione angolo Via Castelfidardo, Via Chiossetto, Via Corridoni, Via della Palla, Piazza Sant’Alessandro, Via Lupetta, Via Zebedia, Via delle Asole, Via Cardinal Federico, Via Valpetrosa, Via Fosse Ardeatine, Via del Bollo e Via dell’Ambrosiana, Via della Posta, Giro Piazza della Borsa, Via Santa Maria Fulcorina.
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