Quel bambino che correva di fianco alle transenne, nella zona dei pullman delle squadre al Giro, è come se fosse ancora lì. Lì nel senso rimasto conficcato in uno spazietto della nostra mente, altrimenti come minimo sarebbe scattata una denuncia nei confronti dei genitori. Ha le ciabatte ai piedi (faceva caldo, eh), cade e si rialza ma lui vuole solo van der Poel e infatti urla “Vanderpuuul”. Immaginatevelo inquadrato con una lunga carrellata.
Domenica, nella caratteristica Hulst, i bambini, questa volta olandesi e belgi, potranno fare più o meno la stessa cosa, magari con altre facce e altre cadenze. Magari non con le ciabatte ai piedi (altra denuncia in arrivo sennò) e visto il clima del nord pure con un piumino, una giacchina pesante, ma tuttavia loro saranno il contorno perché l’attesa è tutta per lui. E quindi ora la carrellata immaginatevela su van der Poel, magari con immagini risalenti al passato quasi remoto, perché, come ha detto lui: «A causa dei problemi della scorsa stagione, è come se fossi assente dal cross da due anni».
«Sto lavorando molto per risolvere i problemi alla schiena – racconta il classe ’95, nipote e figlio d’arte, in conferenza stampa a tre giorni dal suo rientro nel circuito del ciclocross – perché resta la parte che mi preoccupa di più dell’inverno. Ora sto bene, lo stesso non si poteva dire dello scorso anno», quando, a causa del famoso incidente ai Giochi Olimpici di Tokyo, arrivò in inverno fatto a metà e finendo per disputare solo un paio di gare di cross, senza nemmeno prendere il via al Mondiale. Sarà infatti quella stagione senza titoli che lo porterà domenica, per la prima volta dopo quasi otto anni, a correre non con la maglia di campione di qualcosa (nazionale, europeo, mondiale), ma con quella di club.
Di recente per il corridore olandese, un intoppo, una ripartenza. Quest’anno, dopo il Giro d’Italia, un Tour appena percettibile con il ritiro (in buono stile oltretutto, arrivato dopo aver tentato la fuga da lontano con van Aert) e la ricerca della causa, per cercare di capire il perché la condizione pareva non volesse arrivare più. «Forse l’inverno difficile, i problemi alla schiena, forse le fatiche di un primo Grande Giro concluso dopo una primavera di corse a tutta e l’aver fatto un lungo ritiro subito dopo la Corsa Rosa. Forse una combinazione di tutti questi fattori». Si è cercato il sintomo, non si è mai arrivati a una verità assoluta.
Domenica a Hulst, in Olanda, Coppa del Mondo, non cercherà risposte: traspare una certa sicurezza dal suo modo di essere e comunicare: «Ho fame, amo correre e amo il ciclocross. Punto al Mondiale, ma penso di avere la forma giusta per vincere: è vero che partirò molto dietro e a Hulst non è facile rimontare essendo un percorso piuttosto veloce, ma mi sento pronto. Avete visto Pidcock? Lui ha dimostrato alla seconda gara di essere già in grado di vincere e quando rientrerà van Aert lo farà vedere anche lui». Perché dovrebbe essere diverso per uno dei più grandi crossisti di tutti i tempi?
Ha già annunciato che (lacrimuccia), il prossimo anno farà il Tour e non il Giro, perché non si sente ancora adatto a correrne di nuovo due nella stessa stagione (anche perché con la spavalderia con cui affronta le gare, minimo fonderebbe il motore) e spera di ritornare sano e senza problemi come il van der Poel di qualche stagione fa (eheh, ti piacerebbe, ma il tempo purtroppo passa per tutti).
Domenica a Hulst, mathieu van der Poel ripartirà, si rialzerà, dovesse cadere, esattamente come quel bambino che urlava il suo nome correndo lungo le transenne. Anche noi urleremo il suo nome, comodamente da casa. Sperando di non cadere a nostra volta dal divano perché iniziamo ad avere acciacchi e una certa età, e forse non ci rialzeremmo così facilmente come quel bambino. Né come, si spera, farà van der Poel.