Difficile pensarlo oggi, ma c’è stato un momento in cui Samantha Arnaudo e la bicicletta avevano ben poco in comune. Nonostante la solarità, quando va a riprendere quegli attimi, nei ricordi, dalla voce di Arnaudo filtra ancora un poco di sofferenza, di quel senso di inadeguatezza che si prova cimentandosi in qualcosa che sentiamo non appartenerci o, per quanto, non appartenerci ancora. La frase principale è: «Non volevo più soffrire», lì, come una lama, con cui ci si taglia ancora oggi. Samantha Arnaudo suonava il violino e su quella bicicletta “l’aveva messa” il suo ragazzo: «Ogni strappo era una salita interminabile, dolore ai muscoli, quasi impossibilità di proseguire. Il peggio è che il malessere non iniziava lì. Faticavo persino a mettere le tacchette, cadevo, spesso in maniera assolutamente ingenua. Uscivo in bici solo nel fine settimana, ma era già troppo».

Le parole spaziano rapidamente fra i vari episodi, soffermandosi su quelli più significativi, i primi tentativi di scalare il Colle Fauniera, ad esempio. Quel giorno in cui, dopo vari tentativi, dal versante di Demonte, si fermò: «Basta, torno a casa. Sono stanca, non è possibile». E voleva veramente tornare indietro, rinunciare, lasciar perdere, poi chissà cosa accade nella mente, certe volte, quando si cambia idea, da un momento all’altro e si tramuta la rabbia ed il dolore in qualcosa di differente. Per Samantha Arnaudo è uno scatto: «Era pura rabbia, non c’era altro. Sono arrivata così e, per molto tempo, non ho più voluto percorrere quel versante». Fino a che, quando ci è tornata, tutto era più facile ed il segreto si annidava proprio in quei giorni in cui la fatica era maggiore.

«Mi sono detta che non volevo più stare così e per evitarlo c’era solo un modo: pedalare, allenarsi, abituarsi alla salita, alle montagne». Così, a sette anni di distanza da quei momenti, Samantha Arnaudo ha vinto la Gran Fondo Fausto Coppi, la Haute Route Alpes, la Maratona delle Dolomiti, la Haute Route Ventoux e molte altre corse. Così, come dicevamo, a sette anni di distanza pensare alle prime pedalate fa strano: «Dico spesso che il ciclismo mi ha resa più forte: a livello fisico, certo, ma soprattutto a livello mentale e su questo voglio soffermarmi. Pensiamo alla maggior parte dei dubbi e delle paure di tutti i giorni: perché ne soffriamo? Spesso perché ci sentiamo deboli e temiamo di non riuscire ad affrontare le difficoltà, se e quando si presenteranno. Attraverso il ciclismo, ho iniziato a sentire di avere le capacità per andare oltre. Questo cambia tutto, rende più coraggiosi, più consapevoli». Allora si può anche stare da soli, in alta montagna, dopo 240 chilometri, più di 5000 metri di dislivello, e pensare solo a spingere sui pedali, azzerando tutto il resto: questo è il bello della fatica in sella, secondo Samantha Arnaudo. «Se riesco ad andare più veloce, ci metto meno tempo e, se ci metto meno tempo, soffro meno. Il principio è lo stesso di quel primo scatto sul Fauniera. Dipende solo da te: può fare paura, nel mio caso è una tranquillità. Scelgo io cosa fare e come farlo».

Il tono si fa riflessivo e Arnaudo riprende a raccontare: «Sai che, talvolta, chi va piano, chi fa più fatica, è quasi visto come “sfigato” da chi va forte, io, per storia personale, mi rivedo negli ultimi. Alla prima Gran Fondo Fausto Coppi puntavo solo ad arrivare al traguardo, ma alla Madonna del Colletto volevo fermarmi, andarmene. Non l’ho fatto solo perché il mio ragazzo, che era lì, si sarebbe arrabbiato se non avessi continuato, ma volevo farlo, so cosa si prova. Non serve dire molto a chi fa più fatica, a chi sta iniziando, serve provare a fargli capire che può, che anche lui può. Serve dirgli che la sua fatica ha molto più valore di quella di tutti gli altri, perché non è ricompensata, non subito almeno. Perché si fa fatica solo per arrivare in fondo, senza altri desideri». Arrivare alla linea di partenza, essendo conosciuti, non è semplice: c’è controllo, tutti sanno che correrai per vincere e non vogliono lasciarti la ruota. Arnaudo ci pensa e ripensa alla Haute Route Alpes di agosto.

Quell’idea fissa: «Voglio staccare Janine Meyer. Devo staccarla». A bruciare c’era ancora il secondo posto all’Ötztaler Radmarathon di circa un mese prima: «Non tanto per la seconda posizione, quanto per quei venti minuti di distacco che mi sembravano troppi per come avevo affrontato la corsa». Anche in questo caso, è la possibilità di essere da sola, di andare all’attacco, come fosse una gara di un giorno, come l’arrivo fosse dietro l’angolo, la sua arma vincente, il suo segreto: «Piuttosto mi sfinisco, ma devo staccarla, devo vincere io». Sono queste le frasi nella sua testa, in salita, «l’unico luogo in cui faccio meno fatica degli altri». Talvolta pensando a Marco Pantani, un corridore che l’ha emozionata, ispirata in quello che fa. In salita stacca Meyer, in pianura può essere tranquilla: vince in questo modo, si gode il successo ma pensa già agli altri obiettivi, con voglia di costruire, di continuare. Si emoziona per la vittoria, si emoziona perché con lei c’è la sorella Susanna e basta l’inciso per dire tutto: «Bellissimo condividere tutto questo con una sorella». In famiglia, sono quattro sorelle: Stefania non è legata al mondo dello sport, ma segue le sue gare, la più piccola, invece, è ancora una bambina, Era in piazza a Cuneo, il giorno della Fausto Coppi, tra tantissima gente, alla gara di casa: «Ha un’emotività molto forte. Quando mi ha vista arrivare, è scoppiata in un pianto che non riesco a scordare».

Samantha Arnaudo che, forse, in sella non sarebbe nemmeno salita, e che da quella sella ha pensato più volte di scendere. Certamente in bicicletta ha trascorso tantissime ore ad allenarsi per soffrire un poco meno, per sentirsi a proprio agio, per riuscirci. Ci racconta che, soprattutto agli inizi, le capitava di restare a guardare atlete professioniste, ammirata. In particolare la colpiva Lizzie Deignan, il modo in cui pedalava, avrebbe voluto assomigliarle. Qualche tempo fa, il suo ragazzo le ha detto: «Ora le somigli». E lei è rimasta lì, senza molte parole, perché dopo anni, ora davvero si sente una ciclista.