Permetteteci di dirlo: Filippo Ganna, oggi, è stato semplicemente stupendo. Per quella bicicletta dorata, omaggio alla perfezione del mezzo che sfida il vento (ma “ghe voeren i garùn” come ricordava qualcuno) e per quella maglia iridata che ne scolpisce ogni centimetro di muscoli, ogni proiezione di forza, di potenza. Ancor di più: è stato commovente nella semplicità con cui ha risposto alle domande dei cronisti dopo il traguardo, un profumo di normalità che ben si mescola all’atmosfera di questa Sicilia agli albori dell’autunno, spazzata da un vento caldo che ricorda Luglio. Gianni Mura spiegava che il vento, e lui parlava di quello del Mont Ventoux, è come una mano che ti prende e ti sposta. Un consigliere del timore che sconsiglia azioni di fantasia e ti spinge indietro, di lato, obliquamente, persino a terra, se provi a non ascoltarlo. Quel vento traditore e multiforme che appare e scompare, ingrandendo e ridimensionando aspettative e progetti. Quello che fa sentire gli uomini tanto piccoli e impotenti, che ne quieta la tracotanza, come tutti i fenomeni atmosferici che sovrastano e dominano il mondo.

Gli atleti, almeno nelle prime fasi di gara, sono scostati dal vento, devono mettere nelle braccia altrettanta forza di quella che mettono nelle gambe, per reggere il mezzo. Per segnarne ed indirizzarne il tragitto. Il confine dell’impossibilità che si manifesta, quello dove l’uomo deve rallentare, riflettere e dare il massimo per non arrendersi. Accade nella vita, accade in sella. In certe circostanze, restare in sella è tutto ciò che sia possibile fare. Devi dare tutto ciò che vali, questo conta, poi le condizioni esterne avranno un impatto sulla tua prestazione, ma di quelle non devi farti carico, quelle sono da sopportare, da vivere. Siete capitati nello stesso istante, nello stesso luogo, o scappi o accetti la vertigine.

C’è poi qualcuno che quella vertigine può domarla. Che ha un dono, una dote per cui in quel timore di caduta vede una possibilità. Qualcuno che non nasce oggi, come non nasceva poco più di una settimana fa al Mondiale di Imola o qualche mese fa al Campionato italiano. Giusto per ricordarlo. Qualcuno che a quell’essere saldo, marmoreo, vettore di spazio e tempo, ha lavorato silenziosamente per anni. Sin da ragazzino, sì, perché i talenti puoi possederli ma devi crescerli, coltivarli, curarli. Proprio in segno di gratitudine, verso te stesso e verso la natura che ha scelto te: non era dovuto. Filippo Ganna ha fatto questo per tanti anni e continua a farlo, silenziosamente, con coscienza ed occhio critico. Prima di tutto verso la propria persona. E tutti sappiamo come questo sia merce rara in tempi di giudizi sparsi a pioggia, quasi se li portasse via il vento.

Filippo Ganna che percorre i 15.1 chilometri della cronometro inaugurale del Giro d’Italia numero 103 ad una media di 58.8 chilometri orari. Che percorre un chilometro in meno di un minuto, 51 secondi per la precisione. Che supera i 100 chilometri orari di velocità. Che è campione italiano e campione del mondo della specialità. Che è tanto altro, tutto da scoprire e da raccontare, magari con lo stesso stupore del suo viso di fronte ad ogni nuovo successo. Filippo Ganna, di Vignone, che oggi è maglia rosa, nel primo giorno del Giro. E non abbiamo ancora detto tutto.