SFIDA TOTALE

Ovvero completare i 59 muri iconici delle Fiandre in meno di 72 ore. Siete pronti?

FOTO Paolo Penni Martelli
TESTO Stefano Francescutti
STARRING Davide Caccia, Matteo Serone

È tardi, tardissimo. Non bastavano la fatica, i muri, il pavé e gli oltre 400 chilometri in sella, ora ci si mettono anche le lancette dell’orologio che sembrano andare il doppio. Questi belgi hanno degli orari folli per noi mediterranei: come è possibile che un bar e un museo chiudano alle 18? Dobbiamo correre, se arriviamo anche solo un minuto più tardi non riusciremo a recuperare il nostro premio. Siamo venuti fin qua per questo, abbiamo guidato per oltre 1.200 chilometri, ci siamo letteralmente demoliti in bici su e giù per le Fiandre e ora rischiamo di tornare a casa a mani vuote? Non esiste.

Giù un dente, anzi due e via a menare. Raramente ricordo di aver fatto così fatica ed essere così provato e lo sguardo dei miei compagni conferma esattamente questa mia sensazione. Mal comune mezzo gaudio, si dice. La stanchezza fa brutti scherzi, tanto che inizio anche a chiedermi se davvero verremo ripagati a dovere, se realmente entrare a far parte di una stretta cerchi di ciclisti ci farà dimenticare tutti i dolori che stiamo provando. Vesciche, mani indolenzite, irritazioni varie: ne varrà davvero la pena?
È tardi, tardissimo, giù un altro dente. Cambi regolari, siamo una squadra ora. Non c’è tempo da perdere.

Sarò passato almeno un anno da quando ho letto per la prima volta del Flandrien Challenge e mi era sembrato da subito una figata, ma ho deciso di custodire questo segreto senza svelarlo a nessuno, nemmeno in redazione. Ogni tanto andavo sul sito, me lo studiavo per bene e quando ho sentito che il momento era propizio, sono passato alla carica.
«I tizi di Cycling in Flanders hanno mappato 59 muri iconici, quelli dove passano il Giro delle Fiandre, la Gent-Wevelgem, la Omloop e le altre gare della settimana fiamminga. Hai 72 ore di tempo per percorrerli tutti: se ce la fai, ti premiano e, come dicono loro, potrai definirti a true flandrien. Ho già pensato al team, Nerone (il nostro furgone, nda) è pronto: facciamo la classica macchinata e andiamo. Che ne dici?»
Sapevo che non ci sarebbe stata altra risposta che il classico affare fatto! tanto caro al nostro editore.

Metti insieme tre amici, dagli le chiavi di un furgone e un viaggio da dodici ore, ed è subito gita del liceo. Non importa quanti capelli bianchi tu abbia, in un attimo l’età mentale si attesta tra i 14 e i 18 anni, quando non c’erano responsabilità e la tua unica preoccupazione era avere in tasca cinquemila lire per la benzina dello scooter. E così via di cazzate, risate fino alle lacrime, sacchetti di patatine sparsi in ogni dove con briciole incastrate dappertutto, rumori osceni provenienti da ogni parte del corpo e un tormentone da pronunciare in ogni circostanza, che non ci abbandonerà mai più: eh amigo, i campioni sono così!

 

Il discorso è abbastanza semplice: bisogna pedalare su 59 settori in 72 ore complessive, ovvero in tre giorni. Il giudice che certifica il challenge è Strava, ogni muro è tracciato come segmento e anche segnalato con la vernice sull’asfalto, all’inizio e alla fine, una cosa che gasa in modo esagerato. Puoi farli in qualunque ordine e seguendo qualunque filo logico, se non vuoi impazzire ci sono già tre percorsi creati ad hoc scaricabili tranquillamente dal sito. Ti viene consigliata anche la sequenza, ma ognuno è libero di cambiarla: invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Facciamo la nostra scelta davanti a un paio di pinte di Stella Artois ed è già ora di andare a dormire. Domani si inizia.

Dormire ad Oudenaarde è praticamente un must. Trentamila abitanti, arrivo del Giro delle Fiandre, luogo da dove partono e arrivano due dei tre percorsi ma soprattutto sede del Centrum Ronde van Vlaanderen: il luogo culto per ogni ciclista. C’è il museo, il Peloton cafè dove sono d’obbligo il caffè prima della partenza e la birra a fine pedalata, un negozio di gadget da cui è impossibile uscire a mani vuote, attrezzi vari per la manutenzione della bici e anche le docce, in caso ci si voglia dare una rinfrescata.

Primo giorno, si parte col botto: 190 chilometri per 2.400 metri di dislivello, la tappa più dura delle tre. Siamo fin troppo carichi e l’euforia ci fa prendere questa decisione che potrebbe sembrare folle, ma si rivelerà poi perfetta. Salutiamo la campagna fiamminga con i primi colpi di pedale, non sappiamo a cosa stiamo andando incontro e i silenzi tra di noi indicano una certa tensione che non abbiamo ben chiaro in cosa sfocerà, ma ci mettiamo poco a capirlo. Sono bastati i primi due muri per rendere tutto molto limpido: è un challenge, è una sfida con sé stessi, ma in un attimo si è trasformata in una sfida tra noi tre. Qui non c’è un pettorale da indossare, è vero, ma ogni volta che sul terreno si oltrepassa la scritta START e si inizia il segmento, le vene si chiudono e parte la bagarre. Se arrivare secondo non è una possibilità presa in considerazione, arrivare ultimo è quanto di più avvilente. Amici, amici… Amici un cazzo! è proprio il caso di dire: iniziamo a prenderci letteralmente a sberle su ogni muro, senza tregua. Senza dirlo apertamente, il tragitto tra un segmento e l’altro lo dichiariamo zona neutrale, approfittandone per riprendere fiato e scambiare qualche battuta per stemperare l’atmosfera competitiva. Stolti che non siamo altro, combattiamo tra di noi senza nemmeno immaginare quale sarà il vero nemico.

Se si gioca è giusto stabilire delle regole e creare una classifica. In questo caso è molto semplice, si scatta tutti insieme all’inizio di ogni segmento e il primo che arriva è il vincitore. Non ci sono secondi né terzi: uno vince, due perdono. È alla prima pausa di giornata che sigliamo ufficialmente questo patto e, onestamente, se ne avessimo parlato prima di partire non ci avremmo mai creduto.

Il più agguerrito è, come sempre, il Serone: competitivo sin dalla culla, con la fortuna di avere un gran motore. Se riesco a giocarmela con lui è solo perché sono molto più allenato, altrimenti non ci sarebbe storia. È uno di quelli che non ti lascia nemmeno la classica volata al cassonetto, non so se mi spiego. Fisico perfetto per questi terreni, soffre però maledettamente la carenza di cibo: più di una volta l’ho visto in crisi di fame e ho costruito il mio piano proprio su questa sua debolezza, devo sfinirlo e non dargli possibilità di nutrirsi. È così che riesco a inanellare una serie di vittorie inaspettate: quando sento che inizia a lamentarsi per la fame gli assicuro, mentendo, che da lì a poco ci fermeremo… Invece accelero e basta. Una giocata da vero fuoriclasse, d’altra parte amigo, i campioni sono così.
Quando la pendenza va in doppia cifra è invece il momento di Caccino, un peso piuma con alle spalle otto anni di vita a Tenerife e le salite al Teide come palestra. Agile e scattante, quasi imprendibile sui muri in asfalto, fa invece una fatica immane sul pavé. Sembra che non riesca a trasferire la forza, rimbalza senza quasi comandare la bici. Sono inoltre sicuro che pagherà le lunghe distanze: lo devo lasciar sfogare, fargli fare il suo gioco, io recupererò nella seconda parte di giornata dove il mio motore diesel come sempre darà il suo meglio. Quella che poteva sembrare una vacanza tra adolescenti si è trasformata in una battaglia a colpi d’orgoglio.

«Il pavé ti cuoce. Su un terreno normale la tappa di oggi sarebbe stata sicuramente dura, faticosa, stremante. Ma col pavé tutto è esasperato. Sono cotto, davvero cotto». Guardo il Serone e annuisco, mentre Caccino riesce a mala pena a proferire due parole. A fine giornata siamo letteralmente svuotati e non siamo nemmeno a metà della nostra sfida. Ci conosciamo da una vita e questo è il bello: si sotterra l’ascia di guerra, almeno per qualche ora, ed è finalmente il momento di dedicarsi al reintegro di tutte le sostanze perse. Sui muri ce la caviamo decentemente ma al bancone, senza falsa modestia, siamo davvero dei fuoriclasse. Eh amigo, i campioni sono così.

La seconda giornata è quella col trasferimento. Carichiamo le bici su Nerone e ci spostiamo ad Ypres, ad un’oretta di viaggio da Oudenaarde e raggiungibile molto comodamente anche in treno, da dove parte un loop da 75 chilometri per circa 1.000 metri di dislivello. Solo nove muri da affrontare nella zona più occidentale delle Fiandre, praticamente al confine con la Francia. Non ce lo diciamo apertamente ma siamo devastati da ieri. Facciamo fatica a stringere il manubrio a causa delle mani indolenzite a furia di pavé e anche il sedere non se la passa meglio: sappiamo bene che dobbiamo risparmiarci un po’ se vogliamo arrivare alla fine. Vinco un muro, poi è il turno del Serone e poi di Caccino. La scena si ripete ancora una volta e, di proposito ma senza esplicitarlo chiaramente, ancora una. Nove muri totali, tre a testa: un pareggio che va bene a tutti. Ci fossero stati i giornalisti avrebbero gridato allo scandalo. Consapevoli di questa sorta di gemellaggio decidiamo di festeggiare offrendo ognuno un giro di birra agli altri sfidanti. Un gesto di sportività talmente bello che anche Penni decide di mettere da parte la macchina fotografica per aggregarsi. Che ve lo dico a fare: eh amigo, i campioni sono così.

Oudenaarde mi è sempre piaciuta: né troppo piccola né troppo grande, sulle rive della Schelda, da dove parte una pista ciclabile bellissima che ti porta in trenta chilometri fino a quel gioiello di Gand. Se ne parla stanchissimi passeggiando per la piazza centrale prima di ritirarci nelle nostre stanze. L’appuntamento è per domattina, l’ultimo giorno, quello che decreterà il vincitore.

«Nulla è ancora deciso, mancano venticinque muri che potrebbero confermare o ribaltare completamente la situazione.» Per un attimo mi trasformo in Alessandro Broghese, con la differenza che, invece di quattro ristoranti, abbiamo 142 chilometri per 2.200 metri di dislivello davanti a noi. Non è la più lunga, ma è la tappa regina: Kwaremont, Koppenberg, Paterberg… Ci siamo capiti insomma. Oggi siamo gli attori di quel film di cui andiamo pazzi e anche se l’abbiamo visto decine di volte, quando capita, non riusciamo a skipparlo. Il percorso è un groviglio incredibile di strade, impossibile da tracciare autonomamente, tostissimo: un su e giù senza tregua dove, per darvi l’idea, il punto più lontano da Oudenaarde è a soli dieci chilometri di distanza. Provo ad utilizzare le mie solite tattiche ma dopo una decina di muri inizio ad essere veramente cotto. Non voglio far trasparire nulla, scruto il Serone e Caccino che sembrano non passarsela meglio. Ciò nonostante, continuiamo a sfidarci, dando fondo alle forze residue. So di essere in leggero vantaggio e so anche che da un momento all’altro potrei saltare. Arranco, perdo un paio di muri, ma sono sicuro che questo sforzo a loro sta costando parecchio. Beviamo un sorso, mangiamo l’ennesima banana, facciamo pipì in fila dietro a un albero proprio come in terza superiore. Mancano solo una decina di muri, ci giochiamo tutto in un paio d’orette.


«Cazzo è tardissimo! Se non arriviamo al Centrum Ronde van Vlaanderen entro le cinque e mezza è come se non avessimo fatto nulla. Tutto ‘sto sforzo per niente!».
Panico, imprecazioni, sconforto. Che si fa? Un minuto di silenzio, ma sono bastati uno sguardo e una risata per metterci d’accordo e farci sentire davvero stupidi. «Tre giorni a sfidarci, mentre erano i muri a sfidare tutti noi».
Giù un dente, anzi due e via a menare. È tardi, tardissimo, giù un altro dente. Cambi regolari, siamo una squadra ora. Non c’è tempo da perdere.

Ce l’abbiamo fatta. Ne è valsa la pena. Ecco i nostri nomi scolpiti all’interno del Centrum Ronde van Vlaanderen. E pare che siamo anche i primi italiani.
Eh amigo, i campioni sono così.

Servizio pubblicato su Alvento 22 di agosto 2022