La mattina, quando le telefoniamo, Marta Cavalli, dopo alcuni giorni a casa, sta per ripartire per le gare, per quel Tour Féminin International des Pyrénées dove coglierà il successo, che vi abbiamo raccontato, ad Hautacam, e, come ogni volta, prima di partire, si prepara a passare a salutare i nonni. Un gesto apparentemente semplice che, però, in questa stagione strana, con molte difficoltà inaspettate, ha spesso avuto un gusto agrodolce: «Tutte le volte mi abbracciano e mi dicono: “Speriamo vada tutto bene, speriamo in un risultato”. In questi mesi, ho sentito molte volte questa frase e tutte le volte ho detto “sì, speriamo”, pur sapendo che quel risultato non sarebbe potuto arrivare. Ed ogni volta era più difficile, perché, dopo un’annata come il 2022, tutti si aspettano qualcosa da Marta Cavalli e, più passa il tempo, più se lo aspettano». Inizia così un’intervista che prova a riavvolgere il filo degli scorsi mesi ed allo stesso tempo cerca di guardare avanti, ai Campionati Italiani, al Giro d’Italia ed al Tour de France. In generale alle gare perché è lì che Cavalli si aspetta di ritrovare qualcosa a cui, l’anno scorso, si era abituata.
«Non te lo nascondo, sto pensando alla vittoria, del resto ci pensano tutte le atlete. Io, però, so che, in momenti come questi, è ancora più importante, ancora più bella. Importa nulla quale sia la gara, se più o meno prestigiosa, in ogni caso, se vincerò, avrò battuto le atlete presenti, ed io voglio vincere, voglio liberarmi. E, se non dovesse essere la vittoria, almeno un piazzamento, una prova così buona da restituirmi alla me stessa che conosco». Marta Cavalli ci confessa che, in ogni allenamento, ricerca il limite, il momento in cui in salita si è da soli, all’attacco, con tutti i tifosi che gridano, incitano, caricano. Un momento che vive attraverso i muscoli, che fanno male, e immagina, quasi sentisse quelle voci urlare il suo nome, tanto lo desidera: «Non è successo molto tempo fa, d’improvviso ti svegli la mattina e l’idea di fare sei ore di allenamento con 2500 metri di dislivello non ti spaventa più, non ti fa più porre domande, ma ti sprona. Hai voglia di provare quella sofferenza. Quando ho provato quella voglia, ho capito che, forse, il momento più difficile era passato, perché, quando stai male, la sofferenza non vuoi vederla, non la sopporti».
Ma il perché si sia innescato questo meccanismo, nemmeno Cavalli lo sa. Se lo è chiesto più volte e se lo chiede anche mentre parla con noi, mentre ci dice che, con l’arrivo del caldo, le sensazioni sono sempre migliori, che sta bene, che la Vuelta le è servita e, dopo un inizio di stagione a intervalli, questa seconda parte sembra essere migliore. «All’inizio non avevamo capito quanto fosse esteso il problema. Pensavamo a qualcosa di temporaneo, magari una trasferta da cui non avevo recuperato, un momento no, una settimana no, un carico eccessivo. In realtà, nel mio caso, c’era un fattore fisico ed anche un fattore di approccio mentale su cui lavorare. Quindi il fatto era ben più complesso». Non tutte le stagioni sono uguali, Marta Cavalli ce lo ripete spesso, ma, nel suo caso, il fatto che quest’anno venga dopo il 2022 è particolarmente significativo.
L’anno scorso ogni gara era quasi certezza di risultato, quanto meno di prestazione di alto livello, e la condizione fisica era sempre buona, qualcosa che faceva presupporre il risultato, nel 2023, invece, le è capitato più volte di presentarsi alle gare pur non essendo al 100%, l’ultima volta a “La Vuelta Femenina” e questo è stato un banco di prova. «In un certo senso, è un altro passo avanti. Un’altra cosa che dovevo imparare ed ho imparato. Non sono partita senza dubbi o timori per “La Vuelta”. Ho anche pensato di rimandare, di aspettare, è normale quando non ci si sente pronti. Poi ho deciso che sarei partita, avevo già aspettato troppo. Anche la famiglia mi ha aiutato in questo, parlandone a casa abbiamo trovato assieme il modo di affrontare questo periodo». A “La Vuelta”, in FDJ-Suez, il ruolo di capitana era affidato a Evita Muzic, giovane, per le prime volte alle prese con questo compito, Cavalli si mette a disposizione, sceglie di aiutare, sulla strada e attraverso i consigli.
Il più importante? «Provarci sempre, perché nel ciclismo la fatica viene mascherata, nascosta. Guardi la tua avversaria e ti sembra stia benissimo, che sia incrollabile, invece spesso sta soffrendo, come e più di te. Se continui a provarci, prima o poi, diventa impossibile nascondere la fatica ed emergono i veri valori in campo». Ci viene spontaneo chiederle come faccia lei a mascherare la fatica, a fingere per ingannare le avversarie, lei sorride: «Bella domanda. Se ci fosse, lo direi, però non so fingere, questo è il problema. Se mi guardano in faccia, mentre sono in difficoltà, capiscono subito che quello può essere il momento giusto per attaccarmi. Per far fronte a questa situazione, ho imparato ad andare oltre il limite, a fare più fatica di quella che riuscirei a fare normalmente e a gestirla». Le è capitato ad inizio anno, in corsa, quando, scorgendo il suo stato di difficoltà, le avversarie hanno iniziato a cercare di metterla ulteriormente in crisi: «L’ho vissuta male, mi è sembrato un infierire, poi ho capito che dovevo accettare la situazione e la tranquillità di casa è stata un toccasana». Anche nella quotidianità, Cavalli si spinge sempre verso il meglio, racconta di non essere tranquilla se non mettendo il massimo in ogni situazione “però la vita di ogni giorno non pone le stesse situazioni del ciclismo, è diverso il confronto con i limiti. Credo sia anche una buona cosa, perché non penso sarebbe affrontabile una quotidianità simile a una gara di biciclette».
A “La Vuelta” Marta Cavalli partecipava ad una riunione dopo ogni tappa: un modo per analizzare ciò che aveva funzionato, quel che non era andato come avrebbe voluto e possibili soluzioni. A forza di farlo, ha trovato in quelle riunioni gli spunti per reagire, per cambiare ciò che si poteva cambiare. «Del Tour dell’anno scorso si è già parlato tanto, ma per me quella caduta è un segno profondo. Non era prevedibile, è stato un fatto che mi ha messo in ginocchio in un momento in cui ero nel pieno controllo della situazione. Ovvio che di quella circostanza siano restati dei residui, soprattutto a livello mentale».
A giugno, prima del Giro d’Italia, ci saranno i Campionati Italiani, in palio una maglia tricolore a cui Marta Cavalli tiene molto. Perché l’ha già indossata, nel 2018, e perché da quando corre in FDJ-Suez, una squadra francese, avverte ancor di più l’importanza dell’essere campionessa nazionale: «Soprattutto perché, adesso come adesso, varrebbe più di qualsiasi classica. Un valore che non riesco nemmeno a descrivere, se non con quello che provo pensandoci». E per quella vittoria, Cavalli non ha alcun dubbio: «Devo ricercare qualcosa dentro di me, così otterrò la vittoria». Intanto il Giro d’Italia si avvicina, un appuntamento che, se vissuto bene, potrebbe essere di slancio verso il Tour de France di qualche settimana dopo. L’atleta di Cremona ci tiene molto ed il suo pensiero va subito ai tifosi: «Mi aspettano da tanto, al Giro potranno venire a cercarmi, a salutarmi più spesso. Potrà esserci la mia famiglia ad ogni tappa, gli amici. Il Giro è una corsa che sento mia, la più lunga corsa a tappe. Farò il massimo, anche se dirlo sembra scontato. Io farò il massimo davvero». A sfidarla, le rivali di sempre, in particolare due atlete su cui si sofferma e di cui teme la poliedricità: Demi Vollering e Annemiek van Vleuten. Ma, quando parla delle due olandesi, Cavalli, in realtà, pensa ad altro.
Un pensiero che le fa cambiare la voce e la velocità con cui racconta, un pensiero che le piace: «Le persone ci immaginano come rivali in ogni circostanza. Non è sempre così. Non molti lo sanno, ma quest’anno molte atlete del gruppo sono venute a chiedermi come stavo, a salutarmi al mio rientro in gara. In tanti si sono preoccupati per me, ma, quando lo fa chi condivide i tuoi stessi problemi e le tue stesse giornate, cambia tutto. Ha un significato diverso. Demi Vollering è venuta a cercarmi dopo una sua vittoria: “Oggi mi sei piaciuta, sono contenta di rivederti a questi livelli”. Anche van Vleuten mi ha cercato: “Manca poco, Marta. Forse al Giro…”». Già, davvero un bel pensiero prima di chiudere la telefonata.
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