Nella notte in cui, in Italia, arrivano le parole di Simone Biles, ginnasta ritiratasi dalla gara a squadre dopo un volteggio sbagliato per «demoni che tormentano la mente e fanno smettere di amare il proprio lavoro», a Tokyo è il giorno dei titani dalle spalle larghe e dalle posizioni plastiche che sfidano il tempo. Giganti che sopportano il fardello del vento che divora: per qualche istante sembrano illusionisti in un’altra dimensione.

Illusione, appunto. Roglič non dimentica che, circa un anno fa, ha perso un Tour de France all’ultima giornata, il mondo gli è crollato addosso e lì anche le spalle da titano hanno ceduto, sbriciolate. Ricorda una sera a Pontivy e l’amarezza di una domenica mattina in cui ha detto basta. Qualche giorno dopo era su una sedia, fuori da un camper, con una birra in mano. Perché il coraggio di fermarsi si misura nella serenità con cui sai che ripartirai e che c’è qualcosa che conta di più. Roglič ora ha una medaglia d’oro al collo al termine di una prova mostruosa, e a chi gli dirà che è nell’Olimpo dei migliori potrà raccontare che anche i titani un giorno si sono fermati.

Annemiek van Vleuten ha la stessa medaglia al collo. Lei che ha vinto l’impossibile ma non ha mai voluto essere un’eroina. Quando, l’anno scorso, si è presentata al mondiale di Imola con un tutore dopo la frattura al polso al Giro Rosa, ha parlato chiaro. «Correre così è una merda. Non sono un esempio per nessuno. Non tutte le fratture al polso sono uguali e non per tutte sarebbe possibile. I medici mi hanno detto che non rischio perché il mio polso è più forte di prima. Per questo sono partita». Inutile aggiungere altro.

Tom Dumoulin, solo poco tempo fa, ha avuto la stessa forza di Simone Biles perché la pressione era troppa e lui, che ha vinto molto sin da giovane, solo un uomo. Dal ciclismo è tornato a bordo strada e poi, con i propri tempi, degli uomini non dei titani, è tornato in sella. Oggi è argento a Tokyo. Rohan Dennis qualche tempo fa disse che, per quanto sia bello vincere, fra quarant’anni non penserà alle vittorie come a una delle dieci cose migliori della propria vita. Crediamo lo direbbe anche oggi, forse anche a Simone Biles.

Vale per Wout van Aert che, da favorito, ha dovuto accontentarsi di un piazzamento. Chi era più titano di lui che al Tour aveva spianato il Ventoux, dominato il tempo per poi ubriacarsi di velocità come un proiettile lanciato? Eppure. Come per Filippo Ganna che fra pochi giorni è atteso dalla pista e a quella deve pensare. Vale per Simone Biles a cui oggi pensano tutti, mentre è chiamata a «scrollarsi dalle spalle il peso del mondo». Perché, sì, gli sportivi e i ciclisti sono titani, ma fragili.