Non lontano dal mare, c’è il tendone con le inconfondibili sedie in cui ognuno aspetta il proprio turno prima di partire per la cronometro. La cronometro, in realtà, inizia lì. Inizia prima di iniziare. Ci sono dei sospiri che non ti aspetteresti mai a inizio stagione. La fregatura è l’orologio, quel timer che tutti vedono da qui e segna il conto alla rovescia per la partenza. Allora qualcuno si volta verso il collega seduto accanto e cerca di fare due parole. Si capisce, si vede, che non si conoscono, che non hanno confidenza, ma quell’orologio rende tutti uguali. Per iniziare a parlare chiedi a chi ti è accanto se vuole la tua borraccia, sai che ha la sua, la vedi, ma, anche il “no”, è un modo per far passare qualche altro minuto, forse secondo.
Non importa il risultato che vorrai ottenere, ma quell’orologio ti mette sull’attenti. Così guardi Simone Consonni che continua a toccare il casco, a spostarlo, a sistemarlo, qualcuno guarda il copriscarpe, il body, qualunque grinza. È il tempo. Lo stesso su cui disputano due signori mentre dal lungomare vanno verso l’interno: due orologi, fra l’uno e l’altro cinque minuti. Capire l’ora è fondamentale, soprattutto oggi, perché alle 16:37 parte Filippo Ganna. Qualcuno gli chiede se, dopo quello che ha fatto sabato a Siena, non teme Pogačar per la cronometro di oggi: «Dovrebbe essere scarico, ma lui con lo sforzo si ricarica invece di stancarsi». Della serie: «Vai a capire come fa».
E quell’orologio continua e le persone dai rulli accanto ai bus corrono alla partenza e poi, dall’altro lato, all’arrivo. Le lancette ti dicono cosa fare, quanto manca, quanto è passato. Per i ciclisti aumenta la frequenza del respiro, la sua profondità, l’ultimo sospiro è prima di scendere dalla pedana. Qui tutti tornano a guardare un orologio, non un telefono o un timer ma un orologio. Con le sue lancette e il suo tic-tac. Col suo giro, come le strade di questa crono che è un anello, che ti fa vedere dove sarai a breve, dove sei già stato. Che accanto ti fa correre chi corre per vederti e chi, con uno zaino in spalla, torna in hotel. Una bici per portare una persona da un luogo all’altro, con ciò che gli serve.
Ganna e il vento, Ganna nel vento. Quel vento dal mare che ha odiato per molto tempo. Un taglio nell’aria che sembra vibrata come una corda di una chitarra. Potente come chi deve penetrare l’aria, delicato come chi sfiora una transenna e non la tocca. E va, pedala più forte di prima. A poco tempo di distanza passano Ganna e Evenepoel. Nonostante il mare e il vento, si sente il rumore dei pedali, la catena. O, forse, immagini tutto, perché sai qual è il suono di un ciclista che passa, perché fra tanti suoni sembra impossibile sentirlo così bene. Sempre uguale e sempre diverso.
E non c’è nulla da fare perché anche Pogačar è dietro. Quegli orologi che sembravano essersi quietati dopo la partenza di Ganna, come quando accade ciò che aspetti, tornano a correre dopo quella di Pogačar, per capire cosa accadrà, per capire se a Ganna sarà bastato essere così veloce. È bastato, ce lo ricorda un signore: «È diventato un piacere anche vedere la cronometro». Già, gli orologi si leggono e si ascoltano, come le storie. E, a Lido di Camaiore, Ganna li ha accordati tutti. Un’orchestra, una sinfonia.