Il padre di Biniyam Ghirmay non ha avuto dubbi su cosa dire al figlio, quando gli ha telefonato giovedì sera, prima della prova in linea Under23 al Campionato del Mondo di Leuven. «Ricorda di quando eri bambino», così ha iniziato a parlare il signor Ghirmay. Biniyam ha subito pensato ad Asmara, la sua città natale in Eritrea, quella in cui ogni domenica c’è una gara, quella in cui i bambini si sfidano a chi arriva prima a un punto prefissato. Come in tutte le città del mondo, in fondo, ma ognuno ricorda la propria.
E chiunque lo abbia visto venerdì pomeriggio, partire da una posizione arretrata in gruppo e recuperare uno a uno tutti coloro che si alzavano sui pedali davanti a lui, ha pensato alla leggerezza della bicicletta in uno di quei pomeriggi. Tutti ripresi e sorpassati, tranne Filippo Baroncini. Qualcuno dice che Ghirmay ha ancora il vizio di correre in fondo al gruppo e per questo talvolta perde l’attimo giusto, altrimenti chissà, forse poteva essere lì a giocarsela con l’azzurro. I suoi genitori gli hanno detto anche questo la sera prima: «Noi sappiamo che tu puoi conquistare una medaglia».
Argento. Primo ciclista eritreo a conquistare una medaglia ai Campionati del Mondo. Da non crederci, lo testimonia la testa di Ghirmay, scossa dopo il traguardo. Qualcuno ha pensato fosse un segno di risentimento per aver mancato il primo posto, lui ha spiegato che in realtà era un segno di felicità per il secondo posto conquistato. Un altro modo di leggere ciò che accade, forse un modo di mettere ogni cosa al proprio posto restituendole la giusta importanza. Come quando gli hanno chiesto se Peter Sagan fosse il suo eroe. «Non si può parlare di eroe, certamente però mi piace come ciclista e vorrei assomigliargli». Gli eroi sono altri e Biniyam lo sa.
Di sicuro, al ventunenne eritreo lo spunto veloce non manca e se la cava egregiamente anche su percorsi vallonati. Chiedete a Evenepoel che ha qualcosa da raccontare in proposito. Ghirmay ha affinato tattica e tecnica del suo correre in bicicletta al suo arrivo in Europa nel 2018. Come per molti ragazzi che condividono con lui le origini, per Ghirmay l’Africa non è solo una terra ma è senso di appartenenza.
«Sono felice per l’Eritrea e per l’Africa». Anche i suoi compagni sono felici per lui e quella soddisfazione è la soddisfazione di un popolo che continua ad aver fame di rivincita, di voglia di dimostrare, ma anche di musica, ballo e voci che si levano nelle piazze. È accaduto qualche sera fa a Leuven, con Biniyam, lì, sulle loro spalle. Ma Ghirmay non si è fermato qui. Ha detto un’altra cosa alle giovani ragazze e ai giovani ragazzi eritrei che vanno in bici: «La prossima medaglia sarà d’oro». Proprio nei giorni in cui è stato ufficializzato il mondiale in Rwanda nel 2025, perché l’Africa è sempre più una realtà. Dopo Kudus, Berhane, Gebreigzabhier, Teklehaimanot e Dlamini, dopo le prime gare e il Tour del Rwanda con tutte le persone riversate in strada, sempre come fosse la prima volta.
James Walsh, regista di “The King of the mountains”, che proprio su Daniel Teklehaimanot e sul ciclismo eritreo ha girato un film, ha raccontato a Cyclingtips: «Tutti noi giudichiamo un Paese in cui non siamo mai stati, per me questo documentario è stato un modo per andare in questo posto, provare a raccontarlo attraverso il ciclismo e lasciare che il mondo lo vedesse e scoprisse questa passione, questo talento genuino. Spero che sia solo un punto di partenza per le persone per saperne di più». Perché in Africa non si aspetta una medaglia per festeggiare, ma la festa è parte della libertà di ogni giorno, parte del poter andare ovunque in sella a una bicicletta.