Qualcosa, per Giacomo Nizzolo, è cambiato questo inverno, dopo quattro anni da dimenticare: «Durante l’inverno non ho avuto infortuni o problematiche fisiche, così ho potuto allenarmi meglio. Capivo che le sensazioni in allenamento erano buone. Era come se qualcosa in me si fosse ricostruito. Quella sensazione stava finalmente tornando». La sensazione di cui parla Nizzolo ha a che vedere con la possibilità, con la coscienza del possibile: «La maglia di campione italiano, il tricolore, è un simbolo molto importante. Ma in quei giorni, quelli difficili, la mancanza più forte riguardava qualcosa che nei giorni migliori sento dentro di me. Si tratta della sensazione di continuità, della percezione imminente della possibilità di essere lì davanti a giocarti la vittoria. Qualcosa che senti dentro anche quando ti alleni, anche quando riposi. Qualcosa che mi mancava da troppo tempo». Quella percezione è parte di Giacomo Nizzolo sin da quando era ancora bambino e quando resta inespressa fa male: «Sono sempre stato molto competitivo. Ho sempre provato una sorta di attrazione per la competizione. Da ragazzino, ricordo che improvvisavo gare per le vie di casa anche con ragazzi decisamente più grandi me. Parlo di un dolore e di una gioia, profondamente intrecciati nella competizione, che mi appartengono. I miei genitori mi hanno convinto a valorizzare questo aspetto così ho provato anche altri sport ma il ciclismo è la migliore valvola di sfogo per quella voglia che porto dentro. Uno sport di squadra che, però, valorizza moltissimo il singolo». Probabilmente per questo Nizzolo dice di non essere cambiato molto rispetto a quando era ragazzo. Anzi, dice di essere rimasto praticamente lo stesso.
Nato a Milano nel 1989, Nizzolo non ha mai avuto vita facile in sella: «Ci sono stati dei momenti, quando ero dilettante, in cui, a seguito di un brutto incidente, avevo messo in dubbio l’idea di tornare. La svolta sono certo sia stata la prima vittoria da dilettante. Era già fine stagione, erano le ultime gare dell’anno. Chissà, forse non ci fosse stata quella vittoria oggi non saremmo qui a parlare. Mi ero fatto male durante l’anno ed ero tornato dopo un infortunio che mi aveva tenuto fuori gioco per parecchio tempo». Cosa accade? Accade che quando le circostanze della vita ti colpiscono, ti riaggiusti come puoi. Se non ti lasci andare, sviluppi alcuni tratti caratteriali che ti consentono di restare in piedi: «Ho dovuto diventare resiliente, l’ho dovuto fare per andare avanti. E oggi è la mia forza. Vorrei solo essere capace di staccare un poco di più. Voglio dire questo: mi godo poco anche le cose belle perché appena le ottengo sento di dover ripartire per nuovi traguardi. Sia chiaro: è giusto continuare a porsi obbiettivi, ma ogni tanto bisogna anche concentrarsi su ciò che si è fatto e rilassarsi. Non significa accontentarsi, questo è sbagliato. Significa forse aver cura di se stessi». Ed è proprio questa cura del proprio essere che deve essere compresa, che deve essere capita dagli altri: «Dopo la vittoria del campionato italiano, ho detto che, senza nulla togliere a nessuna delle persone che mi amano, quella vittoria volevo dedicarla a me stesso. Credo di essere stato frainteso, quell’affermazione da alcuni è stata giudicata un atto di egoismo. Non mi hanno capito e forse non potevano capirmi perché non mi conoscono. I miei amici hanno capito. Non tolgo nulla a chi mi vuole bene e a chi mi è accanto, ma quella vittoria è anzitutto per me. Perché solo io so cosa ho passato in questi quattro anni».
Il volto più bello della schiettezza perché, questo lo diciamo noi, talvolta è anche facile rendere giustizia ai meriti degli altri. Il difficile è riconoscere i propri ed ammetterli. Che non ha nulla a che fare con l’egoismo. Ha solo a che fare con la consapevolezza. La stagione è stata difficile, per tutti, in particolare a livello mentale, Nizzolo però, proprio in questa stagione, è tornato ad essere quello che era sempre stato e ora guarda avanti al modo di chi, non solo crede a ciò che vede ma sa di avere la possibilità di plasmarlo per viverlo meglio: «A settembre sono stato in Trentino a fare la ricognizione del prossimo campionato europeo per gli organizzatori e devo che ho trovato un percorso diverso da quello che mi ero immaginato. Un percorso frizzante, direi, che apre il varco alla possibilità di diversi colpi di mano. L’arrivo in volata sarà difficile. Bisognerà guadagnarselo». Al prossimo settembre mancano poco più di nove mesi e Giacomo Nizzolo ha ben chiaro come colorarli: «Indosso una maglia importante, quella di campione europeo, e voglio godermela. Voglio divertirmi. Sì, proprio divertirmi, è la parola giusta. Voglio vivere quest’anno con la leggerezza di chi sa che non è necessario continuare ad arrampicarsi sempre più in alto. Bisogna continuare a fare il proprio lavoro con feroce determinazione, ma prendere fiato e respirare è altrettanto importante». Nizzolo ha le idee chiare: «La forza del ciclismo è il suo pubblico. Un pubblico diverso da quello di qualunque altro sport, il pubblico delle strade. Il ciclismo è l’unico sport in cui un amatore può pedalare accanto ad un campione e, per qualche attimo, sentirsi come lui. Purtroppo il ciclismo odierno è troppo settoriale, ha un forte potenziale inespresso. Spesso è giudicato come uno sport ”vecchio”. Non è così. Assolutamente. Si tratta di uno sport che potrei definire di moda. La sfida è raccontare questo».
Raccontare il ciclismo è, in fondo, raccontare qualcosa che è alla base di tutte le nostre parole: «Vedi, la verità è che il concetto a cui si torna è sempre uno: dare il massimo. Dare tutto. Se dai tutto, puoi essere sereno. In tanti, nel periodo dei continui piazzamenti, mi hanno chiesto: “Come fai a insistere così? Come fai a non abbatterti?”. La risposta è semplice. Se hai fatto tutto il possibile, cosa puoi rimproverarti? Probabilmente in quelle condizioni doveva andare così. Certo, col senno di poi, si può dire tutto. Ma tu hai dovuto fronteggiare quella situazione e lì più di così non potevi fare. Dare tutto non è sempre garanzia di risultato ma sicuramente è garanzia di serenità. Se dai tutto, non devi esaltarti per le vittorie e crederti superiore ma, allo stesso tempo, non devi lasciarti toccare dalle critiche e dai giudizi. Tu sai ciò che hai fatto. Ti basta questo».
Foto: Claudio Bergamaschi