Articolo di Fabio Gariffo, foto di Aristide Tassone

Sono la Piazza. Quella della partenza.
Deserta o gremita, centrale o alberata, occupata o attraversata. Il più delle volte inosservata.
Oggi sono io che osservo.
E non preferisco. Stamani accolgo.
Alle prime luci dell’alba il vociare rauco, il baccano di lavori e transenne. Che limitano, regolano.
A pochi, pochissimi, chilometri stanziano i fenicotteri della riserva naturale dello Stagnone, qui a Marsala. Con le loro esili gambe in acque che sanno di sale e di fenici, ieri hanno visto passare i grandi bus dei ciclisti, abitati da direttori e capitani, sogni e speranze, strategie e rassicurazioni.
Dove vadano a dormire i fenicotteri resta un mistero, in questa terra di misteri.
Ciò che sappiamo è che da qui parte il Giro di Sicilia: altro giro, altra corsa.
Benvenuti Signore e Signori!
Ogni partenza iberna le previsioni. Sospende il frizzante gusto dell’attesa, dal fascino inimitabile. Che ci fa innamorare, fuori e dentro il ciclismo, sport di delicato equilibrio; metafora di vita.

Sono la Piazza, col suo palco di ferro e legno.
A breve spumeggierà di musica e giovani ragazze sorridenti.
Ecco, arrivano i miei invitati e i loro sguardi. Quelli dei bambini e dei loro genitori. Assai diversi per trepidazione e innocenza.
Ecco i turisti, che non sapevano, in scia della festività pasquale appena trascorsa, celebrata dai più fortunati a Roubaix. Li riconosco subito dal naso all’insù e le gambe nude in ogni stagione.
Ecco gli amatori, che amano il ciclismo. Ognuno a modo suo.
È bello vederli la domenica mattina partire da qui con i loro buoni propositi per una “sgambata” sino alla vetta del monte Erice, faro in questo mare azzurro pianeggiante e di accecante luce.
Passano di fronte casa tua? – Usciamo domani? Si interrogano con la tipica cadenza liturgica di una lingua usualmente non declinata al futuro.
I pensieri degli uomini sono privati. Le emozioni no.
Emozioni, eccole, finalmente, ravvivarsi nei volti di tutti: sono arrivate le squadre!

Mi presento loro e le avvolgo. Il monumento che custodisce il ricordo dei mille garibaldini sembra compiacersi quest’oggi di un altro tipo di sbarco.
Un altoparlante – nome azzeccatissimo – scandisce i loro nomi. Con entusiasmo professionale.
Regalo loro carezzevoli raggi di sole fra aguzzi raggi di ruote al carbonio.
Giovani, esigenti, imberbi. E magri. Troppo magri secondo le nonne siciliane il cui affetto per i nipoti si misura in pranzi e i pranzi in doppie porzioni.
Perché da queste parti le arancine di riso non sostituiscono il pranzo e vanno pronunciate rigorosamente al femminile.
I corridori, adagiano con attenzione le loro bici nuove, perfette, ammalianti.
Firmano. Sigillando così la presenza e l’appartenenza. Io c’ero. Ho provato. Ce l’ho fatta.
Molti appassionati avrebbero voluto che dal pullman bianco del team UAE fosse sceso il piccolo principe alieno di nome Pogačar, ma poco importa. Abbiamo altri eroi in queste quattro tappe perché nessuna corsa, in fondo, è minore per chi l’affronta.
Atleti umili e nobili, semplicemente umani. Visti da vicino sembrano somigliare a tutti coloro che pedalano per diletto.
Sembrano. Da fermi.
Forse anche quest’anno, qualcuno di loro troverà un momento di raccoglimento.
Lo sguardo basso, le mani giunte, un veloce segno della croce. Come fece l’anno scorso Damiano Caruso, appena in sella, ben prima del chilometro zero di quel Giro di Sicilia che vinse.

Lui, il gregario, che si sacrifica; che rende sacro cioè. Lui, progenie della Trinacria, che vorrebbe bissare il successo.
Parlano del più e del meno, i corridori. Pronti a misurarsi tra loro e a misurare i loro watt.
In tandem con l’ombra di un imprevisto o un’incertezza, perché chi va in bici sa che tutto ciò che sembra scontato, il più delle volte non lo è.
Mentre i tanti curiosi coi loro piccoli e costosi telefoni sono pronti a scattare per condividere o mostrare un momento registrato, ma non vissuto nella consapevolezza del tempo presente e dei suoi doni incancellabili.
I corridori scatteranno anche loro.
Nell’immancabile fuga di giornata, per mostrare sponsor e potenzialità. Per dovere, per esistere e resistere.
Pronti ad arare le venature asfaltate di questa terra, prostituta d’Europa, concessa ad arabi e normanni, angioini e aragonesi. Terra contraddittoria, esagerata.
Con quali occhi la guardi, Lei ti appare.

Oggi, nella bellissima ma ventosa Marsala – come scriveva Cicerone – è festa.
Una festa pagana. Inebriante come l’omonimo vino di questa terra, un vino da meditazione.
Le riprese tv inquadreranno dall’alto, per qualche istante, le palme, i mulini a vento e il blu che circonda le Egadi. Forse ometteranno nella cartolina il rosso dei tramonti e il grigio dei pregiudizi e dei cliché.
Il soffio della Valle dei Templi di Agrigento asciugherà il sudore dei più audaci dopo circa 160 km.
Tutto, domani, tornerà alla normalità in questo straordinario quotidiano.
Io sono la piazza. Di vuoto piena.
Qui non vi è l’arrivo.
Qui vincono tutti.