Il Tour oggi spiega come si vive ogni momento. Lo spiega a noi, eterni “homo ludens”, che godiamo nel vedere loro, fachiri attrezzati a rendere perfetto ogni spettacolo. Ce lo insegna subito, dal via, quando piove, quando le montagne sono nascoste dalla nebbia in lontananza e si fanno spettri monchi man mano che ti avvicini.
E si parte in salita e c’è subito battaglia, e sappiamo noi, spettatori, omologati nel provare certe sensazioni, che sarà una giornata tremenda, e lo capiscono loro, corridori, che quelle quattro ore devono passarle in bicicletta.
E pare ironico pensare che staccandoti subito potrai goderti anche un solo momento. Succede che Primož Roglič, oggi, forse si è tolto un peso. Ha arrancato per i dolori, si è come scrollato di dosso un senso di colpa nel gesto di levarsi e poi scuotere gli occhiali bagnati da una pioggia che oggi per lui aveva il sapore della resa. All’improvviso sì è sbloccato.
I suoi occhi sembravano trattenere le lacrime, e poi, ecco l’incanto: qualche chilometro dopo lo inquadrano sorridente. Per la concentrazione del gesto, per la corsa al successo, il limare, non lo avevamo mai visto così.
Si è goduto ogni momento, un paradosso, come per quello che andava in guerra con il simbolo della pace sul caschetto. Perché quando ti ritrovi davanti per vincere non c’è nulla da godere, lo fai solo all’arrivo, c’è la nobilitazione della fatica, il sapore ferroso del sudore, le urla inconcepibili della radiolina che butteresti via.
Sì, forse quando te lo chiedono nelle interviste improvvisi un po’ e racconti di aver visto tanta gente, ma in realtà era solo calore che serviva a scaldare la tua anima e ad alleviare la sofferenza. Oggi Roglič invece, si è goduto davvero ogni momento.
La goduria del momento per Pogačar è durata un’ora, un’ora e mezza. È stata portare in là i suoi limiti, partire e andare vestito di bianco, tornare in giallo, soffrire e immedesimare la sua esistenza come lungo un fiume. Superare, stantuffare, mulinare: i momenti di Pogačar sono stati (quasi) perfetti.
Oggi il momento è stato tutto un paradosso: mentre dietro saltavano vecchie glorie (Froome), feriti (Thomas), delusioni di giornata (Latour), davanti attaccava un (quasi) velocista (Colbrelli).
E c’è stato il primo momento in cui abbiam visto van der Poel fare qualche calcolo non abboccando alle schermaglie, staccandosi sulla penultima salita e passando il gran premio della montagna da solo, quasi tranquillo, che sembrava dire: “perdo la maglia, oggi, ma chissà, un giorno, in futuro…”.
C’è stato un momento in cui ci siamo spaventati quando è caduto De Bod e con lui Vingegaard che va talmente forte che è arrivato con migliori e con una spalla scorticata. Il dolore lo sentirà in un altro momento.
E poi c’è stato un momento in cui van Aert ha provato a resistere e in effetti ha resistito. Ha fiutato l’odore della maglia gialla, ma poi quell’odore è stato ricoperto da Pogačar. E poi il momento finale tutto per Teuns, vincere al Tour anche per chi ci ha già vinto, resta sempre un momento, anzi il Momento.