Sul lago, a Maccagno, nel primo mattino, alla partenza del Trofeo Binda, ci si rende proprio conto di come ciascuno sia qui per un motivo diverso. Sì, ognuno, perché questa considerazione non riguarda solo le atlete, ma proprio ogni persona arrivata qui. Pensate che qualcuno non conosce nemmeno questa corsa, ma il traffico bloccato non gli ha dato altro scampo che fermarsi e allora: «Ho fatto di necessità virtù. Invece che lamentarmi, ho deciso di guardare a quello che c’è. Per ora, non ci capisco molto, ma chissà, dicono che le gare di ciclismo siano molto lunghe, forse ora della fine…». E, se il ragazzo che ci dice questo è capitato qui per caso, anche chi è venuto appositamente per la gara di motivi ne ha a bizzeffe e tutti diversi. C’è chi sa gustarsi l’attesa e chi, invece, non vede l’ora che la corsa parta, o meglio, che arrivi, perché vuole vedere il finale, vuole sapere come andrà. Lo si capisce dalla postura; c’è chi è appoggiato comodamente alle transenne e chi non sta fermo un attimo, dallo sguardo alle mani, alle gambe. Lo si capisce da come corre alla macchina chi non vede l’ora dello scatenarsi della bagarre: telefono alla mano, mappa, per capire dove andare a vedere il passaggio. In questi casi, la parola d’ordine è “schiscetta”, ovvero merenda o pranzo, portato in un contenitore: «Prendetevi la schiscetta» dice una madre. Poi via, si va.
E se questo vale per il pubblico, a maggior ragione vale per le atlete. Prendete Sofia Barbieri che corre questa gara con una mascherina per le allergie che si sviluppano in questa stagione, suscitando la curiosità di chi la vede transitare: «I medicinali non sempre bastano, però, con la fatica, ogni tanto tocca abbassarla, scegliere il male minore. Se l’abbasso, vuol dire che la lucina rossa sta per accendersi». Quale può essere il motivo, quando sei certo che, comunque vada, soffrirai? Esserci, in molti casi, solo esserci, provare. Anche Marta Cavalli è a Maccagno, con un’idea diversa dal solito: non è ancora il momento del ritorno in corsa, le serve una pausa, ma correrà. Perché è in Italia e molti la aspettano e perché, in fondo, la voglia di mettersi alla prova c’è sempre, la voglia di ricercare la stessa sensazione e di vedere come cambia di giorno in giorno. Arriva, si ferma in macchina, parla con il proprio direttore sportivo, poi scende e va incontro al padre. Già, per molti oggi il motivo è anche questo: vedere le figlie correre o vedere i genitori dopo settimane lontani da casa. Anche i genitori delle atlete hanno una mappa: quella delle trasferte fattibili e dei giorni in cui possono stare lontano dal lavoro per seguire le figlie, anche in camper, anche con andata e ritorno in giornata e chilometri e chilometri.
Poi ci sono le motivazioni attinenti alla gara: si legge la tensione negli occhi di chi la gara proverà a farla, a dominarla, a vincerla. Si legge negli occhi appena si scende dal pullman, poi, come si incrocia lo sguardo dei tifosi, lascia spazio a qualche parola, al sorriso: quasi una maschera per comunicare la spensieratezza che i tifosi si aspettano, quasi fosse un gioco di teatro. Vale per Niewiadoma, Arlenis Sierra, Mavi Garcia, ma vale in generale per chi vuole fare bene. Elisa Balsamo e Soraya Paladin scendono prima dal pulmann: lì fuori c’è la loro famiglia. «Oggi sono qui per mia sorella» ci dice Asja Paladin mentre, con i genitori, va al pullman a salutare Soraya. Non «per vedere mia sorella correre» ma proprio per lei: quasi il tifo di una sorella possa essere un sostegno fisico, un appoggio vero e proprio, non solo di voce e mani che battono.
Tra i motivi c’è anche il sostegno alla squadra, l’essere utili, in ogni modo. Shirin van Anrooij ha ed ha sempre avuto questo motivo. L’ha detto nel dopo gara: «Volevo lavorare per Elisa Balsamo, poi ho sentito di avere le gambe e ho tirato dritto». Sì, “aveva proprio le gambe” a giudicare dal numero che ha fatto. Una ciclista che ieri non ha partecipato alla gara, vedendola, ci ha detto: «Non mi è mai capitato di essere davanti a una corsa e di giocarmela così. Però la sensazione che si prova, quando il gruppo ti insegue a pochi secondi, la conosco. La simulo in allenamento: fingo di essere al Giro d’Italia, all’attacco. Conosco quell’acido lattico che monta». Ed anche questo è un motivo, è cercare un motivo, per fare fatica, per andare alle corse. Lo pensano spesso le atlete che vanno i fuga in corse in cui si sa che la fuga non arriverà. Per sprintare per un secondo posto, come ha fatto Elisa Balsamo, e gioire come fosse il primo, perché c’è una compagna che ha vinto, ma adesso sai che quella volata avresti potuto vincerla anche tu e questo è motivo di fiducia.
Vogliamo dire che i motivi, le motivazioni, alla fine, in questa domenica, sono state tutto quello che contava: per esserci, per non esserci, per vincere o per arrivare al traguardo. Per il modo in cui permettono di leggere ciò che accade e di venire sul lago per una gara dura, anche se si sa o si teme di non essere pronte per quel che si vorrebbe. I motivi muovono, come le biciclette. Per questo era giusto parlarne.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.