Il 13 luglio del 2019 eravamo a Malga Montasio, accanto al podio di una corsa. Nulla di strano, se non per il fatto che, questa volta, il podio riuscivamo a vederlo a metà, in ciascuna delle sue prospettive: il fronte ed il retro, come chi osservasse un volto di profilo. Quel podio, ancora non lo sapevamo, sarebbe stato per noi una sorta di Giano Bifronte. Il podio era quello del Giro d’Italia Internazionale Femminile e su quel podio stava salendo Anna van der Breggen che, quel giorno, era riuscita, per la prima volta in quel Giro, a levare di ruota Annemiek van Vleuten: la rivale, laddove il concetto di rivalità si estende e si esaspera. Entrambe olandesi, entrambe con in dote un talento fuori dal comune ed in eredità il peso dell’essere all’altezza della loro bandiera che si sostanzia nella necessità di essere prime, ad ogni costo, sempre. Un destino che stanca, ma ci arriveremo.
Accanto al podio una domanda ci solleticava la mente: dov’era il sorriso di Anna van der Breggen, quello mostrato ai fotografi ed alle telecamere, una volta giunta nel retro del palco premiazioni? Non un semplice cambio di espressione, quasi un cono d’ombra in cui era risucchiata nel momento esatto in cui nessuno, o quasi, poteva più vederla. Eppure aveva vinto, era riuscita a staccare “quella là” di quasi venti secondi, ma un’inquietudine residuava ancora. La risposta è arrivata solo anni dopo ed ha a che fare con il Giano Bifronte di cui accennavamo: Giano è il dio degli inizi, materiali ed immateriali, ed i due volti con cui è rappresentato simboleggiano la possibilità di guardare al futuro, in avanti, ed al passato, indietro. Allo stesso tempo, però, l’impossibilità di osservare il presente, di assaporarlo e di goderne. Il dio dai due volti se da un lato pare un privilegiato è, in realtà, un condannato. Quel giorno di luglio, Anna van der Breggen era in questa situazione.
Poco più di un anno dopo, a Imola, in un fine settimana che le aveva consegnato la maglia iridata in linea dopo quella a cronometro, affermò con sicurezza spietata: «Non cambia nulla e non cambio idea: nel 2021, mi ritiro». Non siamo avvezzi agli elenchi, ma ogni tanto si può fare uno strappo alla regola e snocciolare un palmares, in parte almeno: quattro edizioni del Giro d’Italia, sette della Freccia Vallone, un regno incontrastato dal 2015 al 2021, due Campionati del Mondo in linea, una maglia iridata a cronometro, una Amstel Gold Race, una Ronde van Vlaanderen, una Strade Bianche, due Liege-Bastogne-Liege, una medaglia d’oro olimpica, a Rio, nel 2016, lo stesso giorno della caduta e del temuto dramma di Annemiek van Vleuten. Anna van der Breggen non riusciva più a vivere quei successi. Fa riflettere il fatto che spesso abbia parlato delle nuove generazioni, con curiosità e ammirazione: non solo per il talento, forse soprattutto per l’approccio. Chissà se quel pomeriggio a Malga Montasio stava pensando al motivo per cui molte giovani atlete erano in grado di festeggiare un quindicesimo posto e lei, che a tentoni, sul prato, dopo aver vinto, cercava di recuperare il fiato, in fondo non riusciva nemmeno ad essere così soddisfatta ed un poco avrebbe voluto essere in loro. Anche a costo di togliersi l’etichetta di campionessa, di fuoriclasse olandese. Scattare in testa al plotone, da liberazione, quando tutte le ruote si allontanano sullo sfondo, era diventato obbligo, routine. Che senso aveva?
Van der Breggen ricordava le pedalate di bambina a Zwolle, la sua città natale, dove la bicicletta è mezzo quotidiano. Ricordava le prime gare: non aveva l’attrezzatura adeguata per essere in testa alla corsa, improvvisava, ogni tanto qualche risultato arrivava, spesso era esattamente il contrario, ma allora non importava a nessuno. Ripensandoci aveva trovato una risposta al perché essere olandesi fosse così, al perché delle aspettative, delle richieste e la risposta era nel suo passato, come nel passato di tante ragazze cresciute in Olanda: l’emancipazione. Ovvero la possibilità di prendere la propria strada, di seguirla, di provare, in libertà, anche fosse sbagliata, senza aspettare niente da nessuno. La spiegazione doveva essere questa: e se era possibile diventare professioniste grazie a quella libertà, perché non avrebbe dovuto essere possibile mettere un punto con altrettanta libertà? Ha smesso così nel 2021 ed è salita in ammiraglia del team in cui correva, la SD-Worx. Da quella macchina è riuscita, forse per la prima volta, dopo tanto tempo, a vedere il ciclismo da un’altra prospettiva. Forse è riuscita a guardare il ciclismo più che a vederlo. Attraverso i propri occhi, alla guida di una macchina, e attraverso gli occhi delle “sue” atlete, quelle che ha accompagnato tanto nei successi quanto nelle sconfitte. Emancipazione vuole anche dire avere il coraggio di dire basta e di cambiare quando una situazione “pesa” troppo, quando la bicicletta che sa solo andare avanti rischia di far tornare indietro.
Da ragazza, studiava infermieristica, si immaginava con un camice addosso, una volta cresciuta. Il primo salto di qualità nel ciclismo l’ha fatto quando si è trovata davanti ad un aut aut: senza un consistente passo avanti, rischiava di smettere. Il secondo passo avanti, anche se per molti pareva solo una parola fine troppo anticipata, l’ha fatto quando ha smesso. Il terzo potrebbe averlo fatto qualche mese fa, quando ha annunciato che sarebbe tornata e con un’idea nuova. Cercherà ancora la vittoria, poche storie, perchè è quello l’istinto di un’atleta, ha detto, però, che lo farà solo in certe gare, senza che diventi un’ossessione, perché adesso come non mai capisce quelle giovani cicliste che gioivano per un piazzamento mentre lei era troppo stanca del proprio lavoro per riuscire a gioirne. Si sente fortunata di poter essere una ciclista, di poter faticare al modi delle cicliste. Ora riesce a vedere il presente. Forse Giano aveva un bel vantaggio nel vedere futuro e passato, nello stesso tempo, ma Giano era un dio: a suo modo, in sella, anche van der Breggen è stata qualcosa di simile, poi, quando ha smesso, ha capito che era meglio essere semplicemente una ciclista che, anche nel mezzo di una salita dolomitica, per qualche secondo, forse una frazione, può guardarsi attorno. E lo farà.
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