I primi Giochi Olimpici che vengono alla mente di Paolo Sangalli, Commissario Tecnico della nazionale italiana femminile di ciclismo su strada, sono quelli di Los Angeles 1984, quando era ancora un ragazzino: in Carl Lewis, nel suo gesto atletico, c’è, a suo avviso, lo spirito olimpico, autentico, reale, anche se, nell’era moderna, altri sportivi hanno conquistato svariate medaglie, si pensi a Michael Phelps, per fare un esempio. Saranno anche i 100 metri, aggiunge, che sono un simbolo da cui è difficile staccarsi. Da atleta, sostiene Sangalli, sapeva benissimo che non sarebbe mai arrivato a partecipare ad un’Olimpiade, però quello è il sogno di ogni sportivo e restava anche il suo, nonostante tutto. La prima Olimpiade l’ha vissuta nel 2012 a Londra, in qualità di collaboratore tecnico e «sin da quei giorni, ogni edizione ha sempre aggiunto qualcosa a quel che sono, come uomo e come professionista. A Parigi questo percorso tocca il culmine: ho vissuto con questa consapevolezza i mesi di avvicinamento e vivo allo stesso modo questi giorni. La responsabilità c’è, però la responsabilità, a mio avviso, se vissuta correttamente, non deve far paura, spaventare. La responsabilità è qualcosa di alto, qualcosa di cui essere orgogliosi. Dirò di più: quel sogno di ragazzino, ora che si è materializzato, è così forte da sostenere qualunque responsabilità». A casa, restano un ragazzo e una ragazza felici di poter chiamare C.T. il padre: ai suoi figli ha provato a raccontare sempre la parte bella dello sport, depurandolo dallo stress e dalle negatività, che pur esistono. «Certo, ho sempre parlato loro della sconfitta, del non raggiungimento dell’obiettivo, ma questa è la normalità delle cose. So di essere un genitore severo, a tratti, duro, se vogliamo: credo fermamente che non esista alcun risultato senza sacrificio, credo nel sacrificio, credo nella fatica. L’ho sempre detto ai miei figli, lo dico alle atlete e, in entrambi i casi, quando sono severo, quando devo esserlo, l’unica mia preoccupazione è di essere anche giusto. Spero di esserlo sempre, l’intenzione è quella».

Anche perché Sangalli respinge completamente l’idea del “potere di decisione” in quanto tale che, comunque lo si intenda, è ovvio associare al suo ruolo. Spiega che le atlete convocate, Elisa Balsamo, Elena Cecchini, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico, sapevano già della convocazione, senza bisogno della sua comunicazione, esattamente come chi non avrebbe partecipato ne era consapevole. L’evidenza è stata data dal percorso e il fatto che non ci siano state polemiche o discussioni, precisa, significa che, alla fine, tutte si sono riconosciute in questa scelta: «Non mi piace l’idea dell’uomo che, seduto ad un tavolo, distribuisce verdetti e decide i “destini” di altre persone, con un sì o un no, come fosse una sentenza. Mi sembra un brutto modo di svolgere un mandato, tenendo tutti sul filo dell’incertezza, intimorendo, per certi versi. No, non mi piace. Penso, anzi, alle atlete che non sono qui, so quel che provano, mi spiace. Un Commissario Tecnico non decide i destini di nessuno, fa delle scelte con un metodo che ritiene giusto e, più giusto è il metodo, meno sono i contrasti. Questo non significa che le scelte siano sempre corrette, significa, però, che sono applicate con un criterio di correttezza». La costruzione della squadra è avvenuta sulla scia di un pensiero: essere pronti a qualunque possibile scenario la gara dovesse riservare e gli scenari sono molteplici, per il percorso e per la prova olimpica che è, in quanto tale, una prova “speciale”: «Si parte circa in novanta atlete, la gara, tuttavia, se la giocheranno più o meno la metà. Sarebbe banale parlare di Montmartre oppure dello strappo finale di quasi un chilometro, tutto all’insù, eppure sicuramente quelli saranno momenti decisivi. Ricordiamoci, però, che, fuori dalla città, in aperta campagna, ci troveremo ad affrontare sei côtes, curve, vento e strade strette, in cui ogni metro sarà importante. Non vorrei dimenticassimo la “lezione Kiesenhofer”: a Tokyo nessuno credeva potesse arrivare quella fuga, invece dieci minuti non si possono lasciare ad alcuna atleta». Quella che, inizialmente, definiamo “lezione Kiesenhofer” è, in realtà, per Sangalli un fatto paradossale: l’assenza di radioline per comunicare con le atlete in corsa che rende quasi impossibile correggere eventuali errori.

«Non eravamo gli unici a essere spiazzati: Annemiek van Vleuten credeva di aver vinto. Noi, anzi, avevamo il vantaggio di avere l’hotel sul percorso. Risulta molto, molto difficile comunicare in questo modo. Ho fatto un calcolo: avrei bisogno di circa venticinque persone dello staff sul tracciato per passare tutte le informazioni. Quel numero sarà impossibile, cercheremo di farcela con venti o poco meno. Sicuramente le atlete non possono tornare all’ammiraglia ogni volta, devono stare davanti. Il monito principale è: non troviamoci mai nella condizione di inseguire, perché chi insegue ha perso». Qui Paolo Sangalli cita un momento del Mondiale a Glasgow, quando le azzurre non sono entrate in fuga e hanno dovuto cercare di chiudere, assieme alla Germania: «Al Mondiale le squadre hanno più atlete, si possono permettere due capitane e una outsider. Qui no: se dobbiamo rincorrere per trenta chilometri, automaticamente dobbiamo rinunciare a qualche atleta per il finale e siamo solo quattro». Startlist alla mano, Sangalli elenca come atlete temibili, fra le altre, Grace Brown, Liane Lippert, Kristen Faulkner, ma aggiunge che saranno almeno venti le rivali da controllare e precisa, inoltre, che soprattutto a nazioni come Olanda, Belgio e Francia non si possono fare sconti, «perché, se si lascia margine a Kopecky, chi colma il gap?». Con le atlete, tuttavia, della tattica parlerà solo negli ultimi giorni, per non caricarle di stress inutile o di concetti che non avrebbero modo di assorbire, in preda al momento. Con noi si concede qualche istante per tratteggiare le quattro atlete scelte, con un aggettivo che ne definisca le caratteristiche.

«Elisa Balsamo è la classe. Ha tutto quel serve per ottenere risultati e i risultati con quelle caratteristiche non possono che arrivare. Al Giro d’Italia Women le ho detto che non deve dimostrare nulla a nessuno e oggi vorrei ripeterlo. Elena Cecchini è la concretezza e l’esperienza. Seguo il suo lavoro in SD-Worx ed è impeccabile: anche alle Classiche, personalmente, sono quasi più attento a chi porta davanti le proprie compagne sui muri che a chi vince, poi chi vince si sa, lo sanno tutti e ne parlano tutti. Non sempre, invece, si rende il giusto merito a chi si mette a disposizione. Per Elisa Longo Borghini ritengo complesso individuare un solo aggettivo: è una fuoriclasse. Soprattutto è una donna che ha sempre ottenuto ogni risultato con la fatica e la gavetta, con il lavoro. Vale per tutte le cicliste, certo, ma per Elisa vale a maggior ragione. Lei e Cecchini sono atlete che sono cresciute quando il ciclismo femminile era ben diverso da oggi e ce l’hanno fatta. La loro è stata una dura rincorsa. Da questo punto di vista, le più giovani hanno qualche fortuna in più. Longo Borghini sarà la nostra capitana, la nostra capitana assoluta, mi piace definirla così. Silvia Persico è l’estro, ma non mi fermo qui. Persico, a mio avviso, non conosce ancora tutte le sue reali potenzialità, le sue capacità: parliamo di un’atleta che, quando sta bene, soprattutto quando è serena a livello mentale, su quella bici mette l’impossibile. Silvia è un esempio. Ricordate la medaglia di Wollongong? Pesa un sacco quella medaglia all’esordio».

 

2021 UCI Road World Championships Flanders – Women Elite Road Race – Antwerp – Leuven 157,7 km – 24/09/2021 – Elisa Balsamo (Italy) – Marianne Vos (Netherlands) – photo Dion Kerckhoffs/CV/BettiniPhoto©2021

Il resto è costituito dalla fiducia di «avere un gruppo di donne e atlete di intelligenza sopraffina» e di «aver lavorato come meglio non si poteva in questi mesi, con qualche intoppo che, però, è parte del percorso». Sangalli si riferisce alla caduta di Elisa Balsamo: «In quei momenti, l’unica cosa da fare è trasmettere serenità, ma deve trattarsi di una serenità reale. Non bisogna raccontare storie o favole pur di rasserenare, perché un’atleta lo capisce benissimo e, alla fine, non si fida più». Detto questo, a Parigi, si andrà a raccogliere il lavoro di questi mesi e, da ogni atleta, il C.T. pretende sincerità totale: sia quando si sta bene che quando non si sta bene: «Non so se abbiamo l’atleta più forte, però penso che siamo la squadra più forte. Non a caso all’estero ci chiamano proprio “la squadra” e questa squadra non è mia o di pochi eletti, è di tutti, appartiene a tutti, per questo è “la nostra squadra”. Questo non deve mancare. Soprattutto in una gara che non si sa che piega prenderà ed a Parigi che “lo dico per esperienza, può passare dai venti ai quaranta gradi da un giorno all’altro: ora non c’è molto caldo, ma chissà il 4 agosto».
Infine, Paolo Sangalli ci lascia con una suggestione, pensando al recente Giro d’Italia Women, conquistato da Elisa Longo Borghini: «Si è parlato molto del suo duello con Kopecky, di questo “uno contro uno” che ha tenuto tutti con il fiato sospeso, fino all’ultimo metro. Bene, credo sarà qualcosa di simile a quel che vedremo sulle strade di Francia. Non dico altro, andiamo a correre»