Martina Berta ha ripreso a “costruire” al ritorno dall’Olimpiade di Parigi, dove, ad agosto, aveva concluso in quattordicesima posizione la prova di cross-country, nonostante, nei giorni dopo Parigi, ci fosse solamente grande stanchezza, perché l’anno delle Olimpiadi è così: dapprima le qualificazioni, successivamente si mette la testa sull’appuntamento a cinque cerchi e si sacrifica tutto il resto, dentro e fuori dal ciclismo, ma le gare di una giornata hanno una storia a parte e la prova olimpica è una prova di un solo giorno con caratteristiche ancor più particolari. Sostiene Berta che per fare bene all’Olimpiade serva almeno una pregressa esperienza, lei sperava di più, era in forma, non se lo nasconde, ma mettere tutto assieme è difficile e non c’è molto da fare, è un dato di fatto. «Ero stanca, ma sapevo una cosa: all’Olimpiade tutti scoprono le proprie carte, ciò vuol dire avere un osservatorio privilegiato sulla reale condizione delle tue rivali. Era stanco anche il mio staff, ci siamo solo detti cosa potevamo fare per migliorare e abbiamo tirato dritto verso il Mondiale. Nel frattempo, ogni tanto, sentivo qualcuno che diceva: “Guarda che andavi più forte prima. Non ci credevo, ma le orecchie non si possono chiudere e si sentono le voci delle persone attorno». In pochi, infatti, sanno che, quest’anno, Martina Berta ha cambiato allenatore, convinta che per raggiungere quel qualcosa in più che desiderava, fosse questa la scelta giusta da fare, ma, come tutti i cambiamenti, serve tempo perché i risultati arrivino e, nel frattempo, ognuno dice la sua: «La verità è che fino a quando vai forte e vinci hai un sacco di persone attorno, a sostenerti, a incoraggiarti. Come qualcosa inizia a non funzionare, si riducono sempre più e restano in pochi, pochissimi. Ecco, solo quei pochi, poi, capiscono il vero significato dei risultati che ottieni. Gli altri, magari, torneranno, ma non sapranno mai davvero cosa c’è dietro, perché se ne sono andati nel momento difficile. La realtà è che le scelte complesse le affronti sempre da sola, con la fiducia di un ristretto gruppo di persone».
Fra le motivazioni del cambio, soprattutto, forse, la volontà di lavorare sulla base aerobica: nelle partenze, Berta se l’è sempre cavata bene, pagava però negli sforzi ripetuti e nel finale di corsa e, come sintetizza lei, sorridendo, le corse si decidono nel tratto conclusivo, quindi bisogna essere pronti. Probabilmente anche le sue persistenti difficoltà nella short race, in sostanza le qualifiche che stabiliscono le posizioni di partenza della gara della domenica, nel cross country: partire dalla quarta o quinta fila vuol dire, in ogni caso, essere maggiormente esposte a cadute o incidenti, perché «una gara ad inseguire è una gara diversa, comunque vada a finire». Più di uno sguardo è stranito da questa scelta, lei lavora bene, ma, in gara, non riesce ancora ad esprimersi al massimo: il Mondiale di Andorra arriverà con questa situazione e, domenica 1 settembre 2024, Berta conquisterà il bronzo in quella stessa competizione iridata, dietro a Puck Pieterse e Anne Terpstra. Di più: l’ultimo giro sarà, per lei, il giro più veloce. Dopo qualche giorno, di nuovo a casa, la prima considerazione che fa è proprio sul lavoro che paga, sull’aspetto mentale che deve essere strettamente legato a quello tecnico e tattico, soprattutto in un Mondiale, gara di un giorno, differentemente dalla Coppa del Mondo, ma non si ferma qui. «Penso a tanti giovani che soffrono perché intrappolati in situazioni che sentono non corrispondergli: vorrei invitarli a scegliere, a cambiare, a non restare in mezzo al guado, seduti ad aspettare che le cose cambieranno, perché non cambieranno se non le cambierete voi. Provare è la soluzione. Io credo alle decisioni di petto, credo alla scelta, pur se sbagliata. Meglio sbagliare che non decidere, nello stallo si butta via tempo che poi si rimpiangerà. Fare quel che facciamo noi atleti è un sogno per molti, è una soddisfazione enorme, pur se non si vince: ecco, i risultati arrivano anche scegliendo, la strada si fa scegliendo».
Classe 1998, Berta ha ventisei anni e fatica a realizzare quel che è accaduto, di fatto la concretizzazione di un pensiero che aveva dalle prime volte in sella o, per meglio dire, da quel giorno del 2015 in cui ha vinto il Mondiale Juniores: sostiene che la sua carriera sportiva sia nata in quel momento. L’occasione è arrivata e questa volta più di altre è stata una conferma, oltre la stanchezza e oltre tutte le domande. Diverso eppure simile ai risultati conquistati in Coppa del Mondo due anni fa, dopo un’annata viziata da una caduta con la frattura di alcune vertebre. Quando ha visto la prova di Pauline Ferrand-Prevot all’Olimpiade si è “gasata”: «Sono convinta sia bello sapere che una prestazione del genere è possibile. Certo, in corsa si soffre, ma, appena tagliata la linea del traguardo, si pensa solo a come fare per avvicinarsi a quel risultato. Ho chiesto come fare al mio allenatore. Vuol dire che continuiamo a crescere, a migliorare. Racconta un progresso e la bicicletta è questa cosa qui». La bicicletta è per Martina Berta un sinonimo del verbo “provare”: «Il passaggio nelle categorie junior e under non è stato facile, tuttavia potevo solo provare. Mi dicevo: “Provo, al massimo non funziona”. Ci sono esperienze che puoi vivere solo a determinate età e lo sport ad alti livelli fa parte di queste. Non è un dramma, se non va, a patto di non aver rinunciato a priori. Forse qualche volta ho anche pensato di smettere: non l’ho fatto perché continuo a imparare, a migliorare ogni giorno. Io mi sento ancora alle prime armi. Smetterò il giorno in cui, in un momento difficile, sentirò di non aver più nulla da dare». Dal 2022 ad oggi, per esempio, ha lavorato molto in palestra, ha corretto squilibri nel bilanciamento posturale e ne ha tratto vantaggio, indubbiamente, così è accaduto per l’aspetto aerobico nel 2024. Impara il singolo ed impara e cresce il mondo in cui è calato: si può citare il lavoro sull’aerodinamica che tanti atleti stanno sviluppando anche nella MTB, l’alimentazione che è centrale su strada, meno in MTB, tuttavia atlete come Ferrand-Prevot e atleti come Pidcock alzano il livello anche da questo punto di vista, le preparazioni ed i materiali in cui un settore relativamente giovane come la MTB ha fornito spunti anche per le corse su strada.
Martina Berta resta la ragazza che è sempre stata: riservata, di quelle che non amano essere al centro dell’attenzione, è appassionata di sci e arrampicata. In sella va lontano ed ha scelto la bicicletta per poterlo fare, per scoprire una velocità giusta ed esplorare tutti quanti i luoghi che nessuno sport le avrebbe permesso di scoprire, chiusa in un palazzetto. Seria, professionale, eppure desiderosa, quando non corre in bicicletta, di staccare completamente la spina e liberarsi: «Il nostro è un mondo di orari e tabelle prefissate, troppo schematico per rappresentare la vita reale: è un lavoro e come tale va vissuto. Mi piacerebbe comunicare questo ai più giovani, raccomandando loro di avere sempre altro su cui contare fuori dal ciclismo, perché, in certi giorni, è tutto quello che serve per andare avanti. La serietà non è nemica della leggerezza, è possibile impegnarsi molto e allo stesso tempo sapere che sarà un picnic in mezzo al bosco a permetterti di proseguire, dopo aver ripreso fiato».
Foto: Sprint Cycling Agency
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