Un percorso così bello e curato nei minimi dettagli, un giardino giapponese. Elementi rifiniti da sembrare uno di quei diorama che ti appioppavano in qualche progetto complicato a scuola. Dicevi di averlo fatto tu, ma invece era tutta opera di tuo padre ingegnere e tua madre artista – benedetti genitori.
Un vincitore così giovane e ricco di fascino da sembrare uno di quegli attori brutti ma tremendamente carismatici, tipo Jeff Goldblum o Willem Dafoe.
Uno sconfitto di giornata oggi, parafrasando Philipp K. Dick, “più umano dell’umano”, che ieri nessuno osava dirlo, mentre oggi in coro “non si improvvisa la mountain bike”. Un errore, un peccato che lo rende così tremendamente tenero che lo vorresti strapazzare e dirgli con dolcezza, “Mathieu: sarà per la prossima volta”. Si farà serio e incazzoso dopo oggi e di sicuro, forte com’è, ci riproverà fra tre anni a Parigi.
Un vincitore perfetto nella gestione, ormai superstar in miniatura, giapponese nel gestire e sfidare i trabocchetti del tracciato, iperviolento nel suo strapotere quando accelerava nei tratti in salita. Irresistibile e versatile come quegli attori brutti di cui sopra, in scala ridotta e forse per questo così a suo agio in quell’ambientazione creata ad hoc per esaltare le doti degli specialisti delle ruote grasse.
A tratti iconoclasta in un mondo rigido, con quell’orecchino sul lobo sinistro, lui che sulla bici sembra un bambino che sfugge agli ordini di casa: semplicemente affascinante Tom Pidcock.
E infine due parole per il terzo arrivato, lo spagnolo David Valero Serrano che finisce così forte che se invece di 9 giri ce ne fossero stati che ne so, altri 9, avrebbe forse vinto per dispersione. Se Pidcock è il fascino, lui, nei giorni di Olimpia, è stato un maratoneta.