«Meno cose hai, più emozioni vivi»: è questa la prima frase che ci dice Davide Rivero parlando di bicicletta e di viaggi. Sarà perché le emozioni che ha vissuto il 12 settembre del 2020 sono nate proprio da una situazione di privazione: sì, la pandemia da Covid19 aveva reso impossibile disputare la Gran Fondo Fausto Coppi, a cui Davide partecipava dal 2016, migliorando ogni anno il proprio risultato. La sera dell’ufficialità, leggendo la mail che lo comunicava, Davide l’aveva detto ad un’amica: «Sai cosa faccio? Il Fauniera, quest’anno, lo pedalo al contrario». Vi togliamo subito ogni dubbio, non era un modo di dire: Rivero intendeva proprio pedalare all’indietro tutta la salita del Colle Fauniera.
«Era un modo per comunicare la necessità di cambiare prospettiva, rispetto alla pedalata, ma più in generale rispetto a molte cose che la quotidianità ci presenta. Talvolta, l’unica via per sopportarle è leggerle diversamente da ciò che la società indica come lettura predefinita». Davide Rivero abita a Valgrana e il Fauniera è la salita di casa, quella che ha percorso decine e decine di volte, quella che, anche quella sera, è certo di conoscere in ogni metro: nel verde vivo della vegetazione e negli squarci ad ogni cambio di direzione. Prova a pedalare al contrario nel cortile di casa, come faceva da bambino, dalla nonna, e vede che ne è ancora capace, che dovrà allenarsi, ma si può fare. Ne parla con gli amici e l’entusiasmo viene declinato in varie forme: nella curiosità, nell’interesse, nella sorpresa e anche nell’incredulità.
Fino al giorno in cui ad ascoltare questo progetto è il suo preparatore, un giorno che avrebbe dovuto essere come tanti, invece, è stato il più difficile e, allo stesso tempo, il più facile di tutti gli altri: «Mi ha messo davanti al fatto che non sarebbe stato come lo immaginavo, ha smorzato quell’entusiasmo e, per un momento, sono stato davvero vicino all’idea di lasciare perdere. Era tardi, ero nervoso, non potevo fare altro, così sono uscito in bicicletta, pedalando al contrario a Montemale, più per sfizio che per quel progetto che, ormai, sembrava allontanarsi».
Lo vedono molti automobilisti che stanno percorrendo la stessa strada, ancora oggi si chiede cosa abbiano pensato, però ci confessa che quasi nessuno gli ha suonato il clacson o si è lamentato. Lo guardano negli occhi, cercano di capire: «Credo sia il contatto visivo a impedire la lamentela. È più difficile suonare a una persona che hai visto negli occhi: quando siamo di spalle, possiamo essere chiunque, diventiamo anonimi, il volto restituisce identità e, nel momento in cui conosci l’altra persona, anche per una frazione di secondo, sei portato a fare più attenzione. Basta un sorriso per disinnescare». Questa scena si ripeterà per molto tempo, perché, proprio in quella pedalata, Davide troverà il motivo per percorrere davvero il “Fauniera al Contrario”.
Si tratta di Luca Cucchietti che, quel giorno, incontrandolo, gli dice solo: «Ma che fai? Sei folle?». I due già si conoscevano: Luca pedala in handbike, dipinge, ha molte passioni e un’idea: «Davide, vengo io con te sul Fauniera: ci copriamo le spalle reciprocamente». Il fine sarà solidale: raccogliere fondi per diffondere lo sport tra ragazzi diversamente abili.
Sì, il cambio di prospettiva è anche qui: la visuale dell’uno, completa la visuale dell’altro. «L’unico modo che avevo per riuscire a salire era fidarmi delle indicazioni di Luca, dei suoi occhi, perché ai miei era bastato vedere il Fauniera capovolto, per non riconoscerlo quasi più». Ancora oggi, pensandoci, gli sembra assurdo: quel luogo che era convinto di conoscere perfettamente, in realtà, gli era totalmente estraneo, percorso di spalle. Si torna all’attenzione, a quello su cui la mente umana si focalizza, a quello che memorizza e restituisce. Si torna al fatto che, quando si toglie qualcosa, in realtà, si aggiunge sempre.
«Se il rapporto con Luca è ancora forte, è proprio perché, in quei momenti, essendo affaticati, stanchi, abbiamo dovuto essere più veri che mai. Quando togli le sovrastrutture, resta quello che veramente sei, stai raccontando la tua verità e la verità, può piacere o meno, ma resta». Fra le verità c’è l’attesa, la preparazione, che è la parte più forte, quella in cui si inizia a vivere la festa, intesa come condivisione. Perché, già da prima di quel 12 settembre, in città se ne parla, le persone chiedono e ognuno vede qualcosa di diverso in quell’idea: «Credo sia giusto così, sia bello così. Per me festa significa proprio condivisione. È festa quando tante persone, che non si conoscono, sono accomunate da qualcosa, e per questo si incontrano, si parlano, pranzano assieme o condividono un tratto di prato del Fauniera per aspettare. Forse non si sarebbero mai incontrate, non si sarebbero mai guardate negli occhi, invece hanno un motivo per farlo, per sentirsi unite».
Il venerdì sera, 11 settembre, piove forte, diluvia, ma il sabato non c’è una nuvola, è la classica giornata di fine estate, mentre Davide e Luca, al mattino, iniziano la loro sfida. Davide pedala su una Cinelli del 1987, la più vecchia che ha, perché non ammortizzando è più stabile. Luca è lì, a coprirgli le spalle, a raccontargli ciò che sempre aveva visto. Un viaggio che durerà più di 30 chilometri, circa 1900 metri di dislivello, due ore e quaranta minuti: il tutto in mezzo a tanti ad aspettarli, a pedalare con loro.
«In vetta eravamo stanchi, felici, ma anche dispiaciuti, svuotati. Era finita, l’avevamo fatto, restava un ricordo. Succede sempre così: l’emozione più intensa è nell’immaginare ciò che sarà, quando, invece, quel che aspetti è passato non sai più a cosa pensare, qualunque cosa non ti basta. Ad oggi, penso sia stata una delle più belle giornate della mia vita. Credo sia l’altro volto che ho dato alla bicicletta, che per me era molto legata ai numeri e alle prestazioni. C’è un prima e un dopo nel mio rapporto con il ciclismo: il “Fauniera al Contrario” è lo spartiacque».
Non è finita qui, anche se così parrebbe. Davide Rivero, oggi, corre a piedi, la bicicletta è rimasta e non potrebbe mai lasciarla, forse anche per quel giorno di settembre, ma la sua attività sportiva ha cambiato focus. Mutare prospettiva, unire due sguardi diversi, gli è servito proprio a questo: «Spesso, quando qualcosa finisce, lo copriamo con la malinconia o la dimenticanza, invece dovremmo portarlo con noi, salvandolo da tutto il resto, proprio per l’importanza che ha avuto, per quanto ci ha fatto felici. Pedalare al contrario ha salvato la mia bicicletta».
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